2 3 Il patrimonio come fenomeno sociosemiotico
3. I L PATRIMONIO CULTURALE COME OGGETTO DI SEMIOTICA DELLA CULTURA
3.1. La trasmissione culturale
Il ruolo del patrimonio culturale e della memoria nella vita sociale di una comunità è tema più volte evocato e ampiamente dibattuto nell’elaborazione della semiotica della cultura di tradizione lotmaniana. Prima di passare in rassegna rapidamente alcune osservazioni e contributi di due autori che nell’ultimo decennio hanno riflettuto sulla semiotica della cultura in particolare occupandosi del fenomeno della globalizzazione (Göran Sonesson e Franciscu Sedda), ci preme mettere in luce come l’argomento della nostra ricerca risulti centrale già nella riflessione del più grande ispiratore della semiotica della cultura: Jurij Michajlovic Lotman, capofila della cosiddetta scuola di Tartu.
Partiamo da una riflessione di Lotman sulla cultura come fenomeno universale che caratterizza l’umanità. In un saggio del 1970 (trad. it. in Lotman – Uspenskij 1975: 25 e ss.) il semiologo osserva come l’essere umano abbia sopra ogni cosa una salda volontà di autoconservazione: “L’umanità aspira a sopravvivere” esordisce. E potremmo dire che condivide questo istinto con tutti gli esseri viventi e tutte le forme di vita: ma, come la storia dell’umanità ci indica, accanto alla produzione di beni materiali atti a soddisfare le necessità immediate (cibo per il sostentamento, riparo per riposare e riacquistare forze), possiamo notare come in ogni cultura siano state dedicate grandi energie nei settori sociali dedicati alla conoscenza, al simbolico, a quello che un po’ etnocentristicamente Lotman chiama “arte” ma che in questa sede potremmo rinominare forme di espressività simbolica.
Anzi si potrebbe osservare comparando la pluralità di società (in senso sincronico e diacronico) che le persone, le classi sociali o le istituzioni preposte a questa attività apparentemente meno necessaria (perché non soddisfa nessuna necessità impellente) siano sempre quelle alle quali è riconosciuto uno status sociale di prim’ordine. I filosofi, gli artisti ma anche gli anziani delle società a tradizione orale, per non parlare delle istituzioni e centri che si occupano di cultura vengono socialmente considerati come veri e propri cardini e gangli della società30. Da queste osservazioni Lotman desume una “inevitabilità della cultura” per le comunità umane.
Se per la sopravvivenza biologica di un singolo individuo è sufficiente che vengano soddisfatti determinati bisogni naturali, la vita di una collettività, quale che sia, non è possibile senza una cultura. Per qualunque collettività la cultura non è un supplemento facoltativo a un minimo di condizioni vitali, ma è la condizione necessaria, senza la quale la sua stessa esistenza appare impossibile (Lotman – Uspenskij 1975: 26).
Se le risorse che soddisfano i bisogni più immediati dell’essere umano non prevedono la possibilità di essere rimandate troppo a lungo (non si può astenersi dal dormire o rimandare la
30 Il vero punto di interesse diventa dunque indagare cosa in una società è definibile come arte, in che modo si arriva
a maturare una competenza sufficiente a divenire saggi in una tribù o a ricoprire funzioni di aggregatore sociale. L’importanza di queste funzioni, di queste posizioni per l’intera società è dimostrata dal fatto che come in nessun altro settore esistano iter ben stabiliti, forti “barriere all’entrata” e in generale una rigida selezione.
respirazione e l’alimentazione in modo indefinito), le risorse che riguardano l’intera società rispondono a bisogni che prevedono per la loro soddisfazione anche l’accumulazione e la trasmissione dopo un lasso di tempo ampio.
Senza addentrarci in discussioni sui fondamenti dell’antropologia, osserveremo per inciso che la stessa sopravvivenza biologica è assicurata al singolo individuo da quel pacchetto di istruzioni e di forme di conoscenza che chiamiamo “cultura”. È infatti l’insieme di regole di vita, di conoscenze sul mondo che un individuo acquisisce attraverso l’apprendimento e l’imitazione dei simili che un essere umano riesce a vivere e adattarsi all’ambiente in cui è nato. Come si legano queste osservazioni generali al tema del patrimonio? Diremmo molto strettamente, in quanto nella accumulazione di riserve e nel processo di accrescimento della cultura risulta centrale il modo in cui vengono selezionate le informazioni, le conoscenze e i riferimenti da tramandare alla generazione successiva.
Partendo dalla nota definizione di Edward Burnett Tylor (1871) della cultura come insieme di strumenti, tecniche, istituti sociali, credenze, costumi e lingua31, Lotman propone quella di cultura come “l’insieme di tutta l’informazione non ereditaria e dei mezzi per la sua organizzazione e conservazione” (Lotman – Uspenskij 1975: 28). L’espressione di Lotman “informazione non ereditaria” merita una rapida spiegazione. Quando Lotman parla di informazione è chiaro che si riferisce a una pluralità di forme espressive dell’uomo che vanno ben oltre i discorsi a carattere ‘informativo-persuasivo’. Una più attenta analisi del contesto teorico nel quale Lotman scrive (Miceli 1982; Sedda 2006b) chiarisce come per lui la cultura sia tutta la complessità di fenomeni che vanno sotto i nomi di comunicazione, il meccanismo di coscienza collettiva che non si limita a trasferire informazione ma la produce32.
L’informazione non è un connotato facoltativo ma una condizione per l’esistenza sociale dell’umanità: la cultura è molto di più che deposito dell’informazione ma
È un meccanismo organizzato in modo estremamente complesso, che conserva l’informazione, elaborando continuamente a tale scopo i procedimenti più vantaggiosi e compatti, ne riceve di nuova, codifica e decodifica i messaggi, li traduce da un sistema segnico in un altro. La cultura è un meccanismo duttile e complesso della conoscenza. Nello stesso tempo l’ambito della cultura è teatro di una battaglia ininterrotta , di continui scontri e conflitti sociali, storici e di classe (Lotman 1975: 28).
La cultura come memoria della non ereditaria della collettività è espressa in un determinato sistema di divieti, prescrizioni, simboli e oggetti condivisi. Come tale è un generatore di strutturalità che circonda gli esseri umani. Come una sfera circonda l’essere umano e rende possibile la vita sociale.
Anche l’accenno all’ereditarietà o meno di un elemento umano è da intendersi come un riferimento al semplice aspetto biologico-naturale: quel che Lotman vuol dire è che la cultura
31 Questa visione della cultura riguarda qualsiasi elemento materiale o spirituale della vita dell’essere umano che gli
sia stato trasmesso attraverso la cultura.
32 In questo senso si aggancia alla concezione di Edmund Leach (1976): tutti i comportamenti culturali sono “eventi
comunicativi”, espressioni diverse di un meccanismo di fondo unitario. Per descrivere questo meccanismo diventa indispensabile il metalinguaggio semiotico.
non passa dalla madre al figlio attraverso il parto, attraverso un atto singolo e geneticamente governato da regole ineluttabli. Ma l’acquisizione di una cultura da parte di un individuo è l’esito di un prolungato e complesso lavoro di educazione (ovvero istruzione e insegnamento ad opera di un maestro) e apprendimento (la conquista di conoscenze anche attraverso l’esperienza o l’imitazione). Sarà bene ricordare in questa sede l’ambiguità semantica di termini come “patrimonio” e “eredità” che anche banalmente nell’uso comune possono riferirsi a due isotopie ben differenziate: quella biologica (si parla di patrimonio genetico del DNA, di ereditarietà e caratteri editari) e quella giuridico-culturale (i beni che il padre lascia ai figli ma anche per estensione l’insieme di elementi trasmessi socialmente da una generazione all’altra)33.
Quel che invece non è ambiguo ma anzi ribadito con estrema chiarezza in diversi punti è l’importanza che Lotman assegna al tema della conservazione e trasmissione, essenza stessa della cultura. Per questo diventa allora interessante analizzare l’attività dell’UNESCO di costruzione del Patrimonio dell’Umanità, alla luce delle osservazioni di Lotman, mettendo in luce come si tratti di una strategia volta ad assicurare la continuità di precisi elementi della cultura a scapito di altri. La funzione della Lista dei beni naturali e culturali è qualcosa di più ambizioso che un semplice resoconto e deposito simbolico di siti e opere monumentali da salvare: oltre la finalità pragmatica-operativa di intervento per la difesa dall’usura del tempo di determinate opere dell’essere umano, va tenuto conto di cosa possono comportare le scelte di determinati oggetti secondo criteri talvolta impliciti e non dichiarati.
Attraverso la selezione rigida che coinvolge a diversi livelli gli stati membri, il Comitato, il Centro e gli organi consultivi si costruisce per sommatoria un catalogo di tratti e elementi giudicati rappresentativi e istitutivi di una macrocomunità che corrisponde all’Umanità intera. I siti divengono concreta e allo stesso tempo exempla della cultura fatta corrispondere non ad una singola comunità ma all’Umanità intera concepibile come un nuovo soggetto politico, un nuovo attante collettivo che al momento al limite può essere definito come “massa sociale”34.
Interessante registrare come Lotman faccia accenno all’idea di una simile idea di cultura che possa coinvolgere tutti i popoli della terra, tutte le manifestazioni espressive dell’essere umano. Nello stesso momento mostra una buone dose di scetticismo e perplessità in merito ad una cultura dell’intero pianeta, perplessità che deriva non tanto da motivi politici ma dalla sua idea di cultura come identità situata, parziale e mai onnicompresiva. La cultura non ingloba mai tutti i testi esistenti ma funziona sempre su uno sfondo di non-cultura, ha bisogno di opporsi a qualcosa di diverso per funzionare ed esistere.
Solo a un determinato metalivello, talora fortemente astratto, è possibile considerare sia le varie culture concrete delle collettività umane, che la Cultura Planetaria nel suo complesso, come una sola lingua, e cioè come un sistema di segni organizzati secondo un’unica struttura gerarchica e secondo una gerarchia unificata delle regole per la loro combinazione (Lotman – Uspenskij 1975: 30).
33 È su questa ambiguità che gioca un testo come Il Gene egosista di Hawkins (19) riferito al meme, la memoria
culturale.
Per Lotman infatti perché esista una cultura si deve obbligatoriamente parlare di tratti distintivi, dato che essa non rappresenta mai un insieme universale, ma solo un sottoinsieme dai confini più o meno marcati ma sempre presenti. Come già detto, la cultura è pensata come una porzione, un’area chiusa sullo sfondo della non-cultura. Per Lotman (cfr. 1985: 59) il concetto di confine è in correlazione con quello di individualità semiotica: una cultura, una semiosfera è dotata di quella che chiama “personalità semiotica” ovvero una specificità che se non si traduce automaticamente in omogeneità interna quanto meno la circoscrive e differenzia dallo spazio circostante, appartenente ad altre culture, altre semiosfere.
Il concetto di Patrimonio dell’Umanità porta a pensare a un’idea di pan-cultura che comprenda tutte le culture del mondo, che raccolga come in un fascio i sistemi semiotici che si sono formati storicamente come separati e dotati di altrettante “personalità”, o sarebbe meglio dire identità. Ora, questo allargamento del concetto crea non pochi problemi a livello teorico, oltre che causare sul piano applicativo difficoltà concrete: l’estensione del concetto di cultura fino a comprendere la totalità delle culture costringe quanto meno a un ripensamento di cosa significhi “cultura”, che ruolo giochino le differenze e le sfumature culturali e su quali basi possa essere motivato un allargamento così significativo.
Questi problemi in realtà ci derivano dal fatto che quando parliamo di cultura la nostra riflessione diventa viziata perché ci poniamo in una prospettiva del tutto particolare: il nostro pensiero infatti corre subito a quello che nel senso comune è la cultura di una specifica nazione o una etnia. È infatti consuetudine parlare prevalentemente di “cultura italiana”, “cultura cinese”, “cultura indiana” pensando a queste come a unità coese, forti, dotate di caratteristiche che parlano da sole, non hanno bisogno di spiegazioni. In modo più sottile Lotman parla di cultura come realtà situata storicamente e geograficamente ma non pensa esclusivamente alla diversità di appartenenza nazionale.
In questo senso marca la distanza da un tipo di concezione di cultura di ispirazione ottocentesca e nazionalista: le tradizioni collettive possono anche non riguardare una nazione o un gruppo etnico. La sua è una concezione “differenziale” della cultura, che definisce come un’entità astratta, un sistema di valori e significati, idee e comportamenti “così come sono pensati”. Il senso di appartenenza, il confine tra un ‘noi’ e un ‘loro’ può riguardare una molteplicità di gruppi sociali, per nulla statici e non definiti una volta per tutte: tra gli esempi di cultura che Lotman propone ci sono anche quelli di “cultura dei bambini” come contrapposta a quella degli adulti, o di “cultura dei giovani” o “cultura delle élite”.
Alla luce di questa precisazione necessaria per comprendere meglio il pensiero di Lotman, la Lista del Patrimonio dell’Umanità si rivela sì un tentativo di definizione di una pan- cultura composta da “pezzi”, “testi” di diverse culture (per assemblaggio e accorpamento) ma è al tempo stesso un sistema autonomo dagli altri, una cultura o meglio una semiosfera che traccia dei confini rispetto a qualcos’altro. Rispetto ad altre semiosfere, il programma dell’UNESCO ha di peculiare che il ‘qualcos’altro’ a cui si oppone non è la cultura di una comunità diversa, non è un loro basato su un’identità facilmente individuabile ma corrisponde all’insieme di elementi non giudicati patrimonio proprio di tutti i popoli del mondo.
Il carattere originale della semiosfera che il progetto dell’UNESCO si propone di creare è quella di immaginare e costruire la propria specificità non attraverso l’opposizione ad una cultura altra, barbara (perché distante spazialmente o temporalmente), di un’altra comunità di esclusi ma attraverso l’opposizione significativa tra i beni considerati rappresentativi dell’Umanità (meritevoli di essere considerati “testi”35 della cultura) e quelli che non sono patrimonio dell’umanità (o meglio non ancora considerati meritevoli).
Non deve sfuggire il carattere completamente costruito (e in ultima istanza arbitrario) del confine tra questi due mondi, che si pongono in comunicazione dinamica e evolutiva. La distinzione tra noi e loro, il senso di appartenenza sono l’esito di una negoziazione o una definizione soggetta a cambiamenti. Quello che in un momento preciso non è considerato ancora Patrimonio dell’Umanità, attraverso un procedimento minuziosamente regolato, l’anno successivo può diventarlo grazie alla semplice iscrizione sulla Lista, grazie quindi a una procedura di “denominazione”, assegnazione di una semplice etichetta.
Quello che ci interessa osservare è inoltre il fatto che Lotman propone di usare l’espressione “cultura mondiale” solo a un livello metadiscorsivo, solo per indicare una organizzazione dei sistemi di segni di portata limitata attraverso norme e regole. Se tale livello viene giudicato astratto, il principio di funzionamento non cambia molto rispetto a una altra qualsiasi cultura che per Lotman è un fascio di sistemi semiotici formatisi storicamente, che può assumere forma di una gerarchia oppure una simbiosi tra sistemi autonomi.
Vedremo in che modo il modello della “semiosfera” possa aiutarci ad inquadrare teoricamente il nostro problema. Prima ancora ci interessa mettere in luce come in un certo senso la procedura di iscrizione nella Lista dei beni protetti sia analogo al processo traduttivo. Per Lotman la traduzione è un passaggio chiave nel rapporto tra culture diverse ma anche tra ambiti di una stessa cultura.
Solo ciò che è stato tradotto in un sistema di segni può diventare patrimonio della memoria. La storia intellettuale dell’umanità si può considerare una lotta per la memoria. Non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi. L’origine della storia […] come un determinato tipo di coscienza è una forma di memoria collettiva (Lotman – Uspenskij 1975: 31).
Questo passaggio in particolare è importante perché Lotman afferma a chiare lettere come la memoria collettiva rappresenti essenzialmente una forma di coscienza della propria identità collettiva, indispensabile per la vita di un gruppo sociale. Lotman afferma anche che affinché un testo sia comprensibile all’interno di una cultura non è necessario che venga “tradotto” semplicemente in termini linguistici: la trasformazione che il testo deve subire, in modo più complesso, consiste in un processo di rielaborazione al termine del quale la comunità di riferimento lo percepisca come proprio. Questo meccanismo è quello di comprensione, nel senso proprio di volontà di prendere con sé, dentro di sé: la traduzione infatti di cui parla Lotman si
35 Lotman afferma che ogni cultura chiama “testi” quelli che riconosce come propri prodotti, siano essi parte del
repertorio linguistico, comportamenti o altre manifestazioni espressive. Al contrario i “non-testi” sono i prodotti di altre culture, che vengono disconosciuti come propri.
configura come una sorta di inglobamento, fagocitazione, assorbimento che conduce qualcosa di esterno in uno spazio famigliare, facilitando così la sua attribuzione di significato e di ordine.
Chiaro è che “nel processo di assimilazione della cultura importata i nuovi testi, spesso codificati nel linguaggio naturale della cultura che trasmette, sono profondamente modificati dalla cultura che li riceve” (Lotman 1985: 134). Gli esiti di questa trasformazione sono essenzialmente due: la cultura che assorbe un elemento esterno elabora gli strumenti necessari per un rapporto comunicativo adeguato con la tradizione culturale che trasmette; e la tradizione si trasforma tanto da apparire nuova alla stessa cultura da cui proviene (determinando così una crescita di informazione).
Il problema specifico della cultura come meccanismo volto a organizzare e conservare l’informazione è quello della longevità sia dei singoli testi che dei codici utilizzati. Dato che esistono precise limitazioni nel volume e nel carico della memoria collettiva, altrettanto importante del meccanismo di assimilazione e traduzione sarà quello di selezione e estromissione dalla cultura.
La cultura esclude in continuazione dal proprio ambito determinati testi. La storia della distruzione dei testi, della loro estromissione dalle riserve della memoria collettiva si muove parallela alla storia della creazione di testi nuovi. […] La cultura è, per la sua essenza, diretta contro la dimenticanza: essa vince la dimenticanza col trasformarla in uno dei meccanismi della memoria (Lotman – Uspenskij 1975: 47).
Dunque un problema fondamentale per ciascun sistema semiotico è il suo rapporto con ciò che sta fuori dal sistema e le modalità di dialogo con questo extrasistema. Lotman pensa dunque che le limitazioni nel volume di memoria collettiva spingano in ogni momento le culture, le semiosfere a decidere ciò che sta al centro del loro interesse, ciò che può essere espulso una volta per tutte. Il patrimonio come fenomeno sociale si inscrive in questo movimento selettivo delle culture: è la manifestazione più evidente e tangibile di come una cultura privilegi certi ricordi, certi elementi concreti rispetto ad altri. In quanto meccanismo che crea un insieme di testi, la cultura può essere analizzata in base a quello che tende a riproporre nel tempo (che conserva e preserva tra i testi prodotti) e quello che dimentica (che viene relegato nell’oblio).