A differenza del testo della WHC, la definizione del patrimonio culturale intangibile non parte da un numero limitato di tipologie di proprietà. Come si noterà la stessa parola proprietà o bene è ormai scomparso come residuo e traccia di un passato che poneva l’accento sul carattere oggettuale e materiale. Possiamo dire che la definizione si basa più sul senso di appartenenza ad una comunità, ad una tradizione culturale che sul senso di possesso, come invece avveniva in passato.
Il secondo articolo propone un allargamento ed estensione evidente del concetto di patrimonio culturale, i cui esiti saranno ancor più chiari dopo aver preso in considerazione le strategie di salvaguardia.
The “intangible cultural heritage” means the practices, representations, expressions, knowledge, skills – as well as the instruments, objects, artefacts and cultural spaces associated therewith – that communities, groups and, in some cases, individuals recognize as part of their cultural heritage (art. 2 Conv 2003).
57 Preferiamo qui l’uso di ‘soggettale’ a soggettivo nel senso di una attenzione centrata sul soggetto da un punto di
Il contenuto e il senso da attribuire al patrimonio culturale intangibile è presentato attraverso un elenco di termini il cui campo semantico è molto ampio. Li passiamo velocemente in rassegna senza pretesa di esaustività:
- Pratiche (in fr. pratiques) ovvero un complesso di azioni, un esercizio concreto fatto di gesti, comportamenti rivolti al conseguimento di uno scopo.
- Rappresentazioni (in fr. représentations) è termine che in questo caso sembra riferirsi più alla dimensione di attività cognitiva-figurativa che a quella di recita, per la quale in inglese è più comune performance.
- Espressioni (in fr. expressions) è senz’altro il termine la cui densità semantica estensione è la più ampia di tutte, a scapito di una intensione ridotta. Indica infatti tutti gli elementi che compongono le modalità di manifestazione dei segni, simboli.
- Conoscenze (in fr. connaissances) che riguarda tutti gli argomenti e i campi del sapere ma anche le modalità per ottenere quei saperi.
- Infine le abilità (in fr. savoir-faire) ovvero le competenze pratiche e la destrezza che si possono dimostrare nello svolgimento di pratiche concrete.
L’ordine dell’enumerazione appare del tutto casuale e non viene neppure segnalata la discontinuità tra elementi che rimandano ad un tipo di competenze cognitive rispetto a quelle che appaiono più pragmatiche. Quel che nelle intenzioni dell’istanza di enunciazione è il tratto comune delle voci di questo elenco è il fatto che non possiedono di per sé una dimensione materiale, stabile e tangibile. Dimensione questa che è invece riconosciuta agli elementi concreti ad esse associate: strumenti, oggetti, artefatti e luoghi specifici: questi rappresentano le parti tangibili della cultura che si presentano come fortemente legati e connessi al patrimonio intangibile vero e proprio. Ma più del tentativo di circoscrivere il campo di applicazione della Convenzione è interessante la parte in cui queste molteplici manifestazioni del patrimonio culturale non sono indicate come assolute e universali ma al contrario ancorate in una specifica comunità.
Su questo passaggio apparentemente secondario poggia tutto il peso della rivoluzione copernicana della IHC rispetto all’enfasi della precedente che ruotava attorno al concetto di “outstanding universal value”. Non muta l’universalità del progetto e l’estensione a tutta l’umanità del patrimonio protetto dalle Liste ma (piuttosto che calcare la mano sul carattere di comunanza e condivisione e su tipologie emblematiche di proprietà) qui la concezione di patrimonio viene declinata come categoria emica58. È il gruppo sociale a dover riconoscere in modo particolare e rispondendo alla propria specifica cosmogonia e concezione di patrimonio degli elementi particolarmente significativi. Non ci sono categorie etiche che vengono decise da
58 Emic e etic (da cui riprendiamo questa categoria) sono termini coniati da Lee Pike (1954-60) in relazione
all’opposizione phonemic/phonetic: “emico” può essere inteso qualsiasi approccio di indagine o descrittivo basato sugli elementi culturalmente pertinenti ad una comunità di riferimento; “etico” indica al contrario un approccio in cui i fatti e i dati sono descritti con una prospettiva esterna alla comunità di riferimento in analisi.
un osservatore esterno per poi essere applicate o ricercate nelle varie comunità, ma sono le comunità a poter stabilire le proprie forme di patrimonio specifiche.
L’idea è sviluppata con ancora maggior chiarezza nella restante parte dell’articolo, dove si noterà tutta la distanza e la ‘correzione del tiro’ rispetto alla WHC.
This intangible cultural heritage, transmitted from generation to generation, is constantly recreated by communities and groups in response to their environment, their interaction with nature and their history, and provides them with a sense of identity and continuity, thus promoting respect for cultural diversity and human creativity (art. 2, Conv 2003).
L’eredità culturale intangibile è visto come qualcosa che può essere tramandato, comunicato quasi si trattasse di pura informazione da membri maturi di una comunità ai più giovani e non competenti. In questo passo emerge tutta la consapevolezza degli studi di antropologia culturale e tutte le riflessioni sulla concezione dinamica di cultura, che la vede come un atto di costante ri-negoziazione, interazione e scambio all’interno di comunità situata, ovvero che risponde al luogo che occupa e agli avvenimenti che affronta.
La cultura e di conseguenza il patrimonio culturale fuoriescono da una logica strettamente essenzialistica di insieme di tratti, elementi fissi che permangono generazione dopo generazione ma in questa costante ri-creazione è implicita l’idea di un adattamento e una variazione inevitabile del processo. Questa nuova prospettiva consente di cogliere con più facilità non solo la funzione del patrimonio come agente di stabilizzazione e continuità rispetto al passato ma anche il suo valore di promotore di rispetto per culture diverse e soprattutto occasione per offrire contributi originali alla cultura.
L’immagine di patrimonio è dunque volontariamente poco definita e aperta alle molteplici declinazioni e interpretazioni delle varie culture e società del mondo: idealmente ogni elemento della cultura, senza alcun richiamo a precisi criteri estetici o scientifici può essere incluso nell’insieme del patrimonio culturale intangibile. Gli unici limiti esplicitati con forza sempre nello stesso articolo si richiamano a valori universali condivisi di ordine morale:
consideration will be given solely to such intangible cultural heritage as is compatible with existing international human rights instruments, as well as with the requirements of mutual respect among communities, groups and individuals, and of sustainable development (art. 2, Conv 2003).
Data la vaghezza delle definizioni e il campo di interesse delle credenze, pratiche e conoscenze di tutte le comunità del mondo, la IHC riconosce come vincoli per l’inclusione nel patrimonio culturale intangibile il rispetto dei diritti umani, il rispetto reciproco e il rispetto dello sviluppo sostenibile. Specificare questi unici tre paletti di restrizione del campo è un atto di estrema consapevolezza da parte dell’UNESCO perché denota un superamento concettuale dell’immagine della cultura come semplice vettore di pace e libertà: questa immagine pacificata delle culture del mondo come tanti punti diffusori di convivenza ed a ragion veduta. Tra le tante pratiche appartenenti alle cultura del mondo esistono rituali di mutilazione del corpo umano, canzoni che istigano alla violenza verso minoranze, pratiche che mettono a rischio l’equilibrio ecologico di una società. La precisazione di questi limiti è quindi un modo per restituire al
progetto del Patrimonio dell’Umanità tutta la sua carica di strumento per il perseguimento della conoscenza reciproca, di pace e di avvicinamento tra i popoli.
Il secondo paragrafo dell’articolo 2 è invece un elenco dei domini della IHC interessante perché ripreso in modo preciso dal progetto che consisteva nella Proclamazione dei Capolavori del patrimonio intangibile e orale dell’Umanità ma soprattutto perché si dichiara come elenco non conchiuso ed esemplificativo.
The “intangible cultural heritage”, as defined in paragraph 1 above, is manifested inter alia in the following domains:
(a) oral traditions and expressions, including language as a vehicle of the intangible cultural heritage;
(b) performing arts;
(c) social practices, rituals and festive events;
(d) knowledge and practices concerning nature and the universe; (e) traditional craftsmanship (Art. 2, Conv. 2003).
L’elenco dunque illustra una serie di manifestazioni del patrimonio già riconosciute dalla IHC ma non pone limiti categoriali o suggerimenti di criteri di valutazione (che devono essere ancora elaborati ed accettati nelle Linee Guida in fase di elaborazione). Tuttavia già scorrendo la lista presentata è facile rendersi conto della varietà di fenomeni culturali coinvolti, il che è un arricchimento indubbio ma pone serie difficoltà nell’attività di selezione data l’incommensurabilità e valutazione comparata tra tipologie così distanti. Nell’elenco rientrano tradizioni orali come quella dei cantastorie e i narratori epici che combinano racconto, canto e improvvisazione; arti performative come termine ombrello che include danza, musica, canto; pratiche sociali, riti e festività come cerimonie, carnevali spesso con un forte ancoraggio al luogo in cui si praticano; conoscenze e credenze che riguardano miti ed espressioni sul modo di guardare il mondo; infine l’artigianato come complesso di tecniche e abilità nella realizzazione di oggetti.
Dunque l’espressione cultural heritage che compare nella IHC dimostra di riferirsi ad una complessità di fenomeni molto più estesi rispetto al contenuto semantico che lo stesso termine aveva nella WHC. Il fatto patrimoniale come processo attivo costruito sulla realtà conduce a concludere che tutte le manifestazioni possono potenzialmente divenirne oggetto. Scompare il limite prima molto presente al patrimonio come fenomeno artistico che comportava l’esclusione di tutte le altre espressioni frutto del genio umano.
Oltre allo spostamento di focus già rimarcato dagli oggetti patrimoniali della cultura ai soggetti appartenenti alle comunità, un altro cambiamento rilevante riguarda la diversa valorizzazione temporale: nella vecchia Convenzione solo i resti monumentali del passato assumevano dignità di patrimonio, nella nuova visione l’attenzione è spostata decisamente sul carattere presente e attuale della pratica patrimoniale. In realtà, come ci indica Jade (2006: 51), “lo spostamento più perturbante operato dal patrimonio immateriale sta in questo passaggio del tempo fisso alla presa in considerazione di un tempo in movimento”.
Si parla di “cultura vivente”, proprio utilizzando una metafora che avvicina le pratiche culturali agli esseri naturali e viventi come piante e animali. E questo accostamento di campi
semantici tra universo simbolico-culturale e universo vivente-naturale è un compimento maturo della riflessione sul patrimonio intangibile in quanto gli studi sull’ecologia ci danno perfettamente un modello per la salvaguardia. Preservare entità viventi non vuol dire immobilizzarle e alterare il loro aspetto principale che è quello di essere flusso, cambiamento ma è al contrario assicurare che il flusso e i movimento interno continuino.
In questa cura per l’equilibrio dinamico più che per il mantenimento statico sta tutta la complessità e la sfida della salvaguardia del patrimonio intangibile.
In un certo senso, il patrimonio naturale è precursore dell’idea del mantenimento di una forza vitale creatrice immateriale e produttrice. L’idea dell’ecosistema è più radicata nelle coscienze. Il patrimonio culturale immateriale dipende esattamente dallo stesso ragionamento. […] La loro finalità non riposa nella volontà di mantenere i ‘fatti materiali’ ma di assicurare loro un rinnovamento costante. È importante prendere in considerazione delle realtà in divenire, ovvero tra rotture e continuità. […] L’aggettivo ‘immateriale’ non è insensato poiché si tratta di preservare questa quintessenza produttrice che assicura la perennità di una rinascita delle sue manifestazioni materiali in evoluzione e effimere che gli conferiscono autenticità (Jade 2006: 104,105).
Tale metafora che avvicina la cultura agli esseri viventi è molto densa di conseguenze e la ritroviamo sempre nell’articolo 2 nella precisazione di che cosa sia realmente la missione di salvaguardia.
“Safeguarding” means measures aimed at ensuring the viability of the intangible cultural heritage, including the identification, documentation, research, preservation, protection, promotion, enhancement, transmission, particularly through formal and nonformal education, as well as the revitalization of the various aspects of such heritage.
Le strategie di salvaguardia del patrimonio culturale intangibile sono indirizzate ad un PN ben preciso: quello di rendere più sicure e stabili forme culturali per definizione volatili e fragili. Ma proprio per il loro carattere intangibile i tentativi di salvaguardia non sono tanto rivolti a mantenere nel tempo specifici aspetti materiali, un’apparenza costante quanto a garantirne la vitalità (in fr. l’analogo viabilité). Vivente può essere definito come qualcosa che non è inscritto nella finitezza grazie alla sua capacità di riprodursi. E non c’è altro modo per una cultura di mostrare la propria vitalità che attraverso la ri-creazione continua delle sue manifestazioni: la comunità interessata deve dimostrare una prolificità ed una capacità produttiva di testi e pratiche per essere considerata pienamente viva. Del resto una metafora molto vicina a questa concezione è quella delle lingue morte e vive: una lingua è considerata viva solo finché è praticata, usata da membri di quella cultura. Il greco antico, seppur studiato nei licei è lingua morta perché non esiste una comunità che la vive, la arricchisce e la insegna nella vita quotidiana.
In questo senso il parallelo ci aiuta a capire qualcosa di fondamentale: non è sufficiente la conoscenza della sintassi e della semantica di una lingua o in termini allargati di una pratica culturale per darle vita. La competenza e l’informazione consentono alle tracce di non scomparire ma è la performanza, l’uso continuato e la crescita che ne assicurano lo spirito di continuità. Per ottenere questo scopo occorre impegnarsi in PN d’uso solo a prima vista simili alle politiche di conservazione del patrimonio tangibile: oltre alla necessità di identificazione,
preservazione e protezione, l’accento qui è posto più su documentazione, ricerca, promozione, valorizzazione e trasmissione.
Il carattere di trasmissibilità era già presente nella definizione di patrimonio intangibile come carattere di “mobilità”, possibilità di passaggio da una generazione all’altra, che lo rendeva analogo alla conoscenza scambiata attraverso la comunicazione. Anche le altre quattro forme di salvaguardia sono fortemente ancorate alla dimensione cognitiva del sapere su questo patrimonio. La ricerca e la documentazione configurano percorsi tematici e il coinvolgimento di attori come studiosi, esperti, istituzioni in grado di accrescere le conoscenze: tale attività appare passo necessario, propedeutico per una salvaguardia consapevole del patrimonio intangibile più ancora che del patrimonio tangibile. Se la perizia andava dimostrata anche nel restauro e mantenimento di monumenti, in questo caso la scelta di quali siano gli aspetti significativi da tramandare e quali le tecniche di trasmissione idonee, presenta livelli di problematicità maggiori ai quali devono corrispondere attente valutazioni.
La natura composita del patrimonio intangibile, costituito di fenomeni culturali molto differenti tra loro (si pensi alle affinità tra una mitologia contenuta in racconti e la maestria nell’intagliare il legno) rende necessaria una genericità nell’uso di termini per indicare le azioni di salvaguardia opposte a quelle di conservazione. Promozione e valorizzazione (in fr. mise en valeur è più specifico dell’inglese enhancement) sono lessemi che, contenendo semi di avanzamento, progresso e aumento di pregio, denotano altresì la volontà di ottenere tale percorso attraverso una completa espressione delle qualità intrinseche dell’oggetto di valorizzazione senza che vengano alterate o cambiate.
È ancora Jade ad esprimere con molta chiarezza questo passo importante per una migliore comprensione del fenomeno patrimoniale opponendo due approcci idealtipici: conservazione e salvaguardia.
La conservazione riguarda ciò che è stato e non è più, prende in carico la memoria rinchiusa su supporti. Quest’ultima fissata, datata e irreversibile apporta una conoscenza mnemonica del passato ma non ripristina l’entità del tempo e non deve affrontare la cultura del presente, ben viva. Serve a renderle la profondità storica e la sua continuità senza sminuire il suo divenire, e senza farla morire. Come non notare che la volontà di inscrivere la memoria su supporto appare soprattutto nelle culture dello scritto, più occidentali. C’è un reale scoglio da evitare perché questo approccio mantiene una posizione etnocentrica. […]
La salvaguardia pone innanzitutto il problema della cultura vivente. […] ‘Questo patrimonio culturale trasmesso di generazione in generazione, è ricreato costantemente dalle comunità e gruppi in funzione del loro ambiente, della loro interazione con la natura e della loro storia, e procura loro un senso di identità e di continuità, contribuendo così a promuovere il rispetto della diversità culturale e la creatività umana’. L’idea di creatività pone l’importanza del contemporaneo e del presente, e non solamente del passato. In questo quadro è la memoria del vivente non imprigionata che conta” (Jade 2006: 123).
L’opposizione tra le due politiche di protezione del patrimonio ben evidenzia il cambiamento di prospettiva complessiva sul concetto di patrimonio, dato che il patrimonio è essenzialmente “uno sguardo orientato sul tempo e sullo spazio” (Bernard Schiele). La concezione tradizionale del patrimonio conduceva i conservatori a porre fuori dal flusso temporale gli elementi del passato per isolarli e assegnare loro una funzione di emblemi,
rappresentanti e tracce del passato. Un’immagine esemplificativa di questa idea è quella della mummificazione dei faraoni nell’antico Egitto: l’essere umano cercava di opporre al cambiamento ed alle degradazioni della materia causate dal tempo l’arresto, la fissità la permanenza dell’aspetto esteriore (subordinando per importanza la sorte delle interiora e l’integrità delle carni umane). La sacralizzazione, ovvero l’iscrizione del corpo del faraone nel tempo del divino, dell’eternità e dell’immortalità avveniva attraverso una pratica conservativa che cercava di rappresentare appunto l’arresto del tempo attraverso non solo l’immobilità nello spazio ma la cristallizzazione, la fissazione della materia.
L’attenzione per la dimensione intangibile del patrimonio si configura come una forma di riequilibrio rispetto a questa eccessiva enfasi della conservazione sull’aspetto materiale o meglio sull’aspetto visibile, fenomenico del patrimonio. Un passaggio dalla feticizzazione degli oggetti (rappresentanti materiali) alla comprensione della funzione segnica complessiva fatta di rappresentanti e rappresentati.
Che si tratti di ossari murati nei bastioni della Siria, di una parola la cui forma o uso rivela un costume, di un racconto scritto da un testimone di una scena antica (o recente), che cosa intendiamo in effetti per documenti se non una ‘traccia’, ovvero una marca, percepibile ai sensi, che ha lasciato un fenomeno in se stesso impossibile da cogliere? (Bloch 1997, trad. mia).
Come nello studio storico sui documenti, illustrato da Marc Bloch, anche i vari fenomeni di patrimonializzazione si applicano sempre a fenomeni più complessi della singola traccia che lasciano. Tutti gli oggetti che rientrano in pratiche patrimoniali non sono che la punta dell’iceberg di qualcosa di molto più ricco di interesse: sono, diremo, un punto di accesso possibile tra i tanti alla ricchezza di contenuti e valori che una società possiede. Cercare di accedere al passato ed alle società diverse semplicemente attraverso un numero ristretto di oggetti e tracce significa precludersi la possibilità di scoprire e capire ciò che risulta celato perché vi si accede solo attraverso una piccola angolazione e alla ricerca solo degli aspetti significativi del nostro punto di vista.
Ecco perché nella precisazione dell’articolo 2 sulla natura del processo di salvaguardia si fa riferimento non solo alla revitalization/revitalisation del patrimonio, ma ci si richiama in particolare allo strumento dell’educazione sia nella sua declinazione istituzionale e formalizzata sia nella sua dimensione spontanea e non formale. Per assicurare un futuro al patrimonio intangibile non solo le sedi dell’istruzione ma l’intero processo di socializzazione e trasferimento delle competenze verso i più giovani viene visto come essenziale; e questa visione si riflette direttamente sulle politiche promosse dalla IHC sia a livello nazionale che internazionale, come abbiamo accennato nel paragrafo 3. 1.
In particolare è a livello nazionale che la dimensione comunicativa emerge come principale strumento di salvaguardia, soprattutto se confrontata con l’esiguo spazio dedicato al tema nel testo della WHC del 1972. E la comunicazione non è vista come azione informativa unidirezionale delle istituzioni verso le popolazioni presenti nel loro territorio di riferimento ma
come scambio e dialogo tra enti dedicati alla salvaguardia e comunità produttrici di espressioni culturali.
Nell’articolo 11 relativo alla necessità di identificare e individuare elementi patrimoniali specifici, si parla di “participation of communities, groups and relevant nongovernmental organizations”. Il coinvolgimento delle comunità non appare nel testo come semplice ricerca di una legittimità delle azioni di patrimonializzazione degli stati (ovvero non ricoprono il solo il