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Dall’Epopea classica: il tema dell’amicizia tra ero

TRA FRATELLANZA, AMICIZIA ED OMOEROTISMO

3.1 Dall’Epopea classica: il tema dell’amicizia tra ero

L’Epopea di Gilgameš (XII secolo a.C. circa) è la più ampia e complessa opera letteraria che la civiltà degli Assiri-Babilonesi abbia tramandato, comunemente annoverata nel genere letterario epico409.

Tra le leggende relative all’eroe protagonista e quelle afferenti alla tradizione omerica si riscontrano una serie di parallelismi che hanno indotto a pensare ad una probabile trasmissione di contenuti, dall’Oriente all’Occidente.

Uno dei temi cari alla tradizione epica greca è quello dell’amicizia tra due eroi, generalmente compagni d’avventura. Lo stesso tema è presente anche all’interno del poema paleobabilonese ed uno dei primi studiosi a sottolinearne la centralità fu certamente B. Landsberger, quando scrisse che un motivo portante dell’Epopea è l’ideale di nobile amicizia tra i due guerrieri protagonisti, Gilgameš ed Enkidu, uniti da un legame che nemmeno la morte può annullare410. In effetti, fin dal primo incontro dopo la lotta per le strade di Uruk e, prima ancora, nei sogni avuti da Gilgameš, il profondo legame che unisce i due personaggi è sottolineato a tal punto da essere equiparato (nelle parole del re) all’amore per una donna e anche l’affannosa ricerca della vita eterna documenta appieno il valore di Enkidu per Gilgameš. D’altra parte, il fondamento dell’amicizia per Enkidu sta nel riconoscimento da parte di costui della superiorità fisica e spirituale del re411.

409 Cf. Pettinato 1992, p. 9. B. Landsberger nel 1942 definì il poema in questi termini: “L’Epopea di

Gilgameš è l’epopea nazionale babilonese. […] Con quest’opera i babilonesi hanno creato, molto prima dei

Greci con la loro epopea nazionale, l’Iliade, una composizione poetica come nessun altro antico popolo. […]” (Landsberger 1942, p. 31); cf. anche Oppenheim 1964, p. 256 e Kirk 1970, p. 133 apud Pettinato 1992, p. 48, note 2-4. Il poema inizia con un breve sommario della vita di Gilgameš, in cui riecheggiano i versi iniziali dell’Odissea (Hom.Od. 1-5). Cf. Powell 2004, p. 318-19. Quest’opera, la più vasta finora ritrovata in Mesopotamia, ci è giunta in varie versioni e lingue; quella più lunga, composta da dodici tavole, è una versione in antico babilonese e proviene dalla biblioteca di Assurbanipal (VII secolo a.C.). Secondo alcuni studiosi, Gilgameš è un personaggio mitico; altri invece lo considerano un personaggio storico: un antico re che visse e regnò nella città sumerica di Uruk, nella prima metà del III millennio (2700 a.C. circa). Il Prologo del poema, che presenta il protagonista della saga, autorizza entrambe le ipotesi: vi si dice infatti che egli è per due terzi dio e un terzo uomo. Divino e umano, mito e storia convivono dunque in questa figura di eroe, come in molte altre. Sulle diverse versioni e sulle fonti storiche relative all’Epopea si vedano in particolare Mitchell 1988, p.70; Pettinato 1992b, p. 162; Dalley 1998, p. 45; George 1999, pp. 50 ss. 410 In CRRAI 7 (1960), p. 41. L’idea dell’eternità del legame richiama il sacrificio di Polluce (ved. cap.2, §

2.4.4).

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Tuttavia, Pettinato rigetta l’idea dello studioso tedesco quando questi interpreta il legame tra i due in chiave erotica, contrapponendolo al legame di tipo eterosessuale. A suo avviso, il rifiuto delle οfferte amorose della dea Ištar non dev’essere interpretato come negazione per l’amore verso le donne - come sostiene Landsberger - bensì in una chiave ben più profonda che riguarda piuttosto la futura sorte del re di Uruk412.

Anche altri studiosi hanno considerato, tra i temi principali dell’Epopea, quello dell’amicizia; tra questi L. Matoush413, ma soprattutto G. Furlani che, nel suo articolo

intitolato L’Epopea di Gilgameš come inno all’amicizia414 e nell’introduzione e nella sua traduzione dell’Epopea415, affermava che bisogna procedere ad una “revisione dell’idea

fondamentale, centrale dell’Epopea” in quanto essa “è un vero inno all’amicizia, un’amicizia che perdura anche oltre la morte di Gilgameš ed Enkidu, eterni prototipi degli amici fedeli”416.

3.1.1 Enkidu, l’amico e compagno di Gilgameš (Tavv. I 52 - II 155 ss.)

Il leggendario re di Uruk, Gilgameš, personaggio inquieto e turbolento, opprime la città con continue guerre che comportano il sacrificio di molti uomini e la disperazione delle loro donne. Pertanto, alla madre degli dèi, Aruru, viene affidato il compito di creare una creatura in grado di contrastare l’ardore del sovrano e di riportare la pace. La dea prende un grumo di creta, lo pianta nella steppa, e così nasce Enkidu, il guerriero del «seme del silenzio, la potenza di Ninurta», un essere bruto coperto di peli (Tav. I 65-87).

412 Cf. Pettinato 1992, p. 42. Th. Jacobsen aveva rilevato a tal punto la centralità del tema dell’amicizia tra

i due eroi da farne un prototipo del rapporto omoerotico (ved. anche Jacobsen 1930, pp. 62-74; più in generale Jacobsen 1976). Sull’argomento, si veda più in generale anche Abusch 1986, pp. 143-87.

413 Ved. Matoush 1958, p. 195 ss. 414 Cf. Furlani 1946, pp. 577-589. 415 Cf. Furlani 1958, p. 113.

416 Ibid. nota sopra. Il tema dell’amicizia rappresenta il filo conduttore anche nella seconda parte

dell’Epopea, cf. Tav. X 60-75: “[Dice Gilgameš] L’amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me | ogni sorta di avventura,…. | ha seguito il destino dell’umanità. | Per sei giorni e sette notti io ho pianto su di lui, …. | Io ho avuto paura della morte, ho cominciato a tremare | e ho vagato nella steppa. | La sorte del mio amico pesa su di me: | per sentieri lontani ho vagato nella steppa. | Come posso io essere silenzioso, come posso io essere calmo? | … | Enkidu, l’amico mio che amo, è diventato argilla. | Ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io | e non alzarmi mai più per sempre?” (trad. it. ac. di Pettinato 1992).

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All’uomo potente e civilizzato qual è Gilgameš, gli dèi contrappongono dunque l’uomo primordiale che, conformemente a tutte le tradizioni mesopotamiche, è descritto quasi con i tratti ferini di un essere selvatico, ricoperto da una folta chioma con lunghe trecce, come quelle portate dalle donne dell’epoca (Tav. I 88-95).

Il loro incontro, magistralmente orchestrato dalle divinità, in una prima fase si risolverà in una lotta selvaggia senza risultato (inizio Tav. II; nessuno dei due riesce a sopraffare l’altro), dalla quale nascerà una salda amicizia che renderà inseparabili i due compagni. Da questo elemento origina la seconda parte dell’Epopea, dedicata alla ricerca affannosa della vita eterna da parte del sovrano di Uruk, dopo che avrà assistito impotente alla morte dell’amico417.

Interpretando alcune espressioni del linguaggio erotico presente nell’Epopea e, in particolare, le seguenti (Tav. I 238-262)418:

Io lo amai (râmun) [riferito ad uno degli oggetti che simboleggiano Enkidu] come una moglie (kīma aššatim), lo abbracciai forte (khābabum)...

V’è chi, come Jacobsen (1930) ha voluto scorgervi un rapporto di omoerotismo tra i due personaggi; ma il dibattito è aperto419. Stando a Pettinato, il verso citato

sottolineerebbe soltanto la profonda amicizia tra Enkidu e il re di Uruk. Non v’è elemento - afferma lo studioso - all’interno dell’Epopea che induca a pensare ad un rapporto di tipo amoroso tra i due, né si può considerare come prova di ciò il fatto che nell’opera non sia mai menzionata una donna come moglie o amante di Gilgameš420. Anche S. Ackerman

afferma la necessità di applicare con cautela le moderne concezioni e definizioni di sessualità e di omoerotismo alla cultura dell’Oriente Antico; ella sostiene che, in un simile contesto, relazioni al maschile come quella tra Gilgameš ed Enkidu non possono essere

417 Cf. Pettinato 1992, pp. 18-20. Cf. anche Powell 2004, pp. 318-27; Ackerman 2005, pp. 33-46.

418 Trad. it. ac. di Pettinato 1992. Queste parole sono contenute in uno dei primi episodi (Tav. I 206-271),

in cui Gilgameš racconta alla madre, la dea Ninsun, due sogni: in ciascuno di essi egli ha la visione di un oggetto misterioso che gli precipita addosso e dal quale è fortemente attratto; la dea gli rivela che i due oggetti annunciano l’arrivo ad Uruk di una creatura dotata di grande forza fisica, che diventerà suo compagno e amico fedele. Cf. Ackerman 2005, pp. 51-71.

419 Cf. Ackerman 2005, pp. 47-51. Vd. anche Brod 1987, pp. 241-258; Foster 1987, pp. 21-42; Abusch

2002, pp. 73-85. Più in generale si vedano Dynes-Donaldson 1992; Neill 2009.

420 La struttura del racconto, come del resto di tutti i poemi epici mesopotamici, non prevede alcun

intervento da parte di donne della cerchia del sovrano né attribuisce loro un vero e proprio ruolo. Cf. Pettinato 1992, p. 21-2.

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interpretate in termini di omoerotismo secondo le definizioni moderne. Nel caso di Gilgameš e di Enkidu, il linguaggio e l’immaginario erotico – generalmente costruiti intorno a concetti di gerarchia e di ruolo – nel caso di Gilgameš ed Enkidu viene paradossalmente utilizzato per descrivere un rapporto di tipo paritario tra i due personaggi, ribadendo il loro status di eroi, amici e compagni d’avventura, pur trattandosi di due figure per certi aspetti liminali nella tradizione epica421.

Gilgameš ed Enkidu compiono insieme mirabolanti imprese. La prima grande avventura riguarda il loro viaggio verso la Foresta dei Cedri e lo scontro con il mostro di Khubaba (Tav. II 184-V 266).

Nonostante il tentativo, da parte di Enkidu, di dissuadere Gilgameš dall’intraprendere il viaggio (Tav. II 186-192), il Consiglio degli anziani della città acconsente e, dopo una lunga preghiera al dio del Sole, la dea Ninsun affida il figlio alle cure dello stesso Enkidu (Tav. III 45-53). Stando alla versione tradizionale del racconto, l’impresa si risolve in uno scontro titanico tra i due eroi e il guardiano della Foresta, che viene da essi sconfitto.

In seguito, quando la dea dell’amore, Ištar, si infatua di Gilgameš, cercando di sedurlo, e l’eroe la rifiuta schernendola, ella, offesa, comanda al dio del cielo, Anu, di inviare sulla terra il «Toro celeste» (Tav. VI 1-182)422. Questi fa strage di centinaia di guerrieri, devastando la città di Uruk, ma Gilgameš ed Enkidu riescono a sconfiggerlo, portando così a compimento la seconda impresa (Tav. VI 143-148).

L’ultimo episodio riguarda la morte di Enkidu e la disperazione di Gilgameš (Tav. VI 183-VIII 207 ss.). Per aver ucciso il mostro Khubaba e il Toro Celeste, i due eroi si sono macchiati di sacrilegio423. Uno dei due dev’essere messo a morte e gli dèi condannano Enkidu. Il pianto funebre intonato dal re di Uruk è formulato a litania ed

421 A suo parere, queste relazioni riflettono la concezione antica relativa ai ruoli di genere (maschile/attività,

femminile/passività), senza escludere le relazioni tra sessi opposti. Ackerman mette a confronto il compianto di Gilgameš nei confronti di Enkidu con quello di Davide nei riguardi di Gionata nella Bibbia (1Sam.19.1-7; 20; 23.16-18; 2Sam.1.26; Pr.18.24): in entrambi i casi, infatti, gli eroi manifestano un sentimento che, stando ai testi, parrebbe di tipo amoroso. Tuttavia, l’ambiguità insita nel linguaggio erotico dell’Epopea e della Bibbia è divenuta oggetto di numerosi studi sui rapporti tra eroi. La studiosa ritiene che la stessa ambiguità a livello linguistico possa aprire a nuove prospettive nell’ambito dei gender studies relativi Vicino Oriente Antico e nella sua tradizione letteraria. Cf. Ackerman 2005, pp. 73-87. Sul rapporto Gilgamesh-Enkidu ved. anche Padovano 2002.

422 Sul dettaglio delle due imprese cf. Pettinato 1992, pp. 24-29. 423 Cf. Pettinato 1992, p. 30-2; Ackerman 2005, pp. 71-3.

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esprime la disperazione dell’eroe, prima di celebrare i funerali per l’amico (Tav. VIII 50- 63)424. Rimasto solo, l’eroe si mette alla ricerca dell’immortalità e della giovinezza, ma fallisce miseramente425.