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L’interazione e il linguaggio

CAPITOLO 5 – I CASI STUDIATI

5.2.2 L’interazione e il linguaggio

Gli E.P.E. si presentano in reparto con un cartellino identificativo visibile che viene fornito dall’associazione all’atto della stipula del contratto. In questo modo sono facilmente identificabili dagli operatori ma anche dai pazienti e dai familiari che riconoscono in loro un ruolo preciso. Quando si presentano a un nuovo paziente mostrano un volantino esplicativo della loro attività contenente anche i riferimenti telefonici.

Appena entrati in reparto, gli E.P.E. si recano nella stanza degli infermieri per salutarli e scambiare con loro qualche informazione in merito ai pazienti ricoverati.

“Gli EPE entrano nella stanza degli operatori. Si salutano e si scambiano alcuni convenevoli. Si parlano come se fossero quasi degli amici e nella maggior parte dei casi si conoscono perché vivono nello stesso paese o si sono conosciuti durante un ricovero, loro o di un parente. Gli E.P.E.

si informano in merito alla salute dei pazienti, chiedono chi sta male, chi ha più bisogno di un supporto e se ci sono stati dei familiari durante la settimana che hanno chiesto di loro. Chiedono poi se ci sono pazienti nuovi o se sono previste dimissioni a breve. Gli operatori trasmettono

126 senza difficoltà tutte le informazioni richieste e offrono il loro parere in merito.” (Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 27/08/2016)

Tutti gli operatori incontrati conoscono gli E.P.E. e il loro ruolo. Dall’osservazione effettuata, la relazione tra le due tipologie di attori (E.P.E. e operatori) sembra amicale e di confidenza reciproca.

In particolare, gli E.P.E. si rapportano con gli infermieri utilizzando il tu mentre con i medici il distacco relazionale è maggiore e utilizzano il lei. Tuttavia, anche i medici incontrati conoscono gli E.P.E. e durante gli incontri, lungo i corridoi o nel giardino esterno al reparto, s’intrattengono a chiacchierare dell’attività di peer support o di questioni più informali come il tempo o altri convenevoli.

Dopo un primo confronto con gli operatori presenti in reparto, gli E.P.E. incontrano i pazienti e i familiari. L’incontro avviene in diversi modi: per caso nei corridoi ci si saluta e inizia il dialogo, nelle stanze dei pazienti dove gli E.P.E. si recano per salutare i pazienti e i congiunti presenti o nella sala fumo, area quest’ultima più utilizzata dagli E.P.E. per il supporto perché ritenuta anche dai pazienti luogo informale.

Difficile sembra essere l’avvicinamento dei familiari perché non sempre durante gli orari di visita si recano a trovare il paziente e quando ci sono, se non hanno mai sentito parlare di E.P.E. dagli operatori o dai pazienti, evitano il dialogo con loro. Diverso è per i familiari che conoscono gli E.P.E. o li hanno visti almeno un paio di volte, in tali casi allora si aprono e si confrontano, si scambiano i contatti e le interazioni continuano all’esterno del reparto.

Con i pazienti l’interazione è più facile, si confidano senza difficoltà e se vedono che altri pazienti parlano con un E.P.E., tutti, a cascata, chiedono poi un confronto.

I temi affrontati durante l’interazione sono diversi a seconda dell’E.P.E. che svolge il supporto. Per quanto osservato nelle tre giornate, laddove il rapporto tra i due è realmente alla pari (E.P.E. che ha sofferto della stessa patologia psichiatrica del paziente ricoverato) ci si confronta in prima battuta sullo stile vita con la presenza della malattia e la domanda agli E.P.E. è pressoché la stessa:

“Si può stare meglio? Come si fa? Gli E.P.E. non danno risposte alla domanda ma portano la propria esperienza e spiegano cosa per loro è stato utile al fine di stare meglio. Anche solo attraverso la loro presenza dicono di voler portare un messaggio di speranza e cercano di incoraggiare il paziente e/o il familiare a perseverare per migliorare la propria condizione.”

(Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 27/08/2016)

Qui gli E.P.E. utilizzano la propria esperienza per portare un punto di vista positivo sulla vita nonostante la malattia, i due si confrontano sulle strategie possibili. Quando i pazienti hanno maggiore

127 confidenza con gli E.P.E. chiedono anche informazioni rispetto alle cure che loro stessi hanno sperimentato e anche in questo caso gli E.P.E. non forniscono soluzioni, non danno consigli, piuttosto sembra che prestino attenzione alle risposte, per evitare d’indirizzare il paziente ad attuare delle scelte sbagliate e si limitano a descrivere la loro esperienza.

“Un paziente dice di avere capogiri e dolore alle ginocchia da quando ha iniziato un nuovo farmaco. L’ E.P.E. conferma di aver avuto gli stessi sintomi ma afferma di essersi poi nel tempo sentito meglio. Lo invita comunque a parlarne con il medico e cerca di cambiare subito argomento chiedendo da quanto tempo è ricoverato. Il confronto si sposta su un altro piano e il paziente chiede poi a sua volta all’E.P.E. se è stato ricoverato in quel reparto.” (Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 13/08/2016)

Da questo stralcio del diario emergono i timori degli E.P.E. Da un lato quello d’invadere un campo di competenza clinica e dall’altro quello di essere interpretati in modo errato dai pazienti. In particolare, sembra che gli E.P.E. stiano molto attenti ad affrontare il tema dei farmaci, che viene comunque trattato dal punto di vista della condivisione di sintomi e ripercussioni sulla vita quotidiana a seguito della loro assunzione.

Nelle situazioni in cui il peer support viene fornito da un E.P.E. non del tutto alla pari8, il confronto è diverso. È il caso ad esempio di un E.P.E. che ha avuto una depressione e supporta un paziente affetto da schizofrenia. Qui il confronto è su di un piano diverso, ossia su quello che accomuna i due.

Si parla della malattia mentale in generale, di come familiari e amici si rapportano nei loro confronti dopo aver saputo della malattia e se il paziente entra nel merito specifico della malattia, l’E.P.E. gli spiega fino a che punto può essere di aiuto la sua esperienza di malattia mentale e se c’è un E.P.E.

con la stessa patologia, fornisce il numero al paziente così che i due possano sentirsi.

L’interazione tra familiari sembra essere sempre alla pari indipendentemente dalla diagnosi del congiunto. Nella maggior parte dei casi si parla della difficoltà ad affrontare la malattia, nel riconoscerla come tale e soprattutto della pazienza necessaria a causa degli spesso scarsi risultati nel breve periodo. Ci si confronta sulle strategie da mettere in campo quando il paziente non vuole assumere i farmaci e sull’accettazione della malattia.

“Il marito della signora D. appena vede gli E.P.E. li saluta e iniziano a parlare. Gli racconta che la moglie è stata di nuovo ricoverata. Si sente impotente, incapace di aiutarla, non riesce a capire cosa non abbia funzionato e ha paura che questa situazione duri per sempre. L’ E.P.E. cerca di

8 S’intende confronto non del tutto alla pari quando il peer supporter ha una patologia psichiatrica diversa dal paziente.

128 offrire una parola positiva, gli porta il proprio esempio e i due iniziano a confrontarsi sulla gestione domestica del familiare. L’ E.P.E. spiega come nel tempo sia riuscita a trovare un suo equilibrio e continuare comunque nella normalità la propria vita nonostante gli alti e bassi della malattia del figlio.” (Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 10/09/2016)

Qui l’esperienza degli E.P.E. familiari è fondamentale perché portano l’esempio del vivere la quotidianità nonostante la malattia. Sembra che gli E.P.E. familiari dal confronto cerchino a loro volta maggior conoscenza sulla malattia mentale e strategie diverse per fronteggiare i problemi.

Tutti gli E.P.E. si confrontano con i pazienti e i familiari sulle dimissioni. In questi casi gli E.P.E.

cercano di “agganciare” la persona al fine di poter continuare il supporto alla pari fuori dal reparto.

Il linguaggio da loro utilizzato è semplice e uguale a quello utilizzato dal paziente che hanno di fronte, spesso parlano in dialetto perché si sentono tutti a loro agio. Con i pazienti in fase molto acuta gli E.P.E. si limitano a un saluto ed eventualmente a un ascolto dei loro deliri.

Si osserva come le interazioni siano diverse a seconda dell’E.P.E. che svolge il supporto:

“Ogni E.P.E. ha il suo approccio. C. chiede come stai e dalla risposta che dà la persona inizia il dialogo. D. invece si presenta, spiega chi è, anticipa alcune informazioni sulla propria storia di vita al paziente e quando finisce il discorso, il paziente esprime il suo punto di vista, così inizia l’interazione.” (Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 10/09/2016)

Alla fine del turno, dopo due ore, gli E.P.E. tornano dagli infermieri per salutarli e segnalare eventuali informazioni ritenute utili.

“Gli E.P.E. riferiscono alle infermiere in turno di M. Oggi gli ha detto di non sentirsi bene, a differenza del solito non aveva voglia di parlare e ha allontanato gli E.P.E. in malo modo. Le infermiere si stupiscono perché a loro sembrava che stesse bene. Appuntano l’informazione e ringraziano gli E.P.E.” (Diario di osservazione, reparto SPDC Ospedale di Esine, 13/08/2016)

Prima di lasciare il reparto, gli E.P.E. si dirigono in una stanza degli operatori dove gli è stato riservato un cassetto e compilano il report giornaliero inserendo alcuni dati, quali il numero di pazienti e di familiari con i quali hanno parlato, il sesso e l’età. Poi compilano il diario che viene consultato dagli E.P.E. in turno la volta successiva, prima di recarsi dagli infermieri. In questo modo tutti gli E.P.E.

sono informati degli avvenimenti. È questo un modo per tenere traccia del lavoro svolto che consente anche agli operatori di comprendere e leggere l’attività da loro svolta.

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5.3. “I consulenti alla pari” di Montecatone – Rehabilitation Institute

All’interno di questo paragrafo viene descritto il programma di peer support presente nell’ospedale di Montecatone, il più grande centro italiano di riabilitazione per persone con mielolesioni a causa traumatica.

In questa struttura i peer supporter si chiamano consulenti alla pari, denominazione scelta dall’associazione italiana “Disable people” da cui ha avuto inizio l’ingresso dei consulenti alla pari nelle unità spinali, reparti ospedalieri dedicati alla cura delle persone affette da mielolesioni.

Il materiale analizzato è stato fornito dai consulenti alla pari e dall’operatrice referente del programma all’interno della struttura. In particolare sono stati analizzati i seguenti documenti:

- convenzione tra l’associazione e l’ospedale per la consulenza alla pari;

- vademecum della consulenza alla pari per gli operatori;

- procedure della consulenza alla pari per i consulenti alla pari;

- carta dei servizi della struttura;

- report periodici redatti dai consulenti alla pari sulla propria attività;

- report attività di servizio civile;

- verbali di equipe;

- materiale informativo prodotto di concerto tra l’associazione e la struttura ospedaliera.

Dopo una breve descrizione del contesto di riferimento è spiegata la nascita e lo sviluppo del programma di consulenza alla pari. Nella parte successiva è analizzata l’osservazione effettuata all’interno del reparto.