• Non ci sono risultati.

L’evoluzione del danno non patrimoniale: la problematica

1. LA TUTELA DELLA PERSONA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

2.2 L’evoluzione del danno non patrimoniale: la problematica

Il danno esistenziale – così come anche il danno biologico – è una declinazione di tipo descrittivo del genus del danno non patrimoniale.

Innanzitutto, è opportuno specificare che la non patrimonialità è riferita all’interesse leso; così come nell’ambito del danno patrimoniale l’interesse leso è connotato da una sua economicità, il danno non patrimoniale ristora le lesioni di beni giuridici non suscettibili di valutazione economica15.

Il percorso che ha portato alla definizione del danno non patrimoniale è stato lungo e tortuoso: molte sono state le ricostruzioni operate da dottrina e giurisprudenza, si sono susseguite numerose tesi in profonda contraddizione tra loro, ma ad oggi tale categoria concettuale è sufficientemente definita nei suoi tratti fondamentali.

Come già affermato nel paragrafo precedente, intanto, la sentenza n. 184/1986 della Consulta aveva ristretto l’operatività dell’art 2059 cod. civ. esclusivamente ai danni morali soggettivi, consistenti nell’ingiusto perturbamento dell’animo del danneggiato. La funzione del risarcimento del danno morale soggettivo era quella di pretium doloris, l’obiettivo era ristorare la sofferenza morale derivante da fatti particolarmente offensivi16.

15 Corte Costituzionale, 26 luglio 1979, n. 88, in IusExplorer (banca dati). In

particolar modo: “L'espressione "danno non patrimoniale", adottata dal

legislatore, è ampia e generale e tale da riferirsi, senza ombra di dubbio, a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in via negativa, a quello patrimoniale, caratterizzato dalla economicità dell'interesse leso”.

Tale ricostruzione fu smentita dalla stessa Corte Costituzionale: la Consulta sostenne, infatti, la riconducibilità di tutte le ipotesi di danno non patrimoniale nell’alveo dell’art 2059 cod. civ.17.

Sempre con la sentenza del 1986, la Consulta ha introdotto la distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza; la Corte sosteneva, infatti, che il danno biologico fosse il danno-evento, ossia la fonte della lesione, mentre il danno-conseguenza era costituito dal danno morale soggettivo e dal danno patrimoniale.

Percepire il danno biologico come “evento” era piuttosto rischioso: tale ricostruzione poteva dare adito ad automatismi nel risarcimento di tale categoria di danno.

A tal proposito, sempre la Corte Costituzionale, in una sentenza successiva, la n. 372/1994, smentì tale ricostruzione: “Nell'ordinanza

di rimessione si obietta che i "danni non patrimoniali" previsti dall'art. 2059 si restringono al danno morale soggettivo, che deve essere tenuto distinto dal danno alla salute "pena la confusione fra nozioni completamente diverse, quali sono il danno evento e il danno conseguenza". Ma va replicato anzitutto che un simile criterio di differenziazione è legato alla premessa di fondo, già confutata, da cui muove il giudice a quo. Il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione”18.

Ergo, il danno risarcibile è la conseguenza pregiudizievole

della lesione di un interesse giuridicamente rilevante. La sussistenza e l’entità del danno non può ritenersi implicita nella lesione dell’interesse, ma deve essere allegata e provata dal danneggiato, il quale dovrà dimostrare in giudizio che, dalla lesione dell’interesse, sono derivate conseguenze negative nella sfera personale o patrimoniale.

17 Dapprima con la sent. Corte Cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in IusExplorer

(banca dati), confermata nel 2003 dalla Corte di Cassazione: Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, in IusExplorer (banca dati) e Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, in IusExplorer (banca dati).

Tra i giuristi, vi era anche un altro elemento di discordia, con riferimento al danno non patrimoniale: ci si chiedeva se fosse possibile suddividere tale categoria di danno in altre sotto-categorie aventi autonoma identità, quali il danno biologico, il danno morale soggettivo e il cd. danno esistenziale.

Il danno esistenziale fu ideato per sopperire al vuoto di tutela che si prospettava nel caso in cui il comportamento lesivo non integrasse né gli estremi del reato – quando l’art 2059 cod. civ. era ancora interpretato in combinato disposto con l’art. 185 cod. pen. – né fosse configurabile un danno biologico.

Non si trattava di una lesione alla sfera psicofisica della persona, ma il danno esistenziale non poteva neppure essere identificato col mero patema d’animo.

Tale tipologia di danno richiama tutti quei disagi che sono capaci di incidere negativamente sulle attività che permettono al danneggiato di esprimere la propria personalità; il danno esistenziale riguarda le ipotesi di lesione di beni della vita tutelati dalla Costituzione.

A tal proposito, la Cassazione affermò quanto segue nella sentenza n. 9009/2001: “ciò non vale ad escludere il cd. "danno

esistenziale" dall'ambito dei diritti inviolabili, poiché non è solo il bene della salute a ricevere una consacrazione costituzionale sulla base dell'art. 32, ma anche il libero dispiegarsi delle attività dell'uomo nell'ambito della famiglia o di altra comunità riceve considerazione costituzionale ai sensi degli art. 2 e 29. 15. Pertanto, tanto i pregiudizi alla salute quanto quelli alla dimensione esistenziale, sicuramente di natura non patrimoniale, non possono essere lasciati privi di tutela risarcitoria, sulla scorta una lettura costituzionalmente orientata del sistema della responsabilità civile”19.

Il danno esistenziale non può essere inquadrato nell’alveo del danno morale soggettivo: lo sconvolgimento emotivo e la vita di relazione sono due aspetti diversi. Ad esempio, non sempre, di fronte

alla lesione, la sofferenza del danneggiato è talmente forte da indurlo a una rinuncia forzosa alle attività normalmente svolte. D’altro canto, neppure appare necessario ricostruire un automatismo tra la rinuncia all’attività e il turbamento emotivo del danneggiato ad essa conseguente 20.

Il danno esistenziale è, sic et simpliciter, un danno alla vita relazionale.

Come per il danno biologico, giurisprudenza e dottrina hanno cercato di sottrarre anche questa tipologia di danno dall’ambito di applicazione dell’art. 2059 cod. civ., peraltro con argomentazioni giuridiche forzate.

Il percorso evolutivo di quest’ultima tipologia di danno è molto simile a quello del danno biologico: dottrina e giurisprudenza hanno tentato di sottrarre il danno esistenziale dall’ambito di applicazione dell’art. 2059 cod. civ.

Tuttavia, sempre in conseguenza delle citate sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 della Corte di Cassazione, non sorge alcun ostacolo per ricondurre anche tale tipologia di danno all’art. 2059 cod. civ., ormai libero dai vincoli imposti dall’art. 185 cod. pen. 21

Residuava, però, un dubbio: così come per le altre tipologie di danno (biologico e morale soggettivo), i giuristi erano divisi sulla possibilità di ammettere o meno che il danno esistenziale fosse qualificabile come autonoma categoria.

Non sembrava possibile riconoscere autonoma identità a un danno inerente all’intera esistenza della persona; si trattava di un concetto eccessivamente ampio, non era possibile qualificare con certezza quali comportamenti potessero essere definiti come “ingiusti” alla stregua del danno esistenziale.

Per citare Scognamiglio: “D'altronde, i piaceri e gli agi della

vita, a cui i fautori del danno esistenziale fanno di frequente

20 P.ZIVIZ, Chi ha paura del danno esistenziale?, In Resp. civ. e prev., 2002, III

parte, p. 815.

21 Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828 in IusExplorer (banca dati) e Cass., sez.

riferimento, dipendono da valutazioni individuali e cangianti delle persone che difficilmente possono assumere la dimensione oggettiva di un bene-interesse della persona, che il fatto dannoso possa ledere, né si possono qualificare come ingiusti, in quanto non sussiste nel vigente ordinamento giuridico un diritto della persona alla piacevolezza o alla felicità della vita”22.

D’altro canto non si può negare in assoluto l’esistenza di danni effettivi alla vita di relazione, anche se il risarcimento di questi ultimi non può prescindere dall’allegazione della prova della loro esistenza.

L’empasse fu risolto dalle cd. sentenze di San Martino della Corte di Cassazione.

A tal proposito, è opportuno citare il seguente passaggio argomentativo: “In conclusione, deve ribadirsi che il danno non

patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione”23.

Per poter dare rilevanza al danno esistenziale, il richiamo ai valori costituzionali, in questo ambito, svolge un ruolo decisivo: con

22 R.SCOGNAMIGLIO, il danno morale mezzo secolo dopo, op cit.

23 Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972 in IusExplorer (banca dati). Si veda

la sentenza appena citata, si assiste a ciò che Navarretta ha definito come “il consolidamento della Drittwirkung”24.

Ancora una volta la tutela nei confronti del danneggiato si attesta sui beni giuridici garantiti dalla nostra Costituzione. Tuttavia, quanto appena affermato non deve condurre in inganno: con il danno esistenziale non viene automaticamente leso un interesse di rango costituzionale. È necessario non confondere i due distinti piani giuridici “del pregiudizio da riparare” e “dell’ingiustizia da

dimostrare”25.

Occorre inoltre specificare che il semplice disturbo e il mero disagio soggettivo non hanno alcun rilievo: le già citate sentenze di San Martino hanno fatto espresso riferimento sia alla “gravità della

lesione” che alla “serietà del danno”, al fine di evitare controversie

bagatellari, nell’ottica di operare un bilanciamento tra “il principio di

solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza”26.