CAPITOLO 6 – L’ANALISI DELLE INTERVISTE
6.3. Definire il peer support
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158 segno probabilmente che una maggior strutturazione del peer support non necessariamente corrisponde a una omogenea considerazione dell’oggetto di studio da parte degli operatori.
Nonostante in letteratura si trovino diverse definizioni di peer support e nei reparti ospedalieri studiati ci siano dei protocolli che spiegano cosa si intende con esso, nei fatti sembra essere la percezione di ciascun operatore a prevalere, con la conseguenza e il rischio che l’approccio nei confronti dei peer supporter cambi a seconda dell’opinione stessa degli operatori.
Altra percezione è quella emersa dai pazienti che definiscono i peer supporter come persone dalle quali ricevere informazioni e con le quali aprirsi liberamente:
“Ti trovi catapultato in questo mondo nuovo, non hai conoscenze di nulla perché ovviamente se non hai qualcuno con queste difficoltà, non sei al corrente di moltissime cose, tramite loro sono riuscita a capire molte cose. È un aiuto in tutto e per tutto, un aiuto fondamentale secondo me”.
(Int. 15, PZ.S.)
Emerge una visione del peer supporter come colui che può aiutare a migliorare la quotidianità attraverso la sua conoscenza ed esperienza:
“Ti aiuta, ti illustra questo nuovo mondo, ti dà spunti per migliorare la vita quotidiana. Puoi chiedere qualsiasi cosa sulle problematiche riguardanti questa vita da tetraplegico e se è in grado ti risponde.” (Int. 17, PZ.M.)
I peer supporter definiscono l’oggetto di studio da una prospettiva maggiormente relazionale, ritenendolo una forma di supporto nei confronti di persone considerate alla pari, che innesca consapevolezza di sé e della propria nuova condizione di vita. Utili a comprendere questo aspetto sono le parole dei peer supporter:
“Il peer support è qualcosa che solo i pari possono fare ed è l’elemento che innesca la presa di coscienza di sé, di chi sono, del fatto che io continuo a essere la persona che ero, prendo coscienza dei miei limiti fisici, dovuti alla lesione, ecc... ma prendo anche coscienza che io posso farcela.” (Int. 19, PS.M.)
“Il supporto alla pari è quel collagene fondamentale tra il paziente e chi fornisce un servizio che porta a non vedere più la riabilitazione, prendere dei medicinali, fare degli esercizi o qualunque altra cosa, come un qualcosa che devo fare perché mi obbligano a farlo, ma lo faccio perché serve a me, lo faccio per me stesso.” (Int. 24 PS.M.).
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6.3.1 Un supporto pratico, emotivo, informativo e relazionale
In accordo con la letteratura (Helgenson e Gottlieb, 2000; Davidson, 1999; Will e Shinar, 2000;
Sallinen et al., 2011), gli operatori intervistati hanno affermato che sostanzialmente i peer supporter svolgono un’attività di aiuto e accompagnamento, di sostegno, informazione e rassicurazione. Nello specifico, secondo due operatori, l’aiuto consiste nell’accompagnare il paziente all’accettazione della malattia cercando di cogliere ciò che la persona ha da raccontare.
I pazienti invece individuano nel supporto emotivo una prima forma di aiuto ricevuta dal peer supporter:
“Io ricevo da loro soprattutto un aiuto quasi psicologico perché gli dico come mi sento e chiedo se anche loro hanno avuto le stesse sensazioni, gli stessi pensieri…” (Int. 16, PZ.V.).
Richiamando la letteratura (Kennedy e Humpreys, 1994; Kaufmann et al., 1994; Davidson, 19990), che descrive il peer supporter come una sorta di strumento per aiutare i pazienti a essere protagonisti in prima persona e divenire esperti della loro condizione, tutti i pazienti intervistati raccontano di un supporto informativo-burocratico molto utile, legato all’apprendimento di determinate procedure o servizi:
“Ho imparato molte cose che non avrei forse mai conosciuto se non avessi parlato con loro.
Come l’invalidità, quali sono i benefici. A esempio mi è capitato che avendo il 100% di invalidità mi sono lamentata con il peer supporter perché dovevo spendere 300 euro per i mezzi pubblici e lei mi ha spiegato che potevo avere la tesserina gratuita. Mi ha mandato tutto via email e ora so come bisogna fare.” (Int. 16, PZ.V.).
“Ho iniziato da poco un farmaco e mi fanno molto male le gambe, le ginocchia più che altro. Ho chiesto di incontrare il peer supporter perché sapevo che anche lei l’aveva preso in passato e volevo sapere se aveva avuto lo stesso dolore, volevo capire cosa sarebbe successo dopo, come ha fatto a sopportare meglio. Anche dopo ogni seduta di chemioterapia ho sempre cercato il confronto per sapere se anche loro avevano avuto la mia stessa sensazione di nausea, per sapere nel loro caso dopo quanto tempo si sentivano ancora gli effetti della chemio. E poi c’era una cosa molto delicata, da donne, che potevo chiedere solo a loro perché solo se ci sei passata capisci cosa significa e cerchi delle strategie: avevo un seno più piccolo dell’altro e non volevo uscire così, era importante per me capire come potevo fare da lì in avanti” (Int. 13, PZ.S.).
160 I peer supporter, linea con quanto affermato da pazienti e operatori, esplicitano la presenza di un aiuto informativo, tuttavia si soffermano per lo più sulla dimensione emotiva del supporto fornito e rilevano in essa l’aspetto principale della loro attività:
“Soprattutto ascoltiamo, riportiamo alla persona che ci sta parlando quindi che si sta fidando a noi, quello che noi abbiamo capito. Questo serve per due motivi, per capire se davvero abbiamo inteso ciò che voleva farci capire; e dall’altra parte per far capire alla persona che invece si è affidata a noi, se ha le idee chiare. Raccontarsi è un modo per mettere in linea i pensieri perché dover raccontare quello che si sta provando o vivendo al peer supporter vuol dire anche e soprattutto mettere in fila tutto quello che in quel momento nella testa è confuso e non è allineato.” (Int. 24, PS.M.).
“Noi ascoltiamo. L’attività consiste nel riuscire ad approcciare i familiari, ascoltare il disagio che hanno con il loro familiare, con il loro malato insomma, e vedere se si riesce insieme ad alleggerire un po' questa quotidianità portando le strategie che io come familiare sto usando e capire un po' le strategie che hanno loro per vedere se sono uguali alle nostre, alle mie con il mio familiare, per imparare entrambi strategie nuove.” (Int. 25, PS.V.)
“Quando vedo che stanno crollando allora tiro fuori la mia esperienza, quello che ho passato io e questo spero che possa essere utile. Metto la mia esperienza insieme alla loro, quindi loro incominciano a dire: be se ce l’hai fatta tu…” (Int. 20, PS.S.)
Qualche peer supporter racconta anche esempi di supporto pratico:
“La nostra attività consiste a volte in un supporto pratico, nel senso che per esempio io faccio scegliere la parrucca, quando arriva la consegno, cerco di sminuire diciamo la parte negativa e seguo il trucco, nel senso che oltre a dare una mano a truccarsi, se hanno bisogno, se hanno voglia di parlare…” (Int. 20, PS.S.).
Dalle interviste dei peer supporter e di alcuni operatori è emersa un'altra forma di supporto da loro tipicamente svolta e in qualche modo riconosciuta, ma non esplicitata in maniera così chiara. Si tratta del supporto relazionale, o meglio di eccedenza relazionale in grado di incrementare il livello di relazionalità di questi reparti ospedalieri: i peer supporter da un lato affermano di essere “ingaggiati”
dai pazienti nell’avvicinare loro gli operatori quando rilevano dei disservizi o delle difficoltà e dall’altro i medici, gli infermieri, chiedono il contributo dei peer supporter nell’avvicinare i pazienti, ad esempio all’importanza di assumere i farmaci prescritti o seguire determinate prescrizioni mediche/terapeutiche. Essi non si limitano a essere dei “mediatori” tra pazienti e operatori, bensì
161 favoriscono nel paziente la comprensione di alcune scelte terapeutiche adottate dagli operatori e in questi ultimi favoriscono la conoscenza esperienziale della malattia.
Così facendo, i peer supporter sembrano assumere una funzione di facilitazione e avvicinamento tra i due (pazienti e operatori) che contamina in ciascuno il sapere dell’altro rendendo tutti maggiormente competenti sulla malattia che si sta affrontando.
Si può parlare di eccedenza relazionale in quanto, l’esito dell’interazione dei peer supporter con i diversi attori interessati, produce un surplus che va oltre la somma delle singole parti.
Il processo generato dall’eccedenza relazionale, definito dalla metodologia relazionale del lavoro sociale “contaminazione dei saperi” (esperienziale e tecnico di cui si è accennato nel capitolo 1), promuove lo sviluppo di Servizi relazionali, capaci di considerare il punto di vista dei diretti interessati e favorire una piena partecipazione delle persone (Folgheraiter, 2009).