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6 5 Verso un approccio olistico al fenomeno patrimoniale

Come abbiamo visto nei documenti ufficiali dell’UNESCO è emersa con sempre maggior forza l’idea di come in tutte le culture l’aspetto intangibile e quello tangibile fossero sempre copresenti e interrelati. Le Linee guida per l’implementazione della WHC hanno viso l’ingresso della dimensione intangibile anche tra i criteri di valutazione del valore di monumenti, siti archeologici o naturali; d’altro lato il testo della Convenzione riconosce come complemento essenziale allo svolgimento di pratiche culturali luoghi, strumenti e artefatti fin dal suo secondo articolo.

Per Bouchenaki, tra i più forti sostenitori della IHC, la riflessione sull’intangibilità più che una aggiunta alla precedente sul patrimonio tangibile sarebbe il riconoscimento di un livello gerarchicamente superiore:

Gli oggetti patrimoniali sono la prova tangibile di norme e valori soggiacenti. Così stabiliscono una relazione simbiotica tra il tangibile e l’intangibile. Il patrimonio intangibile

61 Come si è visto nella discussione sugli heritage studies (nella Parte I, capitolo 1 § 1), le rovine di per se stesse non

va visto come un framework più vasto nel quale il patrimonio tangibile prende forma e senso” (Bouchenaki 2004: 8, trad. mia).

Oltre a ribadire una necessità di sviluppare un nuovo approccio olistico al patrimonio, quello che la frase autorizza a pensare è che la salvaguardia del patrimonio intangibile come prevista dalla IHC si configuri come una forma di intervento più estesa rispetto ai singoli oggetti o beni: l’interesse principale in questo caso si concentra sul contesto e soprattutto sui “practitioners” coloro che sono responsabili delle pratiche culturali. Questo avviene per una diversità di fondo:

Mentre il patrimonio culturale tangibile è strutturato per sopravvivere molto dopo la morte della persona che l’ha prodotto o commissionato, la sorte del patrimonio intangibile è molto più intimamente legata ai suoi creatori poiché dipende in molti casi dalla trasmissione orale (Bouchenaki 2004: 9, trad. mia).

Una opposizione categorica interessante perché molto correlata a questo aspetto è quella di Nelson Goodman: nel suo studio sul linguaggio dell’arte (1968) egli distingue tra pittura e scultura come esempi di arti autografiche (l’istanziazione materiale e il lavoro sono un tutto unico) opposte a musica, danza e teatro che sono arti allografiche, dove il lavoro e le sue istanziazioni nella performance non sono le stesse. Analogamente si potrebbe dire che il patrimonio tangibile abbia una natura autografica, mentre quello intangibile una natura allografica.

La necessità di riprodurre per salvaguardare nel patrimonio immateriale, rende dunque fondamentale il processo di competenzializzazione del soggetto che deve poi mettere in atto la performance. Proprio in quanto processo diventa difficile da salvaguardare e isolare, in modo analogo alle difficoltà metodologiche di analisi semiotica delle pratiche: come nel caso del patrimonio intangibile uno dei metodi ricorrenti è quello di preservare, archiviare delle registrazioni (che sono cristallizzazioni, schegge delle pratiche), così in semiotica spesso la strada percorsa nell’esame delle pratiche vive è stata quella di una riproposizione dello stesso bagaglio di strumenti applicato a ‘testualizzazioni’ delle pratiche (cioè pratiche discorsivizzate in altri generi testuali) o analisi di registrazioni audio-video con una completa mancanza di problematizzazione del momento dell’acquisizione di suoni e immagini.

Questa problematica è anche connessa con i problemi metodologici a cui va incontro il lavoro etnografico: come restituire in un forma scritta o orale la ricchezza di contenuti e informazioni della vita vissuta sul campo di ricerca? Come in ogni caso di trasduzione, di passaggio da un sistema semiotico ad un altro (o meglio dalla molteplicità di sistemi semiotici ad uno solo), il passaggio comporta inevitabilmente una perdita. Tuttavia come nel caso di ogni traduzione in senso ampio esistono a seconda degli scopi possibilità di risultare più o meno efficaci. Nella discussione semiotica sulle pratiche un’applicazione interessante è lo studio della cucina intesa come pratica culinaria: questa offre perfettamente l’esempio della differenza che ci può essere tra il saper-fare, saper preparare e creare dei piatti da un lato e i libri di ricette che si propongono come istruzioni o resoconti riguardanti quel saper fare dall’altro. Due aspetti significativi: per la realizzazione e messa in atto di pratiche, la fase di apprendimento,

acquisizione di una competenza (prova ed errore nel caso di autoistruzione, prova e correzione nel caso di insegnamento) è essenziale; a differenza di opere e oggetti che sono prodotti finiti, le pratiche possono avere degli esiti, dei punti di sbocco ma la loro caratteristica principale è quella di essere processi che occupano una durata.

Apprendimento e trasmissione sembrano essere gli unici due rimedi alla intrinseca fragilità del patrimonio immateriale. In particolare la fragilità delle opere è riscontrata per le tradizioni orali: come rileva uno scrittore del Mali Amadou Hampaté Ba “in Africa quando un vecchio muore scompare una biblioteca” (citato in Bouchenaki 2004). In molte culture del mondo e anche in molti campi delle ‘nostre’ culture, la trasmissione delle abilità e del sapere avviene in modo privilegiato in forma orale: nel Mali i griots (delle figure che sono al tempo stesso poeti, musicisti, maghi) hanno la funzione di diffondere storie e sapere sulle comunità locali e di passare alle future generazioni ciò che è stato passato loro dagli anziani; nell’artigianato i maestri hanno la funzione di passare ai praticanti le competenze pratiche che non troverebbero sui libri.

La registrazione delle forme orali di letteratura e racconti viene unanimemente riconosciuto come metodo valido per salvare i contenuti, benché la pratica della scrittura abbia lo svantaggio agli occhi dei membri delle comunità “senza scrittura” di rendere sacrosanto, inalterabile il testo, di dargli una forma rigida che nella versione orale non ha. Nel patrimonio orale e nelle forme pratiche c’è lo stesso tipo di tolleranza della variazione: i soggetti coinvolti devono attenersi a certi parametri, liturgie, elementi necessari e imprescindibili ma il problema centrale non è la fedeltà ad una forma fissata una volta per tutte. Quanto è importante la trasmissione del sapere più della preservazione degli oggetti è riscontrabile in un esempio tra tanti di patrimonio intangibile preservato sotto l’egida della IHC: quello dei disegni sulla sabbia nelle isole della Melanesia Vanuatu.

Si tratta di una tradizione che consiste nel disegnare su un piano composto da sabbia o cenere delle linee e forme geometriche: per proteggere una tale tradizione non si è provveduto ad un catalogo delle forme che possono ricordare alcune creazioni dell’arte astratta contemporanea e questo per un semplice motivo. I disegni sono prodotti sulla sabbia da un artista in presenza di un determinato pubblico ma alla fine del processo creativo, una volta che la superficie è riempita di segni e solchi delle dita vengono cancellati. Il parallelo con un pittore, che dopo aver disegnato il suo più bel quadro, riporta la tela al candore, non regge proprio per la distanza di tradizioni; piuttosto la natura di una pratica come quella della Melanesia assomiglia alle performance di artisti di strada delle nostre città. In cosa consiste la particolarità dei disegni sulla sabbia? Nel fatto che venga attribuito valore in questa tradizione alla tecnica e all’apprendimento di tale tecnica che infatti è coperta da segretezza: ciascuna tribù di quelle isole ha un modo proprio di tracciare le linee che difende in modo geloso. Data l’assenza di un prodotto finito, o meglio lo scarso interesse per quella popolazione locale, di un progetto di salvaguardia del patrimonio non può che incentrarsi sulla fase dell’insegnamento, mirando a facilitarne la diffusione.

il concetto di ‘patrimonio intangibile’ è molto utile qui perché pone enfasi sulla trasmissione del sapere piuttosto che sulla preservazione degli oggetti. Lo scopo è promuovere i processi sociali di apprendimento, condivisione e performanza, che consentono i disegni sulla sabbia come una forma dinamica di espressione culturale” (Condominas 2004: 34, trad. mia).

Il passaggio da una concezione reificante della memoria culturale (centrata su pochi oggetti che avevano la pretesa di universalità) ad una maggiore attenzione sul patrimonio culturale nella sua dimensione più dinamica e attenta al divenire non potrebbe essere più evidente. Tale nuova prospettiva olistica sul patrimonio ha inoltre l’effetto determinante di valorizzare più i soggetti degli oggetti come osserva Barbara Kirshenblatt-Gimblett:

Il precedente modello del folklore spingeva accademici e istituzioni a documentare e preservare una registrazione delle tradizioni che scomparivano. Il più recente modello domanda di sostenere un tradizione vivente, benché in pericolo, sostenendo le condizioni necessarie alla riproduzione culturale. Ciò significa accordare valore ai ‘portatori’ e ‘trasmettitori’ di tradizioni, oltre che ai loro costumi e habitat. Mentre allo stesso modo del patrimonio tangibile, quello intangibile è cultura, allo stesso modo di quello naturale, è vivo. Il compito, allora, è sostenere l’intero sistema come una entità vivente e non semplicemente collezionare ‘artefatti intangibili’” (Kirshenblatt-Gimblett 2004: 53, trad. mia).

Un esempio concreto ed estremo della attenzione portata alle persone, le loro conoscenze e abilità piuttosto che sugli artefatti è il progetto Living National Treasure promosso dal Giappone e indirizzato all’aiuto di personalità artistiche di pregio come portatori di un capitale culturale da valorizzare attraverso la trasmissione. In modo differente da animali e piante, le persone non sono solo oggetti di pratiche patrimoniali ma anche soggetti: non sono solo quindi portatori di cultura (i termini sono sfortunati come ‘capolavori’), ma anche agenti nell’iniziativa stessa del patrimonio.

Il fatto che questi tesori viventi possano morire rientra appunto nelle leggi della vita e nella realtà delle cose materiali:

Il cambiamento è intrinseco nella cultura e le misure dirette a preservare, conservare, salvaguardare e sostenere particolari pratiche culturali sono prese in mezzo tra la cristallizzazione della pratica e il riconoscimento della natura intrinsecamente processuale della cultura” (Kirshenblatt-Gimblett 2004: 59, trad. mia).

Ricordiamo come per Assmann (1992), la memoria culturale funzioni attraverso un complesso gioco fatto soprattutto di due elementi: la ripetizione, garantita dalla coerenza rituale, o dalla replica di un ordine dei pattern stabilito e in secondo luogo dalla attualizzazione, ovvero un discreto e variabile margine di libertà nella rievocazione.

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ONVENZIONE PER LA PROTEZIONE E PROMOZIONE DELLA DIVERSITÀ CULTURALE