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NEL MITO GRECO

2.1 I gemelli divin

2.1.2 Nascita di un culto

Dunque, considerati generalmente figli di Leda e di Zeus, Castore, Polluce ed Elena secondo il mito condussero inizialmente un’esistenza da esseri mortali, solo in un secondo momento furono venerati come divinità greche e, nel caso dei due gemelli, come dei veri e propri eroi (tra gli eroi più o meno leggendari venerati dagli spartani, tra cui Licurgo). Tuttavia, la paternità divina conferì ai due gemelli maggior rilevanza tra le varie figure eroiche elevate poi a modelli etici.

Nell’immaginario collettivo di epoca arcaica i Tindaridi erano infatti divenuti una cosa sola con i Dioscuri (Hymn. Hom. 33); il cultodei due gemelli, diffusosi ben presto da Sparta a tutto il Peloponneso, e poi in Attica, nelle isole dell'arcipelago ed infine nella Magna Grecia, si spiega con la loro deificazione ed assunzione tra le stelle. Esso è attestato fin dall’VIII secolo a.C. nell’isola di Thera; nel VII secolo a.C. era già diffuso fra i popoli greci180.

dagli usi e costumi degli spartani. Interessante notare il fatto che anche le figure femminili legate ai Dioscuri - la sorella Elena e le mogli Leucippidi – in quanto tali, ricevettero a Sparta onori divini e rivestirono un ruolo simile quali divine patrone delle giovani donne spartane. Cf. Guidorizzi 2009, p. 643, Walker 2015, pp. 126-132.

179 Nāsatyas, titolo sacro e ufficiale (tanto quanto quello di «Aśvins») presente sia nei Ṛigveda sia nel

Trattato dei Mitanni (XIV secolo a.C.), e derivante dalla radice nes, riconoscibile anche nelle forme neomai, nostos e Nestor, cfr. WALKER 2015, p. 212. Spesso definiti con espressioni del tipo «Signori della luce»,

«Dèi taumaturgi o benefattori», gli Aśvins/Nāsatyas erano divinità pacifiche e agivano soprattutto in circostanze di sorte avversa, a tutela ed assistenza degli oppressi; talvolta intervenivano anche in questioni coniugali, fatto che, per certi aspetti, richiama il ruolo assunto dai Dioscuri ad esempio nell’episodio del ratto delle Leucippidi.

180 Cf. Walker 2015, pp. 126-27. Sparta fu il più importante centro di culto della divina coppia: il tempio

principale dedicato ai Dioscuri si trovava a poche miglia a sud della città, nel villaggio di Terapne che era considerato la loro sede in Grecia. Il tempio si collocava in un santuario chiamato Phoibaion dietro al quale si trovava un altro tempio, dedicato ad Elena e Menelao. La coppia di coniugi e quella dei divini fratelli erano infatti connesse non nel mito, ma nel culto (Alcmane, fr. 2 Calame). Il Phoibaion prendeva il nome da Phobos, altra denominazione di Apollo, o da Phoibē, nome di una divinità femminile identificata con Artemide. Risulta quindi significativo il fatto che i «giovani figli gemelli di Zeus» fossero onorati in un tempio situato all’interno di un santuario dedicato ad Apollo o ad Artemide, anch’esse divinità gemelle e tutrici dei giovani. Oltre al Phoibaion, ai Dioscuri erano stati dedicati anche due santuari ciascuno: uno al di fuori di Terapne (dedicato a Polluce) e un altro a Sparta, comprendente anche una sepoltura (dedicato a Castore). Vi è poi il santuario dei Dioscuri a Sparta, sito nei pressi del Dromos, condiviso con altre divinità

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Scrive Alceo (fr. 3 = 5 Voigt. = 34a L.P.)181:

δεῦτε μοι νᾶ]σον Πέλοπος λίποντε[ς παῖδες ἴφθ]ιμοι Δ[ίος] ἠδὲ Λήδας εὐνόω]ι θύ[μ]ωι προ[φά]νητε, Κάστορ καὶ Πολύδε[υ]κες, οἲ κὰτ εὔρηαν χ[θόνα] καὶ θάλασσαν παῖσαν ἔρχεσθ’ ὠ[κυπό]δων ἐπ’ ἴππων, ῤήα δ’ ἀνθρώποι[ς] θα[ν]άτω ῤύεσθε ζακρυόεντος εὐσδ[ύγ]ων θρώισκοντ[ες ἐπ’] ἄκρα νάων π]ήλοθεν λάμπροι πρό[τον’ ὀν]τρ[έχο]ντες ἀργαλέαι δ’ ἐν νύκτι φ[άος φέ]ροντες νᾶϊ μ[ε]λαίναι182

L’espressione φ[άος φέ]ροντες si riferisce ad un’immagine tratta dalla tradizione epica (Il. 16.95-96 riferito ad Apollo; Od. 23.243-45 riferito all’Aurora); φ[άος assume in questo contesto il duplice significato di «luce» e «sicurezza». La terza strofe descrive lʼintervento salvifico, attraverso motivi noti e innovativi; in particolare, viene descritto il fenomeno dei «fuochi di SantʼElmo», interpretato in senso mitico come bagliori che segnalano l’epifania della coppia divina.

Come si è detto, i Dioscuri nel culto greco erano venerati come dèi soccorritori e salvatori dei naviganti, come divinità portatrici di luce nell’oscurità della tempesta183.

ad essi legate simbolicamente (Eileithuia, le Khariti, Apollo Karneios e Artemide Hēgomenē) in quanto preposte all’assistenza, tutela e iniziazione della gioventù in tutte le sue fasi, fino all’età adulta. Cf. op.cit., pp. 129-130.

181 Trad. ac. di Guidorizzi 2007: “Venite qui, abbandonando l’isola di Pelope, | o prodi figli di Zeus e Leda,

| apparite con cuore benevolo, tu Castore | e tu Polluce, | voi che sull’ampia terra e sopra il mare | galoppate sul dorso di cavalli dagli zoccoli veloci, | e facilmente salvate gli uomini da morte | agghiacciante | balzando sugli alberi delle salde navi | da lontano rifulgete lungo le sartie | e nella notte cupa portate la luce | sopra la nera nave”.

182 Si tratta di un Inno ai Dioscuri che, in quanto protettori dei naviganti, erano particolarmente venerati

nell’ambiente marinaro con cui Alceo era in contatto (anche l’Inno omerico XXXIII li celebra come soccorritori delle navi in pericolo).

183 Cf. Hymn. Hom. 33: “Celebrate, o Muse dagli occhi vivaci, i fanciulli di Zeus, | i Tindaridi, splendidi

figli di Leda dalla belle caviglie: | Castore domatore di cavalli e Polluce perfetto | che sotto la vetta del gran monte Taigeto | dopo essersi unita in amore al Cronide dalla scura nube | ella generò, salvatori degli uomini sopra la terra | e delle navi dalla corsa veloce, quando le bufere d’inverno | si susseguono sopra il mare crudele: i marinai dalle navi | invocano i figli del grande Zeus, sacrificano | agnelli bianchi, s’aggrappano in cima alla poppa, | il gran vento e il flutto del mare spingono la nave | sott’acqua, ma d’improvviso essi appaiono | balzando nell’aria con rapido battere d’ali | e subito placano il soffio dei venti feroci, | spianano le bianche distese delle onde sul mare, | segno gradito per i marinai, inatteso, e quelli | hanno sollievo vedendolo, cessano l’angosciosa e la fatica. | Salute, o Tindaridi, che montate su veloci cavalli, | io mi ricorderò di voi e di un altro canto ancora” (Trad. ac. di S. Romani in Guidorizzi 2009).

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Secondo la testimonianza di Alceo, ai Dioscuri, non a Poseidone, si levava la preghiera dei marinai, in attesa del loro miracoloso intervento. La medesima caratterizzazione emerge nei versi di Teocrito (Id. 22. 17-20)184:

ἀλλ' ἔμπης ὑμεῖς γε καὶ ἐκ βυθοῦ ἕλκετε νῆας αὐτοῖσιν ναύτῃσιν ὀιομένοις θανέεσθαι· αἶψα δ' ἀπολήγουσ' ἄνεμοι, λιπαρὴ δὲ γαλήνη ἂμ πέλαγος· νεφέλαι δὲ διέδραμον ἄλλυδις ἄλλαι·

Invocati a Tebe come «divinità dai bianchi cavalli», durante le tempeste i Dioscuri, in groppa a splendidi corsieri, accorrevano veloci dall’alto dei cieli alla preghiera delle genti del mare che rischiavano la vita.

La loro epifania si accompagnava a fenomeni luminosi, tanto che al tempo di Euripide erano assimilati alla Costellazione dei Gemelli (Eur. Hel. vv. 1495-1510)185:

Χορός μόλοιτέ ποθ᾽ ἵππιον οἶμον 1495 δι᾽ αἰθέρος ἱέμενοι παῖδες Τυνδαρίδαι, λαμπρῶν ἄστρων ὑπ᾽ ἀέλλαισιν· οἳ ναίετ᾽ οὐράνιοι186, σωτῆρες τᾶς Ἑλένας, 1500 γλαυκὸν ἔπιτ᾽ οἶδμα κυανόχροά τε κυμάτων ῥόθια πολιὰ θαλάσσας, ναύταις εὐαεῖς ἀνέμων

184 Trad. ac. di Romagnoli 1969: “Eppure persino dall’abisso del mar voi traete le navi con | i marinai stessi,

quando sono ormai certi di morire. | Subito allora i venti si placano e una lucente bonaccia | si stende sul mar; di qua e di là si disperdono tutte le nubi”.

185 Trad. ac. di Romagnoli 1967: “Deh, se giungeste, l’impeto dei corsieri | spingendo per l’etere, | o figli

di Tindareo | che, sottesi i turbini dei fulgidi astri, | dimora avete in cielo, | salvatori di Elena, | venite, sopra i glauchi marosi e i flutti ceruli delle onde | del mare che bianchi spumano, | recando da Giove venti favorevoli per i nocchieri; | e il biasimo delle nozze barbariche | lungi tenete dalla vostra consanguinea [Elena], | [biasimo che ella] si guadagnò | pagando il fio della contesa dell’Ida, | senza mai giungere presso le mura | d’Apollo della città di Ilio”.

186 Cf. anche Hyg. Poet. Astr. II 22: “Costellazione dei Gemelli: secondo molti astronomi si tratta di Castore

e Polluce, i quali, tra tutti i fratelli si tramanda siano stati i più affezionati tra loro, al punto che non furono mai rivali per il potere e non fecero mai nulla senza prima essersi l’un l’altro consultati. Per questi meriti si pensa che Zeus li abbia collocati in primo piano tra le costellazioni. Poseidone li ricompensò con il medesimo proposito: donò loro in cavalli che montano e la facoltà di salvare i naufraghi. Secondo altri tuttavia si tratta di Ercole e Apollo, e alcuni li identificano con Trittolemo, di cui sopra abbiamo parlato, e Iasione, amati da Cerere e trasportati in cielo. Ma coloro che parlano di Castore e Polluce aggiungono che Castore fu ucciso nella città di Afidna, quando gli Spartani fecero guerra agli Ateniesi. Altri raccontano che morirono quando Ida e Linceo attaccarono Sparta. Omero narra che Polluce concedette al fratello metà della sua vita, e così ciascuno di loro risplende a giorni alterni” (trad. ac. di S. Romani in Guidorizzi 2009).

74 πέμποντες Διόθεν πνοάς· δύσκλειαν δ᾽ ἀπὸ συγγόνου 1505 βάλετε βαρβάρων λεχέων, ἃν Ἰδαίων ἐρίδων ποιναθεῖσ᾽ ἐκτήσατο, γᾶν οὐκ ἐλθοῦσά ποτ᾽ Ἰλίου Φοιβείους ἐπὶ πύργους. 1510

Così li cantava Teocrito (Id. 22. 1-9)187:

Ὑμνέομεν Λήδας188 τε καὶ αἰγιόχου Διὸς υἱώ, Κάστορα καὶ φοβερὸν Πολυδεύκεα πὺξ ἐρεθίζειν χεῖρας ἐπιζεύξαντα μέσας βοέοισιν ἱμᾶσιν. ὑμνέομεν καὶ δὶς καὶ τὸ τρίτον ἄρσενα τέκνα κούρης Θεστιάδος, Λακεδαιμονίους δύ' ἀδελφούς, ἀνθρώπων σωτῆρας ἐπὶ ξυροῦ ἤδη ἐόντων, ἵππων θ' αἱματόεντα ταρασσομένων καθ' ὅμιλον, νηῶν θ' αἳ δύνοντα καὶ οὐρανὸν εἰσανιόντα ἄστρα βιαζόμεναι χαλεποῖς ἐνέκυρσαν ἀήταις.

Come in Euripide, anche in Teocrito l’epiteto che accompagna i due gemelli divini è quello di σωτῆρες, che indica precisamente la loro funzione, peraltro condivisa con altre divinità che portano il medesimo epiteto: Zeus, Apollo, Ermes, Asclepio. Il termine è presente anche in alcune iscrizioni relative al culto dei Dioscuri: IG12(3).422 (Thera, III secolo a.C.), 14.2406.108 (Taranto)189.

Considerati salvatori non solo fra i pericoli del mare, ma anche fra quelli della guerra, i divini gemelli erano anche invincibili guerrieri e tale caratterizzazione come

187 Trad. ac. di Romagnoli 1969: “Cantiamo di Leda e Giove, signore dell’egida, i figli, | Castore e Polluce,

tremendo da sfidare a pugni | quando abbia legato le mani con le corregge bovine. | Cantiamo due volte e anche una terza i figli maschi | della figlia di Testio, i due fratelli lacedemoni, | salvatori degli uomini ormai prossimi alla fine, | e dei cavalli imbizzarriti nel tumulto sanguinoso, | e delle navi che, ignorando il tramontare e il sollevarsi dal cielo | degli astri, s’imbattono in violente procelle”.

188 Leda era figlia di Testio, re dell’Etolia. Il proemio prende a modello l’Inno omerico 33. 6 ss. cf. Vox

1997, p. 297.

189 Cf. per Zeus: Pind. Isthm.6(5).8, Ol. 5.17, Fr. 30.5, IG22.410.18 (IV sec. a.C.); Diph. 43.24; Strab.

9.1.15; Aesch. Fr. 55; Ar. Thesm. 1009, Din. Fr. 1.36; Philem. Fr. 79.21, Men. Fr. 532.2, etc. Per Apollo: Aesch. Ag.512, etc.; per Ermes, Aesch. Cho. 2; per Asclepio IG4.718, 7.2808. Σωτῆρες era un titolo che poteva essere riconosciuto anche ai sovrani dell’Egitto e ad alcuni imperatori romani. Cf. LSJ, s.v. σωτήρ.

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divinità soccorritrici e protettrici divenne un motivo tradizionale190. Nel prologo (vv.1- 26) dell’Idillio XXII di Teocrito, al. v. 24 i Dioscuri sono ricordati anche come ἱππῆες, attributo che ricorre anche in Alcmane (Κάστωρ τε πώλων ὠκέων δματῆρες, ἱππόται σοφοί, | καὶ Πωλυδεύκης κυδρός, fr. 3 Calame), in Hymn. Hom. 33.18 e in Eur. Hel. v. 1495191; nei contesti in cui le caratteristiche dei due gemelli vengono distinte, l’abilità nel domare cavalli è riconosciuta a Castore (cf. Od. 11.300, Ap. Rhod. Argon. 1.147)192. In Id. 22.24 Teocrito li definisce anche κιθαρισταί e ἀεθλητῆρες. Per quanto concerne la

prima espressione, nelle fonti antiche i Dioscuri non vengono generalmente caratterizzati in questo modo né rappresentati con le κιθάραι, sebbene essi vengano associati all’arte della danza e a quella auletica (quest’ultima chiamata Καστόρειον, cf. schol. ad Pind.

Pyth. 2.127, al.); pertanto, in assenza di simili riscontri in altre fonti, secondo Gow è

probabile che in tal caso Teocrito abbia definito Castore e Polluce come ἀοιδοί e κιθαρισταί poiché cantare e suonare la cetra erano doti riconosciute anche ai cavalieri (cf. 24.109) e perché egli vuole attribuire il patronato della poesia a Castore e Polluce (215 ss.)193. Anche in altre fonti (cf. Pind. Nem. 10.51; Paus. 2.34.10, 5.8.4) i Dioscuri sono ricordati come patroni della disciplina ginnica e delle competizioni atletiche.

Durante la giovinezza i Dioscuri parteciparono a importanti imprese, nelle quali il mito si intesse con la storia: la spedizione degli Argonauti, la fondazione di città (fra cui Dioscuride, nella Colchide, e Amicle nel Lazio), la lotta contro i pirati delle isole dell’Egeo e la caccia del cinghiale di Calidone194.

Secondo la leggenda locrese, grazie al loro intervento l’esercito di Locri ottenne la vittoria nello scontro con la città di Crotone durante la battaglia della Sagra195.

190 In Teocrito, tale caratterizzazione positiva di Castore e Polluce come salvatori può risultare

apparentemente incongruente con quella negativa che emerge nella descrizione dei due che il poeta offre in merito alla lotta contro gli Afaretidi (specie nell’episodio relativo a Castore, vv. 135 ss.); ma il contesto narrativo è diverso.

191 Ved. Calame 1983. 192 Cf. Gow 1965, p. 387. 193 Cf. ibid. nota sopra.

194 Tra le testimonianze iconografiche relative alla caccia al cinghiale calidonio vi è il Cratere François (570

a.C., Firenze, Museo archeologico nazionale), in ceramica attica a figure nere, che ritrae la divina coppia; per quanto concerne invece l’impresa argonautica, i due fratelli compaiono in una delle metope appartenenti al fregio del monopteros di Delfi (VI secolo a.C.), facente parte del Tesoro dei Sicioni (l’episodio del duello tra Polluce e Amico, re dei Bebrici, non compare nelle raffigurazioni prima del V secolo a.C.) Cf. Gantz 1993, p. 324.

195 Ved. § 2.5. Secondo la leggenda i Dioscuri sarebbero apparsi nel folto della mischia in groppa ai loro

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