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La nascita del progetto e il suo sviluppo

CAPITOLO 5 – I CASI STUDIATI

5.1.2 La nascita del progetto e il suo sviluppo

La presenza degli E.P.E. in reparto è iniziata da aprile 2014. Gli E.P.E. sono un gruppo inizialmente costituito da 5 familiari volontari che, avendo vissuto l’esperienza di un familiare malato psichiatrico, si sono uniti e posti l’obiettivo di ascoltare e supportare altri famigliari durante il ricovero di un proprio congiunto all’interno del reparto di psichiatria.

Il progetto è nato nel 2012 dalla volontà di un gruppo di familiari soci dell’associazione Alleanza della Salute Mentale, ente di terzo settore costituito da familiari e da sempre attivo sul territorio nella sensibilizzazione alla malattia mentale. L’Associazione negli anni ha sostenuto anche economicamente il reparto psichiatrico nell’acquisto di svariato materiale, di conseguenza il loro operato e i soci erano già noti dal reparto prima dell’avvio del progetto.

Nel 2012, durante un incontro organizzato da alcuni membri dell’Associazione e aperto a operatori sociali disposti a ragionare con loro su proposte nuove per avvicinarsi ai familiari dei pazienti ricoverati, hanno espresso il bisogno, per i familiari di malati psichiatrici, di un confronto tra pari durante una fase ritenuta particolarmente critica della vita familiare come quella del ricovero in un reparto di SPDC.

Al termine di tale serata è stata condivisa l’intenzione di avviare un’attività di peer support all’interno del reparto SPDC. L’idea è stata frutto di una conoscenza da parte dei presenti all’incontro, di esperienze analoghe già esistenti in Italia come quella di Trento dove i peer supporter si chiamano UFE (utenti e familiari esperti) e sono presenti da oltre 10 anni con un riscontro positivo da parte di tutti: operatori, pazienti, familiari e UFE (il progetto è stato citato anche nel terzo capitolo).

Da qui in poi si sono succeduti alcuni incontri con il primario e la psicologa del reparto che hanno accolto positivamente l’idea e hanno partecipato anche a momenti di confronto successivi e di preparazione all’avvio del progetto. Sono stati effettuati incontri aperti a tutti sul territorio al fine di costituire un primo gruppo di familiari interessati a diventare E.P.E. e sono state poi avviate riunioni di gruppo con i futuri E.P.E. facilitate da un’assistente sociale. Tali momenti di confronto hanno avuto l’obiettivo di preparare gli E.P.E. all’ingresso in reparto attraverso lo sviluppo di competenze esperienziali.

Nel frattempo, è stato steso il progetto e stipulata la convenzione tra Associazione e Asst.

Il progetto, come sopra anticipato, si chiama progetto familiari E.P.E. (esperti per esperienza). La scelta dell’acronimo è stata proposta ai familiari dall’assistente sociale facilitatrice del gruppo, in quanto il più diffuso UFE ha al suo interno la parola utenti, termine ritenuto dai familiari etichetta da non utilizzare. Nella stesura del progetto sono state distinte le finalità generali dagli obiettivi specifici, tutti individuati e negoziati in fase preliminare insieme agli attori coinvolti.

In particolare, dall’analisi del progetto si evincono tre finalità generali:

- sostegno e ascolto dei familiari che hanno un congiunto ricoverato;

121 - promozione e riduzione dello stigma della malattia mentale;

- costruzione di una rete fra servizi di salute mentale e associazione;

La prima finalità è il cuore della realizzazione del progetto. Nello specifico viene esplicitato come un sostegno fornito, prioritariamente ai familiari che entrano all’interno del reparto ospedaliero, da altri familiari che hanno avuto la stessa esperienza, possa rappresentare un valore aggiunto della presa in cura del nucleo familiare in cui il paziente vive. Nel progetto è specificato che tale finalità è raggiunta attraverso l’inserimento in reparto di familiari esperti con una funzione di ascolto e sostegno ad altri familiari durante gli orari di visita ai pazienti. È poi indicata come luogo di svolgimento di tale attività una stanza dedicata agli E.P.E. collocata all’esterno del reparto.

Strettamente correlata e implicita è la seconda finalità: la promozione e riduzione dello stigma. I membri dell’associazione, che hanno condiviso il progetto insieme agli operatori del reparto, hanno ritenuto importante inserire tale seconda finalità forti del pensiero che parlare di malattia mentale portando la propria esperienza ad altri che la stanno vivendo, consente in qualche modo di uscire dalla vergogna per la malattia mentale e quindi combattere lo stigma.

Nel progetto si legge che questa finalità è realizzata attraverso:

- l’incontro tra pari all’interno del reparto;

- l’organizzazione di eventi di sensibilizzazione che gli E.P.E. realizzano all’esterno del reparto in collaborazione anche con altre organizzazioni di terzo settore.

La terza finalità mira alla creazione di solide basi per garantire continuità al progetto e possibilità di replica in eventuali altri servizi del territorio (ad esempio all’interno del C.P.S., del centro diurno, della comunità). Attraverso incontri di confronto e d’equipe che vedono coinvolti operatori e E.P.E.

(sia all’interno che all’esterno del reparto) si propongono di costruire una rete fra i servizi e l’associazione, al fine di diffondere una cultura della malattia mentale che renda tutti più responsabili e consapevoli.

All’interno del progetto è poi esplicitata la necessità di stipulazione di un contratto tra l’associazione e il futuro E.P.E. all’interno del quale egli si impegna ad assumere tale ruolo rispettandone le regole, quali il principio di riservatezza, il non giudizio, l’ascolto e l’accoglienza della persona oltre alla conoscenza delle regole del reparto.

Dai report annuali di attività degli E.P.E. (da dicembre 2014 in poi) presentati dall’associazione, si evince come il supporto e l’ascolto sin dai primi mesi, siano stati indirizzati non solo ai familiari ma anche ai pazienti, da parte di E.P.E. a loro volta pazienti.

Dal diario tenuto dagli E.P.E. al termine di ogni accesso in reparto emerge invece come, a differenza di quanto indicato nel progetto, sin dal primo giorno del loro ingresso, essi abbiano svolto la loro funzione all’interno del reparto e non nella stanza riservata all’esterno del reparto. Prevalentemente

122 si legge che gli E.P.E. svolgono la loro attività nella sala fumo e relax utilizzata quotidianamente dai pazienti e dai loro familiari ma anche nei corridoi e nelle stanze dei ricoverati.

Dall’ingresso degli E.P.E. in reparto (aprile 2014) ad settembre 2016, la loro presenza è stata di un giorno a settimana il sabato durante l’orario delle visite, dalle ore 13.30 alle ore 15.30. La scelta di tale presenza è stata concordata in sede di stesura del progetto, all’interno del quale è stata comunque prevista la possibilità di variare e incrementare l’orario della loro attività. Sono gli E.P.E. stessi a gestire le loro presenze a turno all’interno del reparto. Si recano sempre in coppia per sostenersi l’un l’altro e poter parlare contemporaneamente con più pazienti e familiari possibili.

Dai diari di attività del primo anno è emerso che hanno incontrato e avuto colloqui di supporto con circa un centinaio di pazienti e una quarantina di familiari.

Nell’ultimo anno il gruppo è aumentato fino ad arrivare a nove E.P.E. di cui sei sono familiari e tre sono pazienti. Quattro E.P.E. hanno meno di 40 anni e cinque più di 55 anni. Sono per lo più donne (7 su 9) e quasi tutti (6 su 9) lavorano o studiano. Chi non è impegnato in un’attività lavorativa o di studio è in pensione o in cerca di occupazione. Il peer support rappresenta per loro un’attività secondaria da svolgere nel fine settimana o in orario serale.

Il gruppo E.P.E. da quando è nato continua a incontrarsi mensilmente per confrontarsi sull’attività svolta, ma anche ragionare su alcuni aspetti della loro esperienza ritenuti rilevanti; è facilitato da un’assistente sociale che favorisce la circolazione della comunicazione.

Dalla convenzione stipulata tra l’associazione e il reparto e dal contratto firmato dall’E.P.E. si evince che non è prevista una formazione specifica per svolgere tale attività ma è necessaria la partecipazione mensile al gruppo al fine di acquisire la consapevolezza del proprio sapere esperienziale.

Dall’analisi dei verbali delle riunioni mensili si legge che gli E.P.E. da subito si sono resi disponibili al peer support, anche se, inizialmente, hanno riportato diversi dubbi circa le proprie competenze comunicative. Durante i primi momenti in reparto hanno affermato di sentirsi inesperti e con il timore di rispondere in maniera sbagliata al paziente e/o al familiare. Richiamando il capitolo 1 par. 1.3., si può affermare che tale timore deriva dalla convinzione ormai radicata anche nei pazienti e nei familiari dei Servizi, in tal caso di salute mentale, che solo l’esperto sia in grado di fornire risposte corrette e soluzioni. In realtà, come affermato anche nel par. 1.3, quando si ha che fare con i problemi sociali che per loro natura sono complessi, indeterminati e relazionali, non esistono delle soluzioni tecniche preconfezionate, bensì infinite strade da percorrere (Folgheraiter, 2011). Ed è proprio da tali infinite strade che gli E.P.E. si approcciano alla pari senza la pretesa di fornire soluzioni.

Dai verbali delle prime riunioni svolte con gli operatori del reparto si comprende la fatica iniziale degli operatori ad accettare l’ingresso degli E.P.E. all’interno del reparto:

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“… gli operatori chiedono ai futuri EPE di potersi collocare appena fuori dal reparto, senza entrare. Il Primario rimanda la questione al momento in cui sarà avviato il progetto.” (Verbale riunione di ottobre 2013 in SPDC)

Con l’avvio del progetto e dopo diverse riunioni tra i futuri E.P.E. e alcuni operatori del reparto è stato concordato che ad ogni accesso in reparto, gli E.P.E. chiedessero agli operatori quali secondo loro fossero i familiari più propensi e bisognosi di questo supporto, pratica poi diventata consolidata, come si legge nei diari degli E.P.E.

Dall’avvio del progetto in poi, sono stati organizzati altri momenti di confronto e condivisione tra E.P.E. e operatori all’interno dei quali avviene anche il monitoraggio del progetto stesso. Nel corso del 2016 sono stati organizzati dagli E.P.E., su richiesta del Dipartimento di Salute Mentale, due giorni di formazione per gli operatori proprio sul ruolo degli E.P.E. e sull’attività da loro svolta.

Dalla documentazione analizzata si comprende come un ruolo importante sia svolto da alcuni strumenti creati ad hoc dagli E.P.E. tra i quali vi sono i cartellini di riconoscimento che gli E.P.E.

hanno al collo durante l’esercizio dell’attività, il diario di staff degli E.P.E. contenente i passaggi delle consegne cui possono accedere anche gli operatori, il calendario dei turni E.P.E. appeso a fianco del calendario turni operatori.

L’utilizzo di tali strumenti sembra che abbia contribuito all’accettazione degli E.P.E. all’interno del reparto.

5.2 “Gli E.P.E.” al lavoro: l’osservazione

L’osservazione nella struttura si è svolta per tre sabati consecutivi tra agosto e settembre 2016. Si è scelto di arrivare in reparto un quarto d’ora prima dell’arrivo degli E.P.E. per vedere cosa succedeva al loro arrivo e capire se gli operatori si preparavano in qualche modo alla presenza degli E.P.E. In realtà gli operatori non si preparano per l’arrivo degli E.P.E. e la loro attività procede in maniera naturale sia prima, durante che dopo la loro presenza.

Durante l’osservazione si è deciso di seguire entrambi gli E.P.E. di volta in volta presenti per la stessa quantità di tempo (1 ora ciascun E.P.E.). Solo nel primo giorno di osservazione era presente l’E.P.E.

referente che ha svolto la funzione di guida durante l’osservazione. Nei giorni successivi erano gli E.P.E. in turno che cercavano di spiegare la propria attività tra un colloquio e l’altro con i pazienti e i familiari.

Al termine dell’attività di peer support si è scelto di seguire gli E.P.E. ascoltando i loro commenti, il confronto effettuato con gli operatori e il momento di condivisione degli elementi da inserire nel

124 diario di staff per il passaggio di consegne successive. Si è deciso di uscire dal reparto insieme agli E.P.E. per sentire il loro confronto che continuava sempre anche all’esterno dell’ospedale.