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La natura contrattuale dell'obbligo di sicurezza

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

1.4 La natura contrattuale dell'obbligo di sicurezza

La qualificazione dell’obbligo di sicurezza come obbligo di natura contrattuale è stata oggetto di un profondo dibattito giuridico; tale ricostruzione, ad oggi, è generalmente condivisa dalla dottrina55 e dalla giurisprudenza56, ma, tuttavia, non mancano teorie di segno contrario.

Una sentenza che mette in mostra proprio la difficoltà dell’inquadramento dell’obbligo è sicuramente la n. 4980/ 2006 della Corte di Cassazione: in questo caso, di fronte alla richiesta risarcitoria

53 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 106 e ss.

54 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 106.

55 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 125.

56 Per citarne alcune: Cass., sez. lav., 14 novembre 2005, n. 22929; Cass., sez. lav.,

25 maggio 2006, n. 12445; Cass., sez. lav., 17 maggio 2006, n. 11523 in

dei prossimi congiunti di un lavoratore deceduto, la Corte ha risposto scindendo a metà la natura della responsabilità. Essa ha collocato nell’ambito della responsabilità extracontrattuale la pretesa iure

proprio, mentre la fonte dell’azione iure hereditario dei prossimi

congiunti veniva individuata nell’alveo della responsabilità contrattuale, perché contrattuale era la responsabilità del datore di lavoro nei confronti del loro dante causa57.

Anche una parte minoritaria della dottrina sposa la tesi contraria: solo per citare un esempio, Scognamiglio ritiene che la responsabilità sia di natura aquiliana, ex art. 2043 cod. civ.58

Al fine di poter affermarne la natura contrattuale dell’obbligo di sicurezza, che è la conclusione condivisa anche dalla presente tesi, è opportuno esaminare alcune delle teorie di segno contrario a questa ricostruzione, al fine di coglierne le debolezze intrinseche.

Parte della dottrina più risalente aveva riconosciuto natura pubblicistica all’obbligo di sicurezza; si riteneva, infatti, che l’esigenza di garantire la salubrità e la sicurezza dell’ambiente di lavoro rispecchiasse un interesse pubblico, generale.

Tale ricostruzione finiva inevitabilmente per sacrificare la posizione del singolo sull’altare della tutela della collettività: la garanzia dell’integrità fisica, per il singolo lavoratore, non era qualificabile come diritto soggettivo, in questo quadro. Il lavoratore aveva un mero interesse legittimo, peraltro riflesso, connesso alla tutela di un interesse pubblico.

Ciò significava inquadrare l’art. 2087 cod. civ. come una norma di diritto pubblico, e la violazione della stessa comportava, per il datore di lavoro, una responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. 59

Inutile dire che la degradazione della posizione del prestatore da diritto soggettivo a interesse legittimo, con riguardo alla tutela della

57 Cass., sez. lav., 8 marzo 2006, n. 4980, in IusExplorer (banca dati).

58 R.SCOGNAMIGLIO, Il danno alla persona del lavoratore: i temi dell’indagine in

Il danno alla persona del lavoratore, a cura di A.I.D.La.S.S., Milano, Giuffrè,

2007, p. 1.

sicurezza, non è una conclusione che possa essere condivisibile. Un’altra parte della dottrina, invece, aveva descritto tale obbligo come se fosse un Giano bifronte, suddividendone il lato passivo e quello attivo.

Dal lato passivo, vi era soltanto un soggetto: il datore di lavoro. Da quello attivo, invece, i soggetti creditori erano due: il lavoratore e lo Stato.

Questa tesi trovava le proprie fondamenta nella considerazione che il diritto del lavoro proteggesse il lavoratore in quanto persona, e non solo per quanto concerne l’ambito economico: a questo proposito, l’introduzione della Costituzione sancì un momento importante, che permise di individuare nella personalità del prestatore la base di tutto l’apparato protettivo presente nel diritto del lavoro 60.

Muovendo da tale premessa, ci si chiedeva se il lavoro potesse essere considerato come un bene distinto dalla persona o no.

Nel caso di risposta negativa a tale interrogativo, la disciplina del rapporto obbligatorio era capace di esaurire ogni aspetto del problema: i diritti di credito che ne scaturiscono sono regolati come tali, tuttalpiù il legislatore poteva intervenire per limitare l’autonomia contrattuale delle parti.

D’altro canto, nel caso di risposta affermativa, si teorizzava una compresenza – nell’ambito del rapporto di lavoro – di diritti di credito puramente economici con situazioni giuridiche aventi, invece, natura strettamente personale. L’obbligo del datore di lavoro era scisso tra il polo del diritto pubblico e quello privato, tra i diritti assoluti della personalità e quelli relativi, ossia quelli patrimoniali che scaturivano dal contratto di lavoro. E ciò non solo non trovava conforto nell’art. 2087 cod. civ, ma finiva, ancora una volta, per indebolire l’obbligo di sicurezza nella dimensione contrattuale, per proiettarlo nel diritto

60 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

pubblico 61.

Non solo: se si configura il diritto alla tutela della personalità del lavoratore come un diritto assoluto, posto in una dimensione esterna al contratto, difficilmente si potrà configurare un obbligo più ampio rispetto al semplice neminem laedere, essendo questa tesi di difficile compatibilità con la prescrizione di un comportamento a contenuto positivo in capo all’obbligato62.

In linea di continuità con la tesi appena esaminata, vi è la teoria della cd. cooperazione creditoria.

Intanto, è già problematico il punto di vista adottato dalla dottrina nella denominazione stessa della tesi: “cooperazione creditoria”. Se si guarda all’obbligo di cui all’art. 2087 cod. civ., il creditore dovrebbe essere il prestatore d’opera e non il datore di lavoro.

Quello che invece la dottrina intende con “cooperazione creditoria” è un mero onere di collaborazione da parte del datore di lavoro – che è il creditore della prestazione di lavoro – affinché egli predisponga un ambiente sano.

Dunque, la tesi fa riferimento a un onere, non a un vero obbligo del datore di lavoro.

Stando a questa ricostruzione dottrinaria, se si volesse ammettere un obbligo da parte del datore di lavoro, si dovrebbe anche ammettere un diritto del lavoratore a svolgere la prestazione63.

Certo, non mancano elaborazioni a sostegno della teoria dell’esistenza di un diritto alla prestazione da parte del lavoratore. Tuttavia, per citare Grandi: “La configurazione del rapporto di lavoro

come costitutiva anche di un ordinario diritto ad eseguire la

61 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 132 e ss.

62 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 134.

63 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

prestazione da parte del lavoratore ha basi normative alquanto evanescenti. Essa è il frutto di una costruzione teorica fondata su dati indiziari (ai quali, come talora accade, si fa dire quello che, in realtà, non dicono), la quale eleva a fenomeno generale una varietà di situazioni d'interesse nell'area della prestazione di lavoro, che o non sono di ricorrenza costante o lo sono con modalità o intensità diverse. Così, ad esempio, la tutela costituzionale del diritto al lavoro nulla ha a che vedere con il diritto ad eseguire concretamente una data prestazione, essendo ben diverso il suo significato”64.

In più, per citare Albi, è necessario “evitare il paradosso del

lavoratore obbligato (…) e al tempo stesso titolare di un diritto all’esecuzione della prestazione lavorativa”65.

L’ultima teoria minoritaria da esaminare è quella degli obblighi di protezione, elaborata dalla dottrina tedesca, la cd. Schutzplifchten.

Tale tesi presuppone che vi siano una serie di obblighi accessori, anche non espressamente convenuti dalle parti (sicurezza, informazione etc.) capaci di integrare le clausole generali di correttezza e buona fede degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. 66

La teoria degli obblighi di protezione ha il merito di riconoscere la natura contrattuale dell’obbligo di sicurezza; ma ciò non è sufficiente.

Tra le obiezioni principali che si possono muovere agli obblighi di protezione, vi è sicuramente quella di relegare l’obbligo di sicurezza “in una sorta di limbo, ai margini del contratto di lavoro –

con la mortificazione del contenuto e della portata prevenzionale dell’articolo 2087”67.

Sulla funzione della correttezza e della buona fede, inoltre, è possibile citare Bigliazzi Geri: “Giacché attribuire al principio di

buona fede funzione lato sensu integrativa a priori equivale a ridurre

64 M. GRANDI, voce Rapporto di lavoro, in Enc. Dir. XXXVIII, 1987 in

IusExplorer (banca dati).

65 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 141.

66 F.MALZANI, op. cit., p. 29. 67 F.MALZANI, op. cit., p. 31.

il complesso gioco delle relazioni intersubbiettive ad una serie standardizzata di comportamenti preidentificati, in virtù di una sorta di ars divinandi, nella quale è assai improbabile che sia esperto il giudice. (…)Tale diversa opinione scorge nel principio di correttezza e buona fede un metro oggettivo ed elastico di valutazione a posteriori, affidato al giudice, di un fatto (dunque, anche del contratto, in quanto fatto giuridico) e/o di un comportamento (…) non, dunque, l'espressione di un dovere generico e/o la fonte di specifici obblighi integrativi né lo strumento di controllo legato ad una visione «tipologica» della realtà, ma un criterio vólto a contenere le conseguenze negative di un'applicazione formalistica del diritto sul piano della conciliazione di interessi confliggenti secondo una misura insuscettibile di determinazione aprioristica, ma destinata a precisarsi, di volta in volta, secondo le caratteristiche particolari di ogni singola vicenda nel quadro complessivo delle circostanze anche sopravvenute del caso concreto”68.

E’ impossibile determinare a priori quale sia il contenuto della buona fede e costruire una regola di condotta su di essa; la portata degli obblighi di integrazione, tuttalpiù, si potrebbe verificare soltanto

ex post, ossia di fronte al giudice. E questa conclusione è inaccettabile

se si considera la necessaria priorità del momento dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza69.

Di fronte alle lacune che le suddette ricostruzioni dottrinarie presentano, non resta che affermare la necessità di qualificare l’obbligo ex art. 2087 cod. civ. come un obbligo non solo di natura contrattuale, ma anche autonomo, principale e non accessorio.

Innanzitutto, non si può prescindere da un’analisi attenta dell’art. 1173 cod. civ.: in base a tale articolo, le fonti delle obbligazioni sono il contratto, il fatto illecito e “ogni altro atto o fatto

idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”.

68 L.BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv. sez. civ., 1988

in Leggi d’Italia (banca dati).

La disposizione del codice fa riferimento a ciò che può essere fonte dell’obbligazione: dal contratto può scaturire un obbligo originario e primario, mentre dal fatto illecito un obbligo originario e risarcitorio. Ma in nessun modo questa ricostruzione può costituire un ostacolo ad ammettere un danno non patrimoniale che scaturisca dalla violazione di un obbligo contrattuale70.

Una delle molte sentenze a favore di tale teoria, la n. 12445 del 2006 riporta il seguente passaggio: “Ora ha natura contrattuale - ad

avviso della giurisprudenza di questa Corte (…) - la responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di sicurezza (.. 2087 c.c.), che gli impone l'adozione delle misure - di sicurezza e prevenzione, appunto - che, "secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". D'altro canto, nessun dubbio può sussistere sulla prospettata qualificazione giuridica della stessa responsabilità - di natura contrattuale, appunto - ove si consideri, da un lato, che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato - per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) - dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c., cit., appunto) e, dall'altro, che la responsabilità contrattuale è configurabile tutte le volte che risulti fondata sull'inadempimento di un'obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiarle nei confronti del danneggiato”71.

L’art 1374 cod. civ., citato dalla Corte di Cassazione, consente l’integrazione del contratto alla luce delle altre conseguenze che derivano dalla legge, dagli usi e dall’equità. Tra queste, sicuramente, vi è l’art. 2087 cod. civ.

Questa, indubbiamente, è la teoria prevalente. Tuttavia, ad oggi ancora sopravvivono tendenze volte a configurare il cumulo tra responsabilità contrattuale e aquiliana, tesi che affondano le proprie radici in un’esigenza di giustizia sostanziale, nella ricerca di forme di

70 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 149 e ss.

tutela più efficaci che, però, minano la stessa distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale72.

E’ difficile da sconfiggere l’idea della tutela dell’interesse generale attraverso la responsabilità aquiliana. A proposito della responsabilità extracontrattuale, Salvi scrive: “In tal modo, però, la

ratio dell'istituto tende a spostarsi dalla logica individuale, che sorregge l'esigenza di restaurare l'equilibrio leso a danno della vittima, a una ragione di interesse 'generale' (ancorché identificata con il principio liberista di cui si è detto). Si apre così la dialettica, tuttora centrale, tra la funzione individuale della responsabilità civile, come istituto che regola una relazione bilaterale secondo criteri privatistici, e la sua funzione sociale, intesa come interesse generale che giustifica (o meno) la traslazione del danno dalla vittima a un altro soggetto”73.

In realtà, la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ha una propria ratio: le due tipologie di responsabilità, infatti, sottendono alla lesione di interessi diversi. La lesione della lex contractus rientra nell’ambito della realizzazione di un programma concordato tra le parti; la responsabilità aquiliana, invece, riflette un dovere generale di neminem laedere.

Ciò comporta un importante corollario: nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, l’esecuzione in forma specifica è richiesta solo se non è eccessivamente onerosa. In caso di responsabilità contrattuale, invece, il costo dell’adempimento è già regolato dalle norme sulla risoluzione per onerosità sopravvenuta. Al di fuori di queste, il costo dell’adempimento è irrilevante74.

Quest’ultimo argomento ha un peso decisivo, se si considera la rilevanza primaria dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza, senza ridurre la tematica in esame a un mero problema risarcitorio.

72 P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit.,

p. 153 e ss.

73 C. SALVI, voce Responsabilità contrattuale (dir. vig.) in Enc. dir., XXXIX,

1988, in IusExplorer (banca dati).

1.5 I debitori dell’obbligo di sicurezza: il datore di lavoro e le altre