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4 1 La scelta del corpus: dall’area di interesse alla selezione dei testi delle Convenzion

Nell’indagine sulla nozione di patrimonio culturale nell’attività dell’UNESCO, la prima scelta significativa per la definizione del corpus sul quale concentrare l’analisi è stata quella di focalizzare la nostra attenzione su documenti prodotti dall’UNESCO. L’esame dei documenti in cui l’organizzazione internazionale stessa è l’istanza di enunciazione responsabile degli enunciati ci consente infatti di render conto della complessa elaborazione concettuale riguardante la conservazione del patrimonio e delle varie tappe, se non dell’esito finale (si tratta infatti di un tema in continua rielaborazione), di tale riflessione.

Abbiamo escluso in prima battuta la possibilità di un’indagine etnografica di routines, norme e comportamenti delle varie componenti del settore Cultura dell’UNESCO che si occupano del Patrimonio dell’Umanità (soprattutto il World Heritage Centre, nucleo amministrativo e gestionale delle attività legate alla Convenzione del 1972). Tale approccio, che possiede una lunga tradizione nel campo della sociologia delle organizzazioni, recentemente ha trovato consensi e sviluppi anche in campo semiotico42. L’organizzazione viene concepita in questi studi come un sistema multiattoriale che deve essere descritto attraverso l’osservazione empirica del gruppo di persone che vi lavorano e che prendono parte alla manipolazione e costruzione del senso complessivo; le ricerche condotte ‘sul campo’ sono finalizzate ad ottenere la rappresentazione condivisa dell’organizzazione che lega gli artefatti (edifici, macchine) ai comportamenti (linguistici e di altro tipo).

Pur sicuri della fruttuosità che avrebbe avuto un simile approccio applicato al nostro caso43, la natura dispersa degli apparati burocratici dell’UNESCO che si occupano di politiche patrimoniali a vario titolo e la mancanza di una metodologia univoca all’interno della semiotica ci hanno indotto a condurre un’indagine di tipo più tradizionale. L’analisi che presentiamo in questa seconda parte della tesi è infatti di tipo testuale e centrata su documenti: il nostro obiettivo è quello di cogliere la ‘vitalità’ e il carattere processuale del fenomeno di costruzione del Patrimonio dell’Umanità anche senza fornire una istantanea del modo di lavorare di persone e uffici.

La proposta di lavoro che abbiamo delineato nell’Introduzione consiste nel provare a tenere insieme tre dimensioni della ricerca: quella della riflessione teorica sul patrimonio in prospettiva semiotica, quella dell’analisi esemplare della costruzione del Patrimonio dell’Umanità e infine quella di approfondimento di un caso di bene protetti dall’UNESCO nell’ambito del progetto per vedere concretamente quali siano le ricadute dell’iscrizione di un bene nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. Nell’economia generale della ricerca l’analisi presente in questa parte si propone come disamina di un campione di testi necessariamente

42 Riferimenti introduttivi in questo senso possono essere, tra gli altri, Choo (1998) e Heusden - Jorna (2000). 43 Dopo l’esperienza di stage durata tre mesi presso il World Heritage Centre siamo quanto mai convinti che

l’approccio etnografico avrebbe restituito un’immagine dinamica e viva del quotidiano lavoro di quanti si occupano del Patrimonio dell’Umanità (esperti, delegati politici, membri amministrativi).

limitato e inteso come spazio privilegiato di rappresentazione, autodefinizione e costruzione degli attori sociali. All’interno di una prospettiva teorica sociosemiotica, che mira a costruire un modello efficace per la comprensione dei fenomeni sociali, cercheremo quindi di capire come è pensato, rappresentato e costruito un progetto ambizioso come quello del Patrimonio dell’Umanità a partire da alcuni suoi frammenti significativi. Come è stato notato in modo molto fine dal semiotico Manar Hammad (2006), tale lavoro sugli estratti della quotidianità, su tali frammenti di un discorso più ampio non è molto dissimile dal lavoro di una figura professionale che è vicina gli heritage studies, quella dell’archeologo.

Le metodologie di archeologia e semiotica sono avvicinabili in quanto in entrambi i casi si tratta di studiare, porsi domande e maneggiare (con maggior o minor destrezza) frammenti, produzioni parziali e manifestazioni limitate per inferirne informazioni sul sistema di provenienza più ampio che è quello di una determinata società o comunità. In alcuni casi le informazioni sulla civiltà o il contesto di provenienza aiutano, facilitano e guidano la ricerca; in altri casi le informazioni, i codici e le conoscenze non sono sufficienti per un tale compito. Ma quel che si verifica immancabilmente è un procedere faticoso nella ricerca attraverso prove indiziarie e ragionamenti abduttivi: con l’esercizio l’analista può affidarsi al ‘fiuto’ e alla curiosità soggettivi ma senza forzare mai gli oggetti di studio ad assecondare intuizioni. Il tentativo del semiotico di fornire chiavi di comprensione riguardanti testi sociali del presente è simile allo sforzo dell’archeologo che debba ricostruire, dire qualcosa sulla vita che è stata e sul contesto di origine di singoli elementi materiali rinvenuti come fossili o brandelli di oggetti d’uso del passato.

In entrambi i casi non va celato il rischio di fare abduzioni inesatte, procedere lungo piste di indizi fuorvianti; accettare questo rischio (comune ai processi di attribuzione del senso più interessanti) invece di ammantare le proprie analisi di una parvenza simile alle scienze esatte significa comprendere la reale portata della ricerca che si sta svolgendo. Anzi, il percorso che procede verso un incremento della intelligibilità di un dato testo acquista senz’altro maggior fascino proprio per questa accettazione dell’azzardo e per il fatto che non esista una formula scientifica in grado d assicurare il buon risultato.

Come è facilmente immaginabile la mole di materiale pubblicato e archiviato dalle origini dell’organizzazione UNESCO ad oggi è di proporzioni considerevoli e spazia dalle Raccomandazioni e Convenzioni44 agli opuscoli informativi ideati per un pubblico di bambini. I materiali e le fonti a disposizione per uno studio di semiotica della cultura, quale si propone di essere il nostro, risultano dunque quanto mai ingenti da un punto di vista quantitativo e molteplici da un punto di vista qualitativo. Per cui la nostra indagine non solo è parziale perché indirizzata da competenze limitate geograficamente, storicamente ma soprattutto non nega l’aspetto abduttivo, di ricostruzione e modellizzazione a partire da un numero esiguo di elementi.

La scelta di focalizzare l’analisi principalmente se non esclusivamente sui testi delle tre Convenzioni UNESCO del 1972, 2003 e 2005 è stata dettata dall’esigenza di trarre degli spunti

44 I due principali strumenti legali usati per regolamentare il diritto internazionale su uno specifico tema: più

di riflessione a partire da una tipologia testuale stabile e significativa. Tale scelta è stata fatta solo a seguito di un monitoraggio attento e prolungato di tutti i materiali pubblicati (e in alcuni casi non divulgati) dal World Heritage Centre e dalla Sezione Cultura dell’UNESCO. Tra questi materiali figurano documenti ufficiali, documenti di lavoro delle Commissioni e Comitati, i contenuti delle pagine web dei siti internet e le pubblicazioni in forma di periodici o materiali promozionali-divulgativi. In particolare nell’ultimo ventennio si è riscontrato un aumento della mole di materiale informativo rivolto non più esclusivamente ad un pubblico interno all’organizzazione composto da esperti e politici ma anche alle persone interessate all’argomento, all’opinione pubblica.

Tale sforzo di comunicazione pubblica, avvertito in ogni settore della politica mondiale (cfr. Grandi 2001), ha caratterizzato l’attività dell’UNESCO fin dalla sua fondazione ed è intrinsecamente collegato agli scopi politici dell’istituzione che si occupa di educazione, scienza e cultura a livello mondiale. Basterà dunque rilevare come la rivoluzione tecnologica abbia aumentato le potenzialità e facilitato i compiti che l’UNESCO svolge all’interno dell’attività dell’ONU e come in particolare la diffusione dell’uso di internet abbia consentito di ripensare la strategia comunicativa in modo più efficace e idealmente più democratica45.

La stabilità dei documenti è garantita proprio dal loro carattere e statuto di punti fermi, elaborazioni molto complesse ma non modificabili una volta approvate ed adottate. A differenza infatti di molti testi pubblicati dall’UNESCO per illustrare anche più diffusamente la propria attività di sostegno delle pratiche patrimoniali che hanno una tendenza generale all’obsolescenza e all’aggiornamento continuo, i testi delle convenzioni rappresentano tre punti fermi all’interno della riflessione: sono infatti al tempo stesso punto di arrivo di un percorso di elaborazione teorica che coinvolge studiosi e ricercatori, e punto di partenza per le azioni concrete di intervento messe in atto direttamente dall’UNESCO o sollecitate presso gli stati membri.

Per quanto riguarda invece la significatività un primo indizio è dato dal fatto che tutte le altre forme di pubblicità delle attività dell’UNESCO legate al patrimonio fanno esplicito riferimento ai documenti ufficiali. Nella maggior parte dei casi si tratta di rimandi intertestuali in forma di citazione di articoli, altre volte si tratta di parafrasi quasi letterali di alcuni passaggi facilmente individuabili. In ogni forma di comunicazione dell’UNESCO un tratto saliente è infatti la ridondanza dei contenuti e l’intertestualità quasi esasperata: questo è essenzialmente dovuto più che alla scarsità di risorse umane, intellettuali e creative alla necessità di rimanere vincolati agli unici testi che hanno ottenuto la sanzione positiva e il riconoscimento di tutti i delegati del mondo, ovvero dell’Assemblea Generale.

Le Convenzioni UNESCO che analizzeremo sono:

1. Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage (1972);

2. Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage (2003);

45 Si vedano le numerose attività dell’UNESCO volte alla riduzione del digitale divide tra gli obiettivi strategici del

3. Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions (2005).

Questi documenti devono essere pensati come altrettanti risultati di lunghi e tortuosi processi di negoziazione, scrittura, correzione e confronti di visioni talvolta distanti sul tema del patrimonio, della memoria, della tradizione e delle differenze culturali. L’istanza di enunciazione responsabile di questi testi non è originariamente un singolo soggetto, un autore unico ma le diverse parti delle Convenzioni sono un patchwork delle idee e delle obiezioni di differenti delegati degli stati del mondo che riuniti in commissioni specifiche hanno approvato e messo insieme un unico testo.

Come anticipato (cfr. Parte I, capitolo 2 § 2), il discorso giuridico ed i testi dei trattati internazionale che ne sono un caso specifico sono elementi privilegiati per uno studio della “società riflessa” (cfr. Landowski 1989) in quanto presentano immagini e rappresentazioni della società stessa che si mette in scena ed è costretta a pensarsi (a produrre modelli significativi di se stessa) per intervenire su argomenti specifici.