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La liquidazione del danno

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

2.5 La liquidazione del danno

L’obiettivo del risarcimento del danno è porre il danneggiato in una condizione equivalente a quella in cui si trovava antecedentemente al verificarsi del fatto lesivo.

La liquidazione del danno patrimoniale, in virtù dell’art. 1223 cod. civ. consta di due parti: il danno emergente e il lucro cessante.

Il danno emergente è, sic et simpliciter, l’ammontare del

quantum da rimborsare a seguito della lesione. Nel caso in cui il

danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, vi è la possibilità di ricorrere al criterio sussidiario dell’art. 1226 cod. civ., il quale prevede una valutazione equitativa del giudice.

L’altro elemento è il lucro cessante: esso attiene alle ripercussioni patrimoniali future del danno. Il lucro cessante non può avere carattere assoluto, il giudice deve valutare equitativamente che

44 O.MAZZOTTA, op. cit., p. 182. 45 F.MALZANI, op. cit., p. 339.

le poste future siano basate su una “ragionevole e fondata

attendibilità”47.

È evidente però che il danno, dal punto di vista della sua realtà fenomenica, non può essere rimosso come se non si fosse mai verificato, specie se si tratta di un danno ai valori inerenti alla persona, non suscettibile di essere liquidato secondo il criterio dell’equivalenza pecuniaria.

Non si può negare che la giurisprudenza, a lungo, abbia tentato di ricostruire un criterio commensurabilità pecuniaria del danno biologico; per farlo, si basava sul criterio della capacità del danneggiato di produrre reddito.

Inutile rimarcare che tale ricostruzione si rivelò foriera di problematiche per le persone prive di reddito, in quanto non ancora – o non più – inserite nel mercato del lavoro.

Un esempio è dato dal “caso Gennarino”, tristemente famoso poiché il Tribunale di Milano ritenne opportuno commisurare il danno permanente alla persona di un bambino, Gennarino, valutandolo in base al reddito del padre; i giudici motivarono tale ricostruzione affermando che il figlio, una volta adulto, probabilmente avrebbe svolto seguito le orme paterne nella scelta di un mestiere48.

Non solo: negli anni sessanta del secolo scorso c’era chi aveva sostenuto la tesi che il pensionato fosse un “uomo senza alcun

valore”, in quanto “inetto a qualunque occupazione redditizia”. Ma si

possono citare anche i cd “redditi figurativi” che venivano elaborati dalla giurisprudenza di Cassazione per accordare il risarcimento del danno alla persona della casalinga – si fingeva che potesse avere la stessa retribuzione di una domestica ad ore – o al disoccupato – il danno si commisurava in base all’ultima busta paga percepita49.

47 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

LOI,E.NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA, op. cit., p. 681. 48 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

LOI,E.NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA, op. cit., p. 672.

49 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

Già il Tribunale di Pisa, con una sentenza risalente al 1978, aveva denotato i limiti e le insufficienze della giurisprudenza del tempo e aveva rifiutato di adottare, nel caso in cui l’evento lesivo si fosse abbattuto su un minore, il criterio della liquidazione del danno basato su di una previsione in merito al suo guadagno futuro.

Piuttosto, la giurisprudenza pisana si era attestata su un criterio che faceva aggio sull’importo triplicato della pensione sociale. Da tale importo minimo, poi, era possibile operare un progressivo aumento commisurato alla situazione occupazionale esistente al momento della pronuncia e a ogni altra peculiarità, legata alla persona, della fattispecie concreta50.

Già da questa sentenza si evince una ricostruzione della liquidazione del danno pienamente condivisa anche oggi: il criterio liquidativo deve contemperare, da un lato, un’uniformità pecuniaria di base, ma d’altro canto non si può trascurare l’esigenza di elasticità e flessibilità, caratteristiche necessarie a commisurare il danno all’effettiva incidenza negativa sulle attività svolte quotidianamente dal soggetto danneggiato51.

Molti uffici giudiziari si sono dotati di “tabelle” nelle quali è indicato l’ammontare complessivo del risarcimento dovuto in base al grado d’invalidità. Sono famose, ad esempio, la tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.

A partire dal risarcimento minimo indicato dalla tabella, è possibile un aumento del risarcimento attraverso una personalizzazione del danno, compiuta in base alle peculiari circostanze del caso concreto52.

Tale ricostruzione è stata recepita anche al livello normativo dal codice delle assicurazioni private – il d.lgs. n. 209/2005 – in particolare agli artt. 138 e 139.

50 Trib. Pisa, sent. 11 febbraio 1978, in op. cit., p. 572 e ss.

51 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

In base al sistema riportato da queste due disposizioni appena citate, la valutazione medico legale del danno biologico permette di attribuire al danneggiato un punto percentuale di invalidità. Ad ogni punto percentuale corrisponde una somma di denaro, che tuttavia diminuisce in funzione dell’età – più il danneggiato è giovane, più a lungo dovrà sopportare le conseguenze lesive della menomazione – e cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità della menomazione53.

Tale criterio, come si vede, è del tutto a-reddituale. Tuttavia si ricorre all’equità del giudice per adottare alcuni correttivi volti al recupero di una certa elasticità di fronte a esigenze specifiche, che dovranno essere puntualmente allegate e provate dal danneggiato54.

Per quanto concerne il danno non patrimoniale diverso dal danno alla salute, l’unico criterio al quale si può far riferimento è quello della valutazione equitativa “pura” del giudice, anche se deve pur essere ancorata a una serie di indici che devono risultare dalla motivazione della sentenza.

Per citare alcuni esempi, il giudice spesso ha fatto riferimento alla gravità della condotta lesiva, all’intensità del patema d’animo e delle sofferenze subite dalla vittima, oltre che dal grado di sensibilità all’offesa di quest’ultima 55.

Come già affermato in precedenza, la categoria del danno non patrimoniale è unitaria, non suscettibile di essere smembrata in varie sotto-categorie quali il danno patrimoniale, esistenziale e morale soggettivo.

Tuttavia, queste tipologie di danno, tutte riconducibili all’art. 2059 cod. civ., hanno la possibilità di acquisire un valore anche singolarmente considerate; il loro carattere descrittivo può risultare

53 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

LOI,E.NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA, op. cit., p. 679.

54 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

LOI,E.NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA, op. cit., ibidem.

55 U. BRECCIA, L.BRUSCUGLIA, F.D.BUSNELLI,F.GIARDINA,A. GIUSTI, M.L.

utile al fine di commisurare il danno risarcibile alla luce delle varie sfaccettature del danno non patrimoniale.

Chiaramente ciò non significa che sia possibile duplicare il risarcimento del danno, qualificando una medesima conseguenza pregiudizievole alla luce di più tipologie di danno. Se la conseguenza pregiudizievole è unica, come tale dev’essere considerata 56.

Inoltre, come rilevato da Navarretta, questa impostazione tende a mettere in luce “gli eccessi di semplificazione che hanno portato a separare nettamente condizioni come quella della sofferenza e dello sconvolgimento esistenziale, che spesso coesistono e si sovrappongono”. La liquidazione del risarcimento non si può ridurre soltanto a banali operazioni algebriche, perché essa non è suscettibile di essere calibrata solo sulla base della descrizione del contenuto del danno. I criteri scelti nella determinazione del quantum devono tener di conto della funzione della responsabilità civile e dell’esigenza di rendere trasparente la corrispondenza tra i criteri utilizzati e le somme che vengono liquidate.57

56 Cass., sez. lav., 15 gennaio 2014, n. 687, in IusExplorer (banca dati): “Alla

stregua del "diritto vivente" segnato dall'arresto delle Sezioni Unite civili del 2008 (sentenza n. 26972 del 2008, Cass. n. 24015 del 16/11/2011), la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai "nomina iuris" dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione. Tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie di danno biologico e danno morale continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice al fine di dare contenuto e parametrare la liquidazione del danno risarcibile. Pertanto, è erronea la sentenza di merito la quale a tali sottocategorie abbia fatto riferimento, ove, attraverso il ricorso al danno biologico ed al danno morale, siano state risarcite due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli (ad esempio ricomprendendo la sofferenza psichica sia nel danno "biologico" che in quello "morale"); se, invece, facendo riferimento alle tradizionali locuzioni, il giudice abbia avuto riguardo a pregiudizi concretamente diversi, la decisione non può considerarsi erronea in diritto (cfr. Cass. n. 25222 del 29/11/2011; v. pure, da ultimo, Cass. n. 4043 del 19 febbraio 2013)”.

57 Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, con nota di E. NAVARRETTA, Il

valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, I parte, ibidem.

3. LE VARIE DECLINAZIONI DEL DANNO ALLA PERSONA NEL RAPPORTO DI LAVORO