• Non ci sono risultati.

Il danno da licenziamento illegittimo

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

3.4 Il danno da licenziamento illegittimo

Com’è evidente, il diritto di recesso, nel contratto di lavoro, è foriero di peculiari problematiche e non è suscettibile di essere esercitato senza alcun limite.

È vero che, ictu oculi, potrebbe sembrare che tale diritto sia necessario a garantire la libertà delle parti del rapporto; tuttavia è opportuno prendere in considerazione l’ineliminabile condizione di squilibrio esistente tra il datore di lavoro e il lavoratore.

Il datore di lavoro offre, sul mercato, un bene – l’occupazione – assai meno disponibile e fungibile rispetto a quello offerto dal lavoratore – appunto, la prestazione lavorativa. Per tale motivo, è pacifico ammettere che il datore di lavoro si trovi in una posizione predominante, nell’ambito del rapporto di lavoro, e l’esercizio libero del diritto di recesso finirebbe solo per avvantaggiare quest’ultimo39.

Il potere di recesso unilaterale, da parte del datore di lavoro, può essere esercitato in presenza di una giustificazione sostanziale: a tal proposito, si deve fare riferimento alla giusta causa, al giustificato motivo soggettivo e al giustificato motivo oggettivo.

La giusta causa è un presupposto di validità del licenziamento disciplinare; tale è la causa che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro 40.

Il giustificato motivo soggettivo è, anch’esso, un presupposto di validità del licenziamento disciplinare; si tratta di un “notevole

38 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 302.

39 O.MAZZOTTA, op. cit., p. 657.

inadempimento degli obblighi contrattuali”41. In questo caso, però, a differenza della giusta causa, il licenziamento dev’essere intimato con preavviso.

Infine, vi è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero quello intimato per “ragioni inerenti all'attività produttiva,

all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”42. Sono altresì necessari specifici requisiti di forma per poter intimare il licenziamento al lavoratore43.

Il quadro normativo appena richiamato delimita la libertà del datore di lavoro di licenziare un proprio lavoratore dipendente.

Se il datore di lavoro intima il licenziamento in virtù di giusta causa o giustificato motivo, tale atto è legittimo.

Ciò che è rilevante ai fini di questa tesi, invece, attiene alla sfera dell’utilizzo patologico della facoltà di recedere da parte del datore di lavoro, ossia all’ipotesi del cd. licenziamento illegittimo.

Com’è evidente, il licenziamento illegittimo è un atto contra

ius, suscettibile di cagionare un danno alla sfera giuridica del

lavoratore.

Il danno al lavoratore può essere di tipo non patrimoniale. A questo proposito, si rimanda al paragrafo successivo per un approfondimento sul tema della lesione della dignità del lavoratore in caso di licenziamento ingiurioso.

Tuttavia, non si può trascurare la palese lesione agli interessi di tipo patrimoniale del lavoratore licenziato, dovuta alla perdita del posto di lavoro.

La tutela del lavoratore licenziato contra ius è stata oggetto di radicali ripensamenti e modificazioni, dovuti al complesso panorama politico ed economico degli ultimi anni.

Originariamente, l’art. 18 stat. lav. prevedeva – almeno con riferimento alle aziende con più di quindici dipendenti – la

41 Art. 3 d.lgs. n. 604/1966. 42 Art. 3 d.lgs. n. 604/1966.

43 Art. 2 d.lgs. n. 604/1966 così come modificato dalla l. n. 92/2012 (riforma

Monti); nel caso del licenziamento disciplinare, dev’essere rispettata la procedura di cui all’art. 7 stat. lav.

conseguenza giuridica della reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo. Non solo: per il periodo anteriore alla sentenza, il giudice doveva condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito, commisurato nel minimo a cinque mensilità di retribuzione.

In alternativa alla reintegrazione, il lavoratore aveva la facoltà di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto.

Tale rimedio consentiva una riduzione in pristino della sfera giuridica del lavoratore danneggiato, ed era capace di realizzare una tutela piena dei diritti patrimoniali del lavoratore.

Com’è noto, l’art. 18 stat. lav. è stato profondamente rivisitato dalla riforma Fornero, ossia la l. n. 92/2012.

L’obiettivo di tale riforma era quello di garantire un maggiore dinamismo nel settore del lavoro, al fine di aumentare le chances di ripresa economica44.

Senza perdersi nei meandri di tale novella legislativa, in questa sede è opportuno ricordare che la l. n. 92/2012 ha previsto alcune tutele diverse, accanto a quella dell’originario art. 18 stat. lav. – che ad oggi viene applicata solo con riferimento a determinate ipotesi45.

A seconda del vizio che inficia la legittimità del licenziamento, accanto alla tutela reintegratoria piena, attualmente esistono anche la tutela reintegratoria attenuata e l’indennità risarcitoria.

La tutela reintegratoria attenuata prevede pur sempre la facoltà di scegliere, per il lavoratore, se essere reintegrato nel rapporto di lavoro o se optare, invece, per le quindici mensilità commisurate sull’ultima retribuzione globale di fatto. Inoltre, al lavoratore spetta

44 A.MONTANARI, Jobs act e tutela contrattuale della persona: un’involuzione?, in

Europa e diritto privato, 2016, parte III, p. 659.

45 Si tratta delle ipotesi di cui all’art. 18 stat. lav., comma 1. Si pensi al

licenziamento cd. discriminatorio, a quello intimato in concomitanza con il matrimonio o in violazione dei divieti ex art. 54 del d.lgs. n. 151/2001, al licenziamento nullo per espressa previsione di legge, per motivo illecito

un’indennità risarcitoria non superiore a dodici mensilità di retribuzione, dedotto l’aliunde perceptum e percepiendum46.

L’indennità risarcitoria della tutela reintegratoria attenuata si atteggia come una “forfetizzazione del risarcimento per il periodo

intermedio” tra il provvedimento di espulsione e la reintegra47.

Tuttavia, resta ferma la riduzione in pristino della posizione previdenziale del lavoratore; l’art. 18 stat. lav., comma 4, prevede che il datore di lavoro sia obbligato al “versamento dei contributi

previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione”.

L’indennità risarcitoria onnicomprensiva, invece, viene determinata in una misura tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto48.

Al fine di stabilirne il quantum in relazione al caso concreto, il giudice dovrà tenere di conto dell’anzianità del lavoratore, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti e, nei casi di cui al comma 7 dell’art. 18 stat. lav.49, anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della l. n. 604/1966.

A questo proposito, è evidente che l’elenco appena citato richieda al giudice la valutazione di parametri che poco hanno a che fare con il danno subito dal lavoratore. Si pensi al riferimento al

46 Art. 18 stat. lav., comma 4. Per quanto riguarda l’esclusione dell’aliunde

perceptum e aliunde percipiendum, questo è quanto prevede l’articolo in esame:

“dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo

svolgimento di altre attività lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione”.

47 O.MAZZOTTA, op. cit., p. 709. 48 Art. 18 stat. lav., commi 5 e 7.

49 Si tratta dell’ipotesi del difetto di giustificazione del licenziamento per motivo

oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, nonché nel caso in cui il licenziamento sia stato intimato in violazione dell’art. 2110 cod. civ., comma 2, che fa riferimento alla possibilità del datore di lavoro di recedere al termine del periodo di comporto.

“numero dei dipendenti occupati” o alle “dimensioni dell’attività

economica” operato dal comma 5 dell’art. 18 stat. lav.

È vero, una timida apertura alla valutazione del danno può essere riscontrata nel riferimento al “comportamento” e alle “condizioni delle parti”: ma tali elementi sembrano quasi due gocce destinate a essere fagocitate dall’oceano costituito da tutti gli altri parametri ai quali il giudice dovrà fare riferimento per la determinazione del quantum.

Nell’ipotesi di violazione dei requisiti formali, l’indennità risarcitoria onnicomprensiva è determinata tra le sei e le dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; in questo caso, il

quantum viene commisurato in relazione alla gravità della violazione

formale o procedurale commessa dal datore di lavoro50.

Per completare il quadro, occorre altresì citare la tutela prevista per i lavoratori che prestano la propria attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro – imprenditore o meno – che occupa fino a quindici lavoratori, ovvero alle dipendenze di imprenditori agricoli che occupano fino a cinque lavoratori51.

L’art. 8 della l. n. 604/1966 prevede un’alternativa tra la

riassunzione del lavoratore entro tre giorni – che non è sinonimo di

reintegrazione – e il risarcimento del danno “compreso fra un minimo

di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto”.

50 Art. 18 stat. lav., comma 5 e 6.

51 L’ambito di applicazione è definito dall’art. 2 della l. n. 108/1990: “I datori di

lavoro privati, imprenditori non agricoli e non imprenditori, e gli enti pubblici di cui all'articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che occupano alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori ed i datori di lavoro imprenditori agricoli che occupano alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori computati con il criterio di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, sono soggetti all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, così come modificata dalla presente legge. Sono altresì soggetti all'applicazione di dette disposizioni i datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti, qualora non sia applicabile il disposto dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato

Il risarcimento si modula “avuto riguardo al numero dei

dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti”. La misura massima dell’indennità può essere altresì

maggiorata; per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni, la misura massima è pari alle dieci mensilità, mentre per il lavoratore con anzianità pari a più di venti anni, il massimo è aumentato fino a quattordici mensilità.

Ovviamente, tale assetto normativo potrebbe sembrare contrario all’art. 3 Cost.: in questo modo si ammette una disparità di trattamento per la tutela dei lavoratori, capace di modularsi diversamente a seconda della dimensione dell’impresa presso la quale svolgono la propria attività lavorativa.

La Corte Costituzionale, tuttavia, ha avuto modo di esprimersi su questa disparità di trattamento, affermando la non contrarietà di tale assetto con il principio di eguaglianza previsto in Costituzione52.

Tale differenziazione trova la sua giustificazione sostanziale nell’esigenza di non gravare, con costi eccessivi, sulle imprese di ridotte dimensioni53; inoltre non si può trascurare il connotato di spiccata fiduciarietà, che caratterizza le relazioni tra i dipendenti e il datore di lavoro nelle piccole imprese, ed è incompatibile con la ricostruzione piena del rapporto di lavoro54.

Non bisogna peraltro sottovalutare che, con riferimento ad alcuni casi specifici tassativamente previsti, si possa pur sempre configurare una tutela reintegratoria piena anche nell’ambito delle imprese di ridotte dimensioni55.

Infine, non si possono non citare le cd. “tutele crescenti” introdotte dal Jobs Act.

Il d.lgs. n. 23/2015 – emanato in attuazione della legge delega n. 183/2014 – ha introdotto un nuovo sistema di tutele, applicabile ai

52 O.MAZZOTTA, op. cit., p. 233.

53 Corte Cost., 14 aprile 1969, n. 81, in IusExplorer (banca dati). 54 Corte Cost., 19 giugno 1975, n. 152, in IusExplorer (banca dati). 55 Tali sono i casi di cui all’art. 18, comma 1, stat. lav.

lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. appena citato).

Salvo i casi residui in cui vige ancora la tutela reintegratoria piena o attenuata56, il datore di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo, deve versare al lavoratore un’indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Il limite minimo sono quattro mensilità, mentre il limite massimo corrisponde a ventiquattro mensilità57.

Ecco dunque spiegato il nome “tutele crescenti”: la tutela aumenta proporzionalmente all’anzianità di servizio.

In altri casi, l’indennità è pari a una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità58.

Dallo scorcio sul quadro normativo attuale – tra la riforma Fornero e le tutele crescenti –, è possibile tracciare una sorta di fil

rouge della nuova tutela predisposta per il lavoratore licenziato contra ius.

Sempre più ridotte sono le ipotesi del ripristino integrale della situazione giuridica del danneggiato: il legislatore opta, piuttosto, per una forfetizzazione del quantum risarcitorio di fronte al verificarsi dell’evento dannoso.

Tale soluzione – è inutile negarlo – ha suscitato non poche critiche. C’è chi ha attribuito la colpa, a tale nuovo quadro normativo, di aver introdotto una “precarietà definitiva”, con conseguente peggioramento della qualità della vita del lavoratore59.

Com’è evidente, il rapporto di lavoro soddisfa gli interessi legati alla realizzazione della persona in una società; per questo, secondo alcuni giuristi, il sistema delle tutele crescenti ha portato a

56 Per la tutela piena, si veda l’art. 2 d.lgs. n. 23/2015; per quanto riguarda la tutela

attenuata, invece, si veda l’art. 3 del medesimo decreto legislativo.

57 Art 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. 58 Art 4 d.lgs. n. 23/2015.

59 A.MONTANARI, Jobs act e tutela contrattuale della persona: un’involuzione?,

una progressiva svalutazione di tale carica realizzatrice dell’attività lavorativa, e una conseguente “brusca riviviscenza dell’idea che

riduce il rapporto di lavoro allo scambio lavoro-denaro e ciò per effetto dell’elisione di quel significato ulteriore che il lavoro assume sul piano empirico e sul piano normativo”60.

Tuttavia, anche se l’ambito di operatività della tutela reintegratoria – piena o attenuata che sia – è stato drasticamente ridotto, non è detto che non sia possibile tutelare in toto il lavoratore anche nell’ambito di questo nuovo quadro legislativo.

Ogni qual volta una norma preveda la predeterminazione dei limiti minimi e massimi del risarcimento, la sola dimostrazione dell’illegittimità del licenziamento porterà a una liquidazione del

quantum dovuto dal datore di lavoro entro tali limiti.

Tuttavia, nulla vieta al lavoratore di allegare e provare danni ulteriori, di tipo patrimoniale e non, e conseguentemente ottenere una tutela capace di fuoriuscire dai limiti della forfetizzazione prevista dal legislatore. Ed è esattamente in questo modo, tramite la prova del danno ulteriore, che diventa possibile ammettere l’esistenza di una tutela effettiva della posizione del danneggiato.