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NEL MITO GRECO

2.4 Il ratto delle Leucippid

2.4.4 L’amore fraterno

L’immagine poco onorevole con cui emergono i Dioscuri viene, per così dire, “riscattata” da Pindaro quando si accinge a descrivere le fasi cruciali e finali dello scontro armato. Il pathos e la drammaticità dell’atmosfera vengono sapientemente suscitati: al momento della lotta contro Linceo e Ida (Nem.10. 61-72), Castore «dalla mitra/dall’elmo di bronzo» sta per esalare il suo ultimo respiro e ansima moribondo sotto gli occhi piangenti del fratello nella valle di Terapne, alle pendici del monte Taigeto (Nem. 10.55- 59). Il fulmine scagliato da Zeus abbatte l’aggressore Ida, incenerendolo, ma non può mutare la sorte dell’eroe morente.

Stando alla fonte pindarica, dopo la concisa narrazione dello scontro armato fra Dioscuri e Afaretidi, segue un ampio spazio riservato proprio alla descrizione della morte di Castore e al colloquio, che l’accompagna, tra Polluce e suo padre Zeus (Nem. 10.73- 90)337: ταχέως δ᾽ ἐπ᾽ ἀδελφεοῦ βίαν πάλιν χώρησεν ὁ Τυνδαρίδας338, καί νιν οὔπω τεθναότ᾽, ἄσθματι δὲ φρίσσοντα πνοὰς ἔκιχεν. θερμὰ δὴ τέγγων δάκρυα στοναχαῖς 75 ὄρθιον φώνασε· ‘πάτερ Κρονίων, τίς δὴ λύσις ἔσσεται πενθέων; καὶ ἐμοὶ θάνατον σὺν τῷδ᾽ ἐπίτειλον, ἄναξ. οἴχεται τιμὰ φίλων τατωμένῳ φωτί· παῦροι δ᾽ ἐν πόνῳ πιστοὶ βροτῶν 335 Cf. Gow 1965, p. 385.

336 Cf. nota sopra. Callimaco iniziò uno dei suoi componimenti, probabilmente il Pannychis (fr. 227), con

un preludio nel quale i due gemelli venivano collegati alla figura di Elena (Dieg. 10.6); il poeta li nomina anche nell’ Apoteosi di Arsinoe (fr. 228 Pf.) in quanto furono essi a rapirla in cielo. Per quanto concerne il culto di Dioscuri in Egitto, è interessante notare come il prestigio del titolo di Θεοὶ Σωτῆρες, con cui venivano dfiniti i sovrani Tolomeo Soter e Berenice, derivasse proprio dal fatto che con esso fossero ricordati anche i Dioscuri. Ved. in generale Visser 1938, pp. 17–8; Von Bissing 1953, pp. 347-357.

337 Cf. Sbardella 2003, p. 133. 338 Polluce.

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καμάτου μεταλαμβάνειν.’ ὣς ἔννεπε339·

Già Zeus aveva deliberato di rendere immortale il figlio, ma lo stesso Polluce, affinché il proprio disperato pianto non resti vano, in uno slancio di sublime amor fraterno compie un sommo gesto; accettando di rinunciare ad una parte dell’immortalità che è suo retaggio, egli prega il padre di poterla spartire con il fratello gemello, arrivando così a condividere un alterno destino post mortem340.

Solo di fronte ad un simile patto d‘amore fraterno Zeus può concedere la grazia di richiamare in vita il morente poiché altrimenti non può essere frodato il destino né mutata l’inesorabile sorte341. Pertanto, a giorni alterni, un gemello vive sull’Olimpo e l’altro nel

Regno degli Inferi; secondo altri, invece, i due fratelli diventano inseparabili e a giorni alterni vivono entrambi nell’Ade e sull’Olimpo (Od. 11.303)342.

339 Pind. Nem. 10.73-79. Trad. ac. di Romagnoli 1969: “Subito il figlio di Tindareo corse vicino al potente

fratello | e lo trovò ancora vivo, sebbene agonizzante. | Versando calde lacrime, | tra i singulti gridava a gran voce: «Padre mio, Cronide, quale rimedio | vi sarà mai alle mie pene? Anche a me, signore, infliggi ora la morte, insieme a lui. | Il senso dell’onore svanisce di fronte alla perdita degli | amici: pochi uomini restano fedeli nel dolore, per condividere le sofferenze». Così parlò”.

340 Secondo questa versione del mito, tra i due figli nati da Leda Polluce è l’unico ad essere stato concepito

dal seme divino di Zeus, poiché Castore è figlio di Tindareo. Del resto, se si tiene presente il passo di Plutarco (Quaest. Graec. 23) in cui si afferma che gli Argivi, nel venerare i Dioscuri in qualità di eroi

fondatori identificavano una tomba di Castore, ma non quella di Polluce, considerato un dio immortale,

sembra che anche in questo caso l’atteggiamento di Pindaro sia quello di un adeguamento alle specifiche esigenze di ricezione da parte di una committenza e di un pubblico argivi. Così infatti si spiega il grande rilievo riservato, nella Nemea X, al motivo della differenziazione tra la paternità umana di Castore e quella divina di Polluce, su cui si impernia la struttura narrativa della pars epica, cf. Sbardella 2003, p. 149. Nei

Canti ciprii si suppone che Castore e Polluce abbiano destini diversi in virtù di una diversa paternità, che

rende una mortale e l’altro immortale; Pindaro tuttavia sembra presentare l’immortalità di Polluce come un dono conferitogli da Zeus più che come diritto di nascita. Cf. Gantz 1993, p. 323. Per un confronto sull’alternanza tra mortalità e immortalità nel Mito di Adapa relativo ai due gemelli della tradizione accadica, Dumuzi e Gizzida, e nel mito di Castore e Polluce, cf. Van Buren 1947, p. 312; Kuntzmann 1983, pp. 85-87.

341 Zeus, per esaudire le preghiere di Polluce, concesse che entrambi i fratelli partecipassero

dell’immortalità; trasportati in cielo, essi furono trasformati nella Costellazione dei Gemelli, divenendo così protettori della navigazione. Il sussegguirsi, nel mito dei Dioscuri, di morte e rinascita è ravvisabile anche nei riti misterici basati sul ritorno ciclico di Persefone presso la madre Demetra. Come per i Dioscuri, così per le due dee, la continua separazione e riunione convive e dipende dal loro rapporto di parentela. I legami fraterno e filiale, nonché il ritorno ciclico delle due compomenti della coppia, determina l’impiego di τὼ θεώ per entrambe le coppie divine (cf. Aristoph. Lys. 81 per Castore e Polluce; V. 378, Lys. 112, Ec. 155, 532 per le due dee). Cf. Sforza 2007, p. 54.

342 Anche tradizioni più recenti vedono i Dioscuri raffigurati in cielo, nella Costellazione dei Gemelli (cfr.

Hyg. Poet. Astr. 2.22). Probabilmente la loro rotazione tra mondo dei morti e mondo dei vivi e della luce può essere spiegata con il fatto che uno dei gemelli era identificato con la Stella della sera e l’altro con la Stella del mattino, che sorgono rispettivamente al tramonto e all’alba. Ciò nonostante, ai mortali i Dioscuri appaiono sempre in coppia, come figure divine che volano nel cielo in groppa a cavalli velocissimi. La loro apparizione nelle notti di tempesta era identificata con il manifestarsi dei fuochi di Sant’Elmo, fenomeni

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Nella rappresentazione poetica che ne dà Pindaro, questa è la grazia straordinaria che Zeus concede al figlio prediletto, facendo risuonare la sua voce, di rado udita dai mortali (Nem. 10.79-88)343: Ζεὺς δ᾽ ἀντίος ἤλυθέ οἱ καὶ τόδ᾽ ἐξαύδασ᾽ ἔπος· ‘ἐσσί μοι υἱός: τόνδε δ᾽ ἔπειτα πόσις 80 σπέρμα θνατὸν ματρὶ τεᾷ πελάσαις στάξεν ἥρως. ἀλλ᾽ ἄγε τῶνδέ τοι ἔμπαν αἵρεσιν παρδίδωμ᾽· εἰ μὲν θάνατόν τε φυγὼν καὶ γῆρας ἀπεχθόμενον αὐτὸς Οὔλυμπον θέλεις ναίειν ἐμοὶ σύν τ᾽ Ἀθαναίᾳ κελαινεγχεῖ τ᾽ Ἄρει, ἔστι τοι τούτων λάχος· εἰ δὲ κασιγνήτου πέρι 85 μάρνασαι, πάντων δὲ νοεῖς ἀποδάσσασθαι ἴσον, ἥμισυ μέν κε πνέοις γαίας ὑπένερθεν ἐών, ἥμισυ δ᾽ οὐρανοῦ ἐν χρυσέοις δόμοισιν.’

Solo quando il figlio di Zeus ha compiuto per amor del fratello il suo sacrificio, Castore torna in vita (vv. 89-90)344:

ὣς ἄρ᾽ αὐδάσαντος οὐ γνώμᾳ διπλόαν θέτο βουλάν345,

ἀνὰ δ᾽ ἔλυσεν μὲν ὀφθαλμόν, ἔπειτα δὲ φωνὰν χαλκομίτρα Κάστορος.

Nel mito dei Dioscuri è questo l’episodio finale che conchiude con la morte e la risurrezione di Castore la mitica storia eroica dei due gemelli divini.

L’assenza di motivi politici – che occupano invece un posto di rilievo in altre odi – consente a Pindaro di concentrarsi sulla narrazione dei diversi episodi mitici; ma se alcuni di essi vengono appena evocati con folgorante capacità di sintesi, altri sono diffusamente narrati con dovizia di particolare ed è proprio il caso dell’episodio relativo a Castore e Polluce, che assume le dimensioni di un vero e proprio poemetto epico-lirico

elettrici che si verificano lungo il sartiame e sulle cime degli alberi durante i temporali. Cf. Guidorizzi 2009, p. 644.

343 Trad. ac. di Romagnoli 1969: “…Zeus giunse dinnanzi a lui, | e pronunziò tali parole: «Tu sei mio figlio:

quello | fu concepito in un secondo momento dal marito di tua madre, quando quell’eroe | giunse, stillando in ella mortale germe. Ora io questa scelta | ti offro. Se vuoi sfuggire la morte e gli anni del tedio senile | ed abitare la casa d’Olimpo insieme me, ad Atena, a Marte dal cuspide nero, | questo sia pure il tuo destino; se poi per il fratello brami | contendere e condividere la medesima sorte, | metà del tempo vivrai nelle viscere fonde della terra, | l’altra metà su in cielo, nelle case d’oro…»”.

344 Trad. ac. di Romagnoli 1969: “Appena Zeus ebbe parlato, (Polluce) senza esitare decise fra le due

opposte sorti; | e allora riaperse gli occhi e parlò Castore dall’elmo di bronzo”.

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(quasi metà dell’intera ode). La struttura del componimento non è quella “ad anello”, tipica di molti epinici pindarici, bensì è costituita da due poli mitici: quello degli eroi argivi e quello dei Dioscuri; nel mezzo si colloca l’elogio del vincitore Teeo. Poco spazio sembra essere dedicato alla gnome, la quale risulta tuttavia implicita nella scena finale dedicata ai due fratelli. Essa si muove essenzialmente in due direzioni: la seconda, più allusiva, riguarda Teeo, ma la prima è quella che addita agli uomini il modello di un eroismo intriso di profonda umanità e partecipe della sofferenza, un eroismo incarnato da Castore e Polluce346.

Nella versione nota in età classica l’episodio finale narrato da Pindaro risulta determinante per il mito della loro alterna immortalità, sebbene resti escluso dalla saga argonautica che invece allinea e accomuna tra i membri del glorioso equipaggio della nave Argo le due coppie di eroi fratelli, i Tindaridi e gli Afaretidi. Cugini, solidali compagni d’armi fianco a fianco nelle imprese di guerra, intenti a spingere con le lance al campo o al sacrificio i bovi presi durante una razzia347.

La sorte inconsueta di immortalità che attende oltre la vita i due figli di Leda non rientra quindi nel racconto dell’impresa argonautica. Infatti l’immortalità concessa come premio ad un essere mortale ha un carattere di assoluta eccezionalità nel mito greco. È stato notato come dal tempo di Omero all’età ellenistica, nel mondo greco, vi sia stato un solo dio nato mortale, Dioniso, e un solo eroe asceso a vita eterna nell’Olimpo, Eracle. Pertanto, come Eracle, solo i Dioscuri trapassano da uomini a dei. Ma motivo per cui solo essi, insieme ad Eracle, siano destinati alla vita eterna nel mondo religioso greco appare oscuro. Infatti, a differenza di Eracle, i due gemelli divini non figurano mai fra le divinità olimpiche, nemmeno nelle testimonianze iconografiche.

346 Una visione diversa rispetto a quella teocritea. Anche per quanto riguarda il destino dei due gemelli dopo

la vita terrena, le testimonianze letterarie sono varie: a fronte del più volte citato passo dell’Iliade (3.243- 44) che li dice sepolti a Sparta e di un luogo di Alcmane (apud schol. ad Eur. Tro. 210; cf. fr. 2 Calame =

PMG 2+12) che definiva Castore e Polluce come «viventi sotto terra» a Terapne, il tema dell’ἑτερήμερος

ἀθανασία è già presente in Omero (Od. 11.298-304) e nei Cypria (argum. p. 40, ll. 23-24 Bernabé = p. 31, l. 31 Davies), sebbene sia stato ipotizzato che il particolare della generosa scelta operata da Polluce sia un’innovazione introdotta da Pindaro il quale nella Pitica XI (vv. 61-64) definisce Castore e Polluce υἱοὶ θεῶν e nella Pitica IV (vv. 171-172 menziona Castore, Polluce ed Eracle come Ζηνòς υἱοὶ τρεῖς. Dimostrando di oscillare tra tradizione diverse. Cf. Sbardella 2003, p. 134.

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Eppure, secondo un mito che risale al tempo dell’Odissea, i due fratelli godono del privilegio dell’immortalità a fasi alterne348. Si è ipotizzato che, per spiegar questo

remoto mito, oscuro ai Greci e difficilmente collegabile con la sfera consueta degli dèi olimpii, l’immaginazione mitica ellenica abbia foggiato come strumento il mito della morte di Castore nella lotta contro gli Afaretidi. Questa struggente leggenda, che il poeta dei Ciprya aveva inserito nel suo perduto epos assai prima che Pindaro lo trasfigurasse in una poesia sull’amore fraterno, prende come spunto di partenza la diversa paternità di Castore e di Polluce. Uno solo è Dioscuro, l’altro è Tindaride; uno figlio di un dio, l’altro di un mortale, allo stesso modo di Eracle e di suo fratello Ificle349.

Il soggiorno alterno nel buio mondo di sotterra appare dunque il prezzo pagato da Polluce alle terribili divinità infere per il periodico ritorno alla terra del suo fratello mortale, in contrasto con le leggi immutabili ed eterne assegnate dalla concezione religiosa greca al mondo umano e divino.

Interessante il fatto che un antico mito di alterna morte e rinascita divina – forse di origine astrale, legato alle alterne fasi celesti – si sia così trasformato passando attraverso l’immaginazione mitica greca in uno dei miti di più alto significato etico nella religione ellenica: l’unico ove un essere divino per amore di un essere mortale rinunci all’immortalità350.

Un tale mito, che parrebbe destinato a sollevare nella Grecia del tempo classico una risonanza notevole, riscontra invece un’eco debole. Se non fosse per l’ode pindarica, l’episodio della morte e risurrezione di Castore sarebbe noto solo per tramite di tardi mitografi, non essendovi alcun inno d’età arcaica, classica o ellenistica né monumento a commemoralo351.

348 Hom. Od. 11.302. Cf. Achillea Stella 1956, pp. 606-09.

349 Cypria [cf. Bernabé, fr. 3]: “Castore era mortale, predestinato alla morte | immortale invece Polluce”. 350 Casi analoghi di miti di alterna morte e risurrezione divina sono quelli greci di Persefone, di Adone e

quello orientale di Tammuz (divinità sumerica). In Grecia Tammuz prese il nome di Adone, il paredro della dea della fertilità, Inanna/Ishtar, e la sua morte e risurrezione simboleggiava il periodico rigenerarsi della vegetazione a primavera. Anche Persefone alternava un periodo di vita nell’Oltretomba a un periodo di vita sulla terra: durante i sei mesi trascorsi nel regno dei vivi, al suo passaggio la dea faceva rifiorire la terra.

351 In età arcaica Castore e Polluce compaiono in alcuni rilievi e nella ceramica a figure nere, quasi sempre

nell’accezione di divinità guerriere e agonistiche, pertanto con corona d’alloro o di palma, a cavallo o accanto a cavalli (nella ceramica a figure nere sono spesso barbati). In età classica sono rappresentati soprattutto nella pittura vascolare attica, armati, vestiti di chitone o di clamide, con il capo a volte coperto dal pètasos, a volte dal pìlos, berretto conico caratteristico dei Cabiri, coi quali peraltro cominciano ad

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Se la storia cultuale di Locri trova eco in una celebre leggenda romana che esalta i divini gemelli salvatori dell’esercito romano nella battaglia del lago Regillo, nell’arte e nella poesia greca i Dioscuri non appaiono mai al fianco di eroi combattenti, diversamente da quanto accade per figure come quella di Ermes o di Atena. Per quanto possa essere stato importante il posto riservato ai Dioscuri nel culto, nel mito le loro figure, al di fuori della saga argonautica, hanno scarso rilievo rispetto alle imprese degli eroi mortali352.