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Le difficoltà dell’incontro con il paziente

CAPITOLO 6 – L’ANALISI DELLE INTERVISTE

6.7. Interazione e comunicazione tra peer supporter e pazienti

6.7.2. Le difficoltà dell’incontro con il paziente

Vengono individuate delle difficoltà dell’interazione tra paziente-peer supporter, date per lo più da due elementi secondo gli operatori: da un lato l’importanza di un giusto abbinamento realmente alla pari tra i due, non sempre possibile a causa dell’esiguo numero di peer supporter (per esempio un paziente che soffre di depressione dovrebbe poter parlare con un peer supporter che soffre a sua volta di depressione, in questo modo l’interazione è davvero alla pari) e dall’altro la difficoltà di comprendere quando è il momento giusto per il paziente d’incontrare il peer supporter. Qualche operatore suggerisce che incontrare il paziente troppo presto non è utile o potrebbe essere addirittura controproducente:

“È importante tenere in considerazione il tempo in cui proporre il peer support. Io talvolta ho paura che venga proposto troppo presto; il nostro paziente spesso non sa che resterà tetraplegico, senza l’uso di braccia e gambe, se io mando subito uno in camera che non muove né braccia né gambe… il paziente potrebbe anche reagire male o non comprendere il senso…” (Int. 5, O.M.).

Un’altra difficoltà secondo alcuni operatori, non sempre presidiata è l’attenzione che i peer supporter dovrebbero avere nel non “schierarsi” con il paziente e quindi rimanere in una posizione neutra “non troppo lontani ma neanche troppo vicini da amici” (Int. 7, O.V.). Gli operatori considerano tale aspetto come un potenziale rischio da presidiare, che si può ricondurre al timore di dover gestire

176 un’alleanza tra peer supporter-pazienti contro alcune loro indicazioni terapeutiche. Si tratta di un aspetto non esplicitato dagli operatori intervistati ma rilevato durante l’osservazione.

I pazienti, invece, durante l’interazione con i peer supporter riportano altre diverse difficoltà a seconda della loro patologia. Per i pazienti del reparto di psichiatria difficile risulta parlare e mantenere attiva l’attenzione; per i pazienti del reparto di unità spinale faticoso è stato parlare della propria condizione di disabilità:

“Chiedere come fare le cose da tetraplegico significa accettare e riconoscere di esserlo e non è facile” (Int. 17, PZ.M.).

Molti pazienti intervistati (6 su 9) hanno affermato di aver avuto la difficoltà di scegliere cosa chiedere perché le informazioni di cui si ha bisogno sono molte: “durante i primi incontri con loro si vuole già sapere tutto” (Int. 16, PZ.V.).

I peer supporter affermano, in generale, di non rilevare alcuna difficoltà nell’interazione con il paziente. Semmai faticoso è per qualcuno il momento del primo incontro:

“Io quando vado a trovare una persona la prima volta ho mille paure, vivo una trepidazione, non che ho paura ad andarci ma considero quel momento e quel gesto come pieno di responsabilità!

sia per me che per lui, ma non perché su di me possa avere un effetto negativo assolutamente, è che quel momento per quella persona è importante. Tu in un tempo molto rapido, forse non parliamo nemmeno di secondi, ma di frazioni di secondi, devi riuscire a capire se tacere, se in quel momento quella persona ha bisogno, ma anche fisicamente di prenderle la mano o capisci che vale la pena solo fare un saluto e andartene di fuori perché non è il momento giusto… Quante persone all’inizio si mettono a piangere e io un po' perché sono emotivo, mi faccio prendere da questa cosa, cioè una persona quando è così la prenderesti e l’abbracceresti, cioè che altro vuoi fare cosa c’è da dire… cioè probabilmente quella persona davanti a te in quel momento si mette a piangere come non lo fa davanti a nessun altro… so benissimo che se una persona di fronte a me, di fronte a noi, si sentono libere di piangere e anche qui forse ritorna il pari.” (Int. 19, PS.M.)

A tal proposito, gli operatori sono quasi tutti d’accordo nell’affermare che il primo incontro con i peer supporter è caratterizzato dalla tendenza all’evitamento degli stessi, forse perché il paziente non riesce a comprenderne il senso o ha paura di essere etichettato proprio perché incontra persone che hanno la sua stessa malattia, non si fidano subito. Dopo la fatica del primo incontro, affermano gli operatori, sono spesso i pazienti che li cercano per un colloquio.

Rispetto a tale difficoltà i pazienti, al contrario, affermano che il loro vissuto carico di confusione rispetto alla malattia e alla diversa gestione della vita quotidiana, che da qui in avanti li aspetta,

177 sembra iniziare a chiarirsi già dal primo incontro con il peer supporter, smentendo la tendenza all’evitamento da parte dei pazienti descritta dagli operatori.

“Li ho incontrati la prima volta quando mi hanno detto che non avrei più potuto camminare. Il confronto con loro è su quello che potrò fare fuori da qui. Dopo l’incidente pensi: e adesso?

Invece loro ti fanno vedere e ti fanno capire tutto quello che si può fare. Non conosci questo mondo e pensi: oddio ora è finita, invece loro ti aiutano a capire che non è finita, anzi sta cominciando una nuova vita” (Int. 11, PZ.S.)

Anche i peer supporter in contrasto con quanto affermato dagli operatori e in accordo con ciò che dicono i pazienti dicono che il paziente non evita il primo contatto:

“Di solito la prima volta, dopo essermi presentato io inizio a dire: posso farti compagnia un attimo, posso salutarti, far due chiacchiere… e i pazienti raramente dicono di no, proprio solo se uno sta male, se no hanno tutti piacere di parlare, scambiare due parole. Ecco dopo si inizia a parlare e ci si conosce… qualcuno si apre di più, qualcuno di meno” (Int. 21, PS.V.)

“Cerchiamo di approcciarci in un certo modo, proviamo un attimo a ribaltare un po' le cose, anziché bombardarlo di devi fare, queste sono le regole, ecc… comincio a chiedergli che immagine hai tu di te adesso, come ti senti dentro, che senso pensi possa avere il tuo essere padre, marito, studente, cioè cerco durante gli incontri di incominciare a fare emergere la persona, far sì che prenda coscienza di sé, delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, ma anche prendere possesso del proprio essere cittadino, come portatore di diritti e doveri e realizzare che tu in fin dei conti sei sempre la stessa persona, quello che fa la differenza è che oggi ho un problema motorio e anche sensoriale” (Int. 19, PS.M.)

Il primo incontro è un momento delicato per l’instaurazione di un legame di fiducia, tuttavia sembra che i pazienti da subito comprendano il valore di tale aiuto e rivolgono al peer supporter i primi dubbi. I peer supporter, da parte loro, cercano di mettere in campo le loro competenze, soprattutto il proprio sapere esperienziale per favorire l’avvio di una relazione positiva e profonda.

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