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Il danno da straining e stress lavoro-correlato

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

3.2 Il danno da straining e stress lavoro-correlato

Una definizione esaustiva del concetto di straining è stata data dalla sentenza del 21 aprile 2005 del tribunale di Bergamo: “Con il

termine straining si intende una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer). Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante”20.

Come il mobbing, anche lo straining è stato un fenomeno inizialmente studiato in ambito psicologico, approdando solo in un secondo momento nel mondo del diritto del lavoro21.

L’esigenza di individuare tale fenomeno è sorta poiché molte erano le situazioni di disagio lavorativo, peraltro profondo e intenso,

19D. DE MASI, Il mobbing come ricatto: una riflessione sociologica, in Il danno

alla persona del lavoratore, a cura di A.I.D.La.S.S., Milano, Giuffrè, 2007, p. 175.

20 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., p. 167.

La sentenza è Trib. Bergamo, 21 aprile 2005, n. 286.

che rischiavano di rimanere prive di tutela perché non qualificabili come mobbing.

Lo straining si colloca a metà strada tra il mobbing e lo stress occupazionale. Si tratta, infatti, di uno stress forzato al quale viene sottoposto un gruppo di vittime, peraltro scelte intenzionalmente da chi pone in essere la condotta lesiva: l’intento del soggetto agente è proprio quello di realizzare un trattamento discriminatorio nei loro confronti22.

Recentemente anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3291/2016, ha avuto modo di puntualizzare alcuni profili inerenti allo

straining.

A differenza del mobbing, lo straining può essere realizzato anche con una singola condotta: ciò che rileva è la sussistenza di una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato tale da provocare alla vittima “una modificazione in negativo, costante e permanente,

della condizione lavorativa”23.

In un passaggio successivo della medesima sentenza, la Corte definisce lo straining come “una forma attenuata di mobbing nella

quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro”24.

Così come avviene per il mobbing, anche la tutela del lavoratore vittima di straining trova il suo ancoraggio normativo nell’art. 2087 cod. civ.

Diversamente dallo straining, lo stress lavoro-correlato è espressamente citato dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, inerente all’oggetto della valutazione dei rischi: “la valutazione di cui all'

articolo 17 , comma 1, lettera a) (…) deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli

22 H.EGE, Dalle origini del mobbing alla valutazione del danno, in op. cit., ibidem. 23 Cass., sez. lav., 19 febbraio 2016, n. 3291 in IusExplorer (banca dati).

collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004”.

Per quanto concerne la definizione dello stress lavoro-correlato, il legislatore rinvia all’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 – recepito dal nostro ordinamento con l’accordo interconfederale del 9 giugno 2008 – che definisce tale nozione come “condizione, accompagnata

da sofferenze o disfunzioni, fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all'altezza delle aspettative”25.

Lo stress lavoro-correlato, sulla base di quanto afferma l’art. 3 dell’accordo interconfederale, non è una malattia in re ipsa; tuttavia non si può escludere che tale situazione di prolungata tensione possa cagionare un peggioramento complessivo dello stato di salute del lavoratore che ne è sottoposto, peraltro con contestuale riduzione dell’efficienza sul lavoro.

Anche in questo caso è possibile fondare la responsabilità del datore di lavoro sulla base dell’art. 2087 cod. civ.; egli è gravato, infatti, dell’obbligo di rimuovere le condizioni pregiudizievoli per la salute dei lavoratori26.

Il lavoratore dovrà essere ristorato da tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dallo stress lavoro-correlato; in particolare, si deve considerare che non è infrequente che tale situazione pregiudizievole abbia cagionato malattia, o, in alcuni casi, persino un infortunio.

A tal proposito, è opportuno richiamare la sentenza n. 13309/2007, in cui la Corte di Cassazione ha valutato la sussistenza

25 Accordo Europeo sullo stress sul lavoro, dell’8 ottobre 2004, siglato da CES-

sindacato europeo; UNICE – “confindustria europea”; UEAPME – associazione europea artigianato e PMI; CEEP – associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale. Sul punto si veda anche M. CORRIAS, Questioni sul danno alla persona del lavoratore, in Resp. civ. e prev., 2013, parte V, p. 17010B e ss. in IusExplorer (banca dati).

26 M. CORRIAS, Questioni sul danno alla persona del lavoratore, op. cit., 2013,

della responsabilità contrattuale del datore di lavoro in caso di infortunio stradale cagionato dalle condizioni stressanti di lavoro alle quali il danneggiato era sottoposto.

La Corte ha ammesso la possibilità astratta di configurare il nesso eziologico tra infortunio e condizioni stressanti, facendo aggio sulla teoria della causalità adeguata. Inoltre, la Corte ha anche affermato quanto segue: “non si può escludere a priori che vi sia un

nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all'uso di autoveicolo nell'espletamento delle proprie mansioni in situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e l'incidente stradale, senza prima consentire la prova richiesta (ed ovviamente la controprova ritualmente richiesta) di tutte le circostanze del caso"27.

In ogni caso, è pacifico ritenere che lo stress derivante da inefficiente organizzazione del lavoro – un esempio potrebbe essere dato dalla cattiva distribuzione dei carichi di lavoro – può essere identificato come causa scatenante, o anche come concausa, del danno all’integrità psicofisica del lavoratore28.

Alcuni profili di problematicità, tuttavia, sono dati dall’assolvimento dell’onere della prova del nesso di causa, gravante sul lavoratore: è necessario dimostrare l’eccessività quantitativa o qualitativa delle prestazioni richieste29.

Nel 1997, la Corte di Cassazione aveva peraltro riconosciuto la causalità adeguata tra il carico eccessivo di lavoro, la consequenziale situazione di stress e l’infarto del lavoratore.

In particolare, è necessario rimarcare un passaggio argomentativo della sentenza n. 8267/1997, inerente al concorso di colpa del lavoratore: “L'accettazione, pertanto, da parte del

lavoratore, di un lavoro straordinario - continuativo - ancorché contenuto nel c.d. monte ore contrattuale massimo, o la rinuncia ad un periodo feriale effettivamente rigenerativo dell'impegno lavorativo (…) non possono mai esimere il datore di lavoro dall'adottare tutte le

27 Cass., sez. lav., 7 giugno 2007, n. 13309 in IusExplorer (banca dati). 28 F.MALZANI, op. cit., p. 294.

misure tutelative dell'integrità fisico-psichica del lavoratore: comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto che è in condizioni di subordinazione socio economica.

Come è noto - e la regola è stata elaborata in materia di infortuni sul

lavoro - l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha efficacia esimente per il datore di lavano che abbia omesso le misure atte ad impedire l'evento lesivo; restando egli esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute”30.