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Il danno da mobbing

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

3.1 Il danno da mobbing

Come già accennato nella breve panoramica sul mobbing presentata nella premessa di questa tesi, il fenomeno in esame può essere definito come una “situazione lavorativa di conflittualità

sistematica, persistente e in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. La vittima del mobbing si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche ad invalidità psicofisiche e permanenti di vario genere e percentualizzazione”1.

Stando alle ricostruzioni operate da dottrina e giurisprudenza, per configurare un’ipotesi di mobbing è altresì necessario che la condotta del soggetto agente sia dolosa e che i comportamenti offensivi si susseguano con una certa continuità nel tempo 2.

Gli atteggiamenti ostili si rivolgono nei confronti di un dipendente individuato come “vittima”; tale contegno aggressivo può essere adottato sia dai colleghi – mobbing orizzontale – che dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici – mobbing verticale3.

Non è rilevante chi, concretamente, abbia posto in essere la condotta lesiva.

1 Si tratta di una definizione di H. EGE, richiamata da R. SCOGNAMIGLIO, A

proposito del mobbing, op. cit., p. 494.

2 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit., p.

297.; sul disegno persecutorio, in particolare si veda Cass., sez. lav., 6 marzo 2006, n. 4774 in IusExplorer (banca dati).

3 P. TULLINI, Mobbing e rapporto di lavoro: una fattispecie emergente di danno

Il datore di lavoro è destinatario dell’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica e della personalità morale del lavoratore, così come emerge dall’art. 2087 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 1218 cod. civ. Anche se le condotte lesive non sono state poste in essere da tale figura apicale, è comunque possibile ricostruire la sua responsabilità nel senso di una culpa in vigilando o in eligendo4.

L’approccio al fenomeno del mobbing richiede necessariamente che si adotti un’ottica interdisciplinare. Si consideri che questo tema è stato oggetto di studio della psicologia, prima ancora che approdasse nella dimensione giuridica; la figura professionale a cui spetta la prima valutazione di un presunto caso di

mobbing non può che essere uno psicologo5.

Innanzitutto, occorre precisare che le indagini condotte nell’ambito della scienza psicologica hanno dimostrato un’innegabile correlazione tra le azioni di mobbing e l’insorgenza di disturbi di tipo psichico. Ergo, ciò significa che il mobbing può cagionare un danno biologico6.

Si può altresì sostenere – in base a quanto previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 38/2000 – che, nei casi più gravi o invalidanti di perturbazione psichica, la lesione possa integrare l’ipotesi della malattia professionale e, pertanto, possa essere indennizzabile dall’INAIL. Infatti, il comma 4 del presente articolo lascia aperta la possibilità, per il lavoratore, di provare la sussistenza di una malattia professionale non tipizzata, purché dimostri che essa ha avuto origine dall’ambiente lavorativo7.

Tuttavia, non si può sostenere che la lesione da persecuzione psicologica sia indennizzabile tout court dall’INAIL; esistono profili

4 F.MALZANI, op. cit., p. 324.

5 H. EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in Il danno alla

persona del lavoratore, a cura di A.I.D.La.S.S., Milano, Giuffrè, 2007, p. 157.

6 P. TULLINI, Mobbing e rapporto di lavoro: una fattispecie emergente di danno

alla persona, op. cit., p. 261.

del danno da mobbing che fuoriescono dalla prospettiva del danno biologico e della malattia professionale8.

C’è chi, in dottrina, ha riconosciuto il danno da mobbing come una lesione alla sfera patrimoniale, ravvisando in esso un danno alla professionalità; per altri, invece, si tratta di un danno esistenziale9.

Questa tipologia di danno ha sicuramente natura complessa, ed è suscettibile di ricomprendere entrambe le ipotesi appena ricordate, anche se non s’identifica con esse10.

Indubbiamente, le difficoltà sociali vissute dal mobbizzato possono portare a una perdita delle capacità professionali, con conseguenti ripercussioni negative sulla sua sfera lavorativa11.

Il danno da mobbing ha altresì una natura esistenziale, in quanto provoca un pregiudizio alla qualità di vita in senso lato della persona del lavoratore. Tra gli effetti della persecuzione psicologica, non sono infrequenti, da parte della vittima, atteggiamenti di disinteresse verso la propria vita privata, verso il proprio futuro, nonché una totale sfiducia nei confronti di sé: in questo contesto, non sono rare persino le ipotesi di crisi coniugali12.

Chiaramente, si può configurare anche un danno da perdita di

chance, dovuto dall’azzeramento della professionalità acquisita13. Tuttavia non si può trascurare uno dei profili più importanti: la condotta persecutoria incide profondamente sulla sfera della dignità del lavoratore. Anche se, a questo riguardo, è necessario tenere presente che il carattere di indesideratezza e molestia del comportamento deve pur sempre essere valutato nella sua oggettività; non bisogna attribuire rilievo alle mere rappresentazioni soggettive della vittima14.

8 P. TULLINI, Mobbing e rapporto di lavoro: una fattispecie emergente di danno

alla persona, op. cit., p. 262.

9 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., p. 162. 10 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., ibidem. 11 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., ibidem. 12 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., p. 163. 13 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., ibidem. 14 R.DEL PUNTA, op. cit., p. 227.

Al fine di ottenere il risarcimento del danno da mobbing, sono due gli elementi che la vittima deve provare: 1) che la situazione che ha vissuto sul lavoro sia riconducibile al mobbing; 2) che da essa sia derivato un danno risarcibile; il lavoratore deve dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra il mobbing subito e il danno riportato15.

Tuttavia, le circostanze di fatto che stanno alla base del

mobbing non sono agevoli da provare: in alcuni casi non sono

sufficienti le deposizioni testimoniali o le risultanze documentali, ma occorre far ricorso allo strumento delle presunzioni – gravi, precise e concordanti – ex art. 2729 cod. civ.

In particolare, la prova per presunzioni è di vitale importanza quando gli atti o i comportamenti offensivi, singolarmente considerati, non siano immediatamente lesivi dei diritti del lavoratore16.

Al fine di riconoscere il fenomeno del mobbing, la giurisprudenza, non avendo alcun ancoraggio di tipo normativo, ha elaborato una propria casistica di comportamenti rilevanti: tra questi, si possono citare il sistematico disconoscimento dei meriti del dipendente, la reiterata inflizione di provvedimenti disciplinari, l’invio di ripetute visite domiciliari di controllo, i comportamenti diffamatori adottati dai colleghi, lo svolgimento della prestazione lavorativa in locali angusti e il trattamento ingiurioso del lavoratore messo in atto da un superiore gerarchico17.

Con riferimento all’accertamento del nesso di causa, sicuramente assume rilevanza la perizia dello psicologo che abbia un’adeguata formazione su tale tema specifico. Non è infrequente, tuttavia, che siano i medici legali – e non gli psicologi – ad attestare tale nesso di causa nei loro referti; questa prassi non è condivisibile perché la medicina legale non è una scienza che si occupa di stabilire la presenza del mobbing in un ambiente di lavoro18.

15 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., p. 161. 16 R.SCOGNAMIGLIO, A proposito del mobbing, op. cit., p. 508.

17 Sul punto v. P. TULLINI, Mobbing e rapporto di lavoro: una fattispecie

emergente di danno alla persona, op. cit., p. 154, nonché R. SCOGNAMIGLIO, A

Quanto detto è pertinente al fine di dimostrare il danno da

mobbing in sede giudiziale, al fine di ottenere il risarcimento: ma,

come già affermato in precedenza nella presente tesi, la tutela risarcitoria si pone in un’ottica ex post, poiché rileva soltanto dopo la verificazione del danno stesso.

Con lo sguardo rivolto al futuro, tuttavia, vi sono elementi che giocano a sfavore della possibilità di prevenire tale fenomeno ex ante: in un panorama giuridico fortemente connotato dalla precarietà del lavoro, è possibile che la minaccia della perdita dell’impiego possa diventare un nuovo modo per esercitare il mobbing sul lavoratore19.