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2 3 Il patrimonio come fenomeno sociosemiotico

3. I L PATRIMONIO CULTURALE COME OGGETTO DI SEMIOTICA DELLA CULTURA

3.2. Il patrimonio come semiosfera

Il tema del rapporto dinamico e mutevole tra sistema e extrasistema nelle culture è al centro di due contributi di Lotman al pensiero contemporaneo, La semiosfera e La cultura e l’esplosione: due testi che risultano tanto più interessanti nel momento in cui vengono fatti dialogare con il dibattito della globalizzazione o dei rapporti tra le diverse culture. Quella lotmaniana è infatti, come rilevano Göran Sonesson o Franciscu Sedda nei loro contributi recenti, una teoria che si propone di elaborare modelli interpretativi, strumenti per la spiegazione del rapporto fra culture (dunque parla di diversità, conflitto, dialogo, traduzione) e per l’indagine del senso dei processi che attraversando quei sistemi li trasformano e restituiscono un’immagine del “reale”.

La forza di una teoria simile è quella di proporsi come modello esplicativo di grandi fenomeni culturali, sconvolgimenti epocali ma anche di riuscire a cogliere la grana minuta degli

influssi e dei contagi tra singoli testi o pratiche. Dunque proveremo a rileggere queste due opere senza alcuna pretesa di dar conto della varietà di argomenti, motivi e temi presi in considerazione ma piuttosto focalizzando l’attenzione su specifici aspetti che ci torneranno utili per inquadrare teoricamente il nostro oggetto di analisi.

Il primo contributo teorico al quale alludevamo è presentato con una chiarezza espositiva e una ricchezza esemplificativa riscontrabile in pochi altri testi di questa portata, ed è uno tra i titoli più noti nella riflessione semiotica: La semiosfera (1985). Nella proposta di Lotman sono forti ed evidenti i legami con il pensiero semiotico strutturale ma il modello della “semiosfera” riesce a spiegare con inedita trasparenza e lucidità la dinamica culturale e i cambiamenti diacronici ai quali va incontro ogni sistema semiotico.

Tra le critiche che più sovente lo strutturalismo ha sollevato sia in antropologia sia in linguistica c’è senz’altro quella di trascurare o non spiegare completamente una delle caratteristiche più evidenti della struttura: ovvero il fato che essa cambi, si modifichi e d evolva nel tempo. In breve lo strutturalismo avrebbe difficoltà a dar conto del mutamento culturale. Se in molti casi tali critiche possono essere imputate alla vulgata strutturalista più che alla ricchezza teorica di autori come Claude Lévi-Strauss, è pur vero che l’enfasi posta nella descrizione del sistema (a scapito del processo) rischia di fornire l’idea della cultura o della lingua come qualcosa di acronico, immobile e sufficiente a se stesso. Mentre il carattere principale dei fenomeni culturali e linguistici è la mutevolezza nel tempo e nello spazio, come ci ricorda peraltro Saussure, un altro padre illustre dello strutturalismo.

Lotman quindi più che ribaltare la tradizione semiotica tradizionale36, elabora un modello in grado di spiegare in modo più convincente e rigoroso la dinamica culturale: e lo fa attraverso un immagine del sistema semiotico come una rete (anni prima della network anaysis) che non ha centro e che offre un numero illimitato di maglie interconnesse da individuare e percorrere liberamente. Il concetto di semiosfera riesce ad abbracciare in un unico sguardo il disordine, la contraddittorietà e i cambiamenti culturali ma anche l’ordine, la sistematicità dal momento che lo spazio della cultura è pensato come un organismo organizzato all’interno, che si contrappone al caos esterno (ma con il quale è perennemente in contatto e dialogo).

Lo spazio della cultura non è dunque un catalogo di elementi, una scatola degli attrezzi né tantomeno qualcosa di definibile una volta per tutte (come sembrava suggerire l’idea tayloriana di cultura): esso è descritto come dinamico, pluralizzato reticolare e relazionale perché ciascuna cultura è in costante dialogo e interdefinizione con altre culture. L’aspetto positivo di un tal modo di guardare alle dinamiche sociali risiede nel fatto che la cultura perde il carattere monolitico ma non cede neppure alla deriva poststrutturalista che nega la possibilità stessa di definire una qualche forma stabile di articolazione del mondo.

Il tentativo di Lotman sembra quello di trovare una risposta allo scarto esistente tra il poliglottismo culturale (che risulta arricchito, aumentato in una società interconnessa e caratterizzata da un continuo sforzo di comunicazione come la nostra) e l’idea della semiotica dei sistemi semiotici come chiusi, isolati, o per meglio dire analizzabili in autonomia rispetto a

ciò che li circonda. La cultura diventa allora piuttosto un gioco di strutturazione e destrutturazione che è sempre incompleto, dinamico e localmente realizzato.

Le conseguenze che dobbiamo trarre da un tipo di argomentazione simile sono ad un tempo espistemologiche e metodologiche. Le due tradizioni semiotiche che fanno capo da un lato a Charles Sanders Peirce e a Ferdinand de Saussure si differenziano per molti aspetti ma per Lotman sono entrambe criticabili per eccessiva limitatezza. La prima rischia in molti casi di concentrarsi più sullo studio di un singolo segno o simbolo isolato che sull’insieme di segni, sulla dimensione sistematica; la seconda ha posto eccessiva enfasi sulla concezione di testo, ovvero di un atto comunicativo isolato, dimenticando come questo sia difficilmente comprensibile senza tutti i rimandi e i collegamenti con gli altri testi.

Ora, se da un punto di vista euristico la divisione in parti (ossia il atto di occuparsi di una unità tra le altre come punto di partenza) è una necessità, Lotman sostiene che nessuna parte presa separatamente funziona: perché un’analisi semiotica funzioni, perché il senso di un elemento isolato sia portato alla luce occorre non strapparlo dal contesto di provenienza ma lasciarlo immerso nel suo continuum semiotico pieno di formazioni eterogenee a vari livelli. Per Lotman tale aggregato, tale insieme non è altro che la “semiosfera”.

L’universo semiotico può essere considerato un insieme di testi e di linguaggi separati l’uno dall’altro. In questo caso tutto l’edificio apparirà formato da singoli mattoni. È però più feconda l’impostazione opposta. Tutto lo spazio semiotico si può considerare infatti come un unico meccanismo (se non come un organismo). Ad avere un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone, ma il “grande sistema” chiamato semiosfera. La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi (Lotman 1985: 58).

La semiosfera è una scala e un’unità di analisi che meglio aiuta a comprendere i fenomeni sociali proprio per il loro carattere di elementi interrelati e in dialogo continuo. Dall’analisi di un singolo testo è impossibile ricostruire la struttura complessiva, le dinamiche complesse di un’intera cultura: per questo Lotman suggerisce di non arrestare le analisi ai confini testuali ma seguire le tracce presenti nel testo e ricostruire il fittissimo intreccio fatto di somiglianze, citazioni, scambi e scarti significativi.

L’analisi dei rapporti tra le diverse letterature europee mostra esattamente come la storia delle società umane non conosca sviluppi culturali isolati ma anche la definizione di cos’è essenziale in una cultura avvenga sempre in un panorama ben preciso e per opposizione consapevole (o in alcuni casi imitazione) rispetto ad altre scelte culturali37. Ma anche all’interno di una ‘cultura nazionale’ i processi creativi sono pensabili sempre come scambi di materiali, energie e idee tra settori diversi, ambiti che vengono a collidere e danno origine a innovazioni e riconfigurazioni inedite.

Per questo nell’elaborazione di Lotman è tanto importante il ruolo del “confine”, che è qualcosa di diverso dalla frontiera nazionale: si tratta di un meccanismo che riveste

37 Le analisi sulle culture africane svolte dal già citato Amselle (2001) mostrano la stessa identica situazione: le

culture sono interrelate, non sussistono come unità isolate e attingono ai serbatoi identitari e simbolici attraverso connessioni, collegamenti più o meno segnalati.

un’importante posizione funzionale e strutturale, dato che è un meccanismo bilinguistico che traduce le comunicazioni esterne nel linguaggio interno della semiosfera e viceversa. È immaginabile come una sorta di membrana porosa che rende possibile una definizione di cosa è appartenente a un sistema e cosa no ma consente anche lo scambio e la comunicazione (in entrata e in uscita) con l’esterno.

Poiché lo spazio della semiosfera ha un carattere astratto, non è possibile figurarsi il suo confine con i mezzi dell’immaginazione concreta […] Se dal punto di vista del proprio meccanismo immanente il confine unisce due sfere semiotiche, da quello dell’autocoscienza semiotica della semiosfera (autodescrizione al metalivello) il confine le divide. Avere coscienza di se stessi nel rapporto semiotico culturale significa avere coscienza della propria specificità, del proprio contrapporsi ad altre sfere (Lotman 1985: 58; 62).

Questo passaggio ci sembra fondamentale nel momento in cui accenna al confine come elemento essenziale per costruire, rimarcare o plasmare una autocoscienza semiotica della semiosfera. Come ogni confine o pellicola (compresa la membrana della biosfera che avvolge il nostro pianeta) la funzione principale è quella di limitare la penetrazione ovvero l’ingresso senza controllo di elementi esterni e filtrare (trasformandolo) ciò che è esterno in interno.

A livello culturale possiamo ritrovare questo fenomeno di selezione e limitazione (questo meccanismo di unità cuscinetto che traduce e fa da mediatore) in una molteplicità di casi: da quello della costruzione dell’identità personale in opposizione ad altri soggetti che ci stanno vicini fino a livelli macroscopici la tendenza a costruire un forte senso di unità del gruppo sociale attraverso l’enfasi dei caratteri simbolici difformi di un nemico comune. Ma quel che ci interessa rimarcare fin d’ora è come nel progetto dell’UNESCO la Lista del Patrimonio dell’Umanità svolga pressappoco lo stesso ruolo di demarcazione secondo criteri ben stabiliti: ciò che sta dentro la Lista è considerato come appartenente alla cultura universale e globale, mentre ciò che sta fuori non è svalorizzato ma indicato come appartenente ad una cultura peculiare e non all’intera Umanità38.

Tutto il percorso di candidatura, valutazione e inscrizione nella Lista di un bene materiale o immateriale (al quale faremo riferimento nella Parte II, capitolo 2 § 1) può essere visto come uno di quei momenti che Lotman definisce di “denominazione”, ovvero di inserimento in un sistema semiotico. Tale percorso è qualcosa di diverso da un banale passaggio da un campo all’altro, da uno status all’altro: attraverso la denominazione un elemento viene ricodificato, rivalorizzato, ‘riscritto’ perché dall’ambiente esterno si va a collocare accanto ad altri elementi presenti nel sistema. Come i processi traduttivi in generale, questa denominazione o assorbimento non è una fedele trasposizione ma il sistema che accoglie l’elemento nuovo lo cambia imprimendogli una forma propria. Il nuovo contesto simbolico nel quale il bene culturale si viene a trovare fornisce allo stesso una nuova veste, dei nuovi tratti prima inesistenti o più facilmente enfatizza caratteri che prima era presenti ma narcotizzati.

38 In termini semiotici osserviamo quindi come si ponga un problema di attorializzazione molto importante e per

nulla scontato: chi sarà mai questa Umanità? Su quali valori è costruita la sua identità? Affronteremo questo tema nella Parte II capitolo 2 § 3.

La Lista può essere pensata come una “semiosfera” un po’ sui generis in quanto nasce e si sviluppa nel punto di incrocio e contatto di molte altre semiosfere spazialmente e politicamente situate. Il fatto che si parli di Patrimonio dell’Umanità non deve ingannare: non si tratta di una immensa semiosfera che comprenda tutte le altre ma uno spazio astratto di identificazione riempito di elementi provenienti da una molteplicità di altre semiosfere. La Lista diventa qualcosa di più e di diverso dal semplice catalogo dei singoli elementi, pensabili come “testi”: più che recipiente passivo diventa il generatore di una cultura nuova, un sistema attivo con un proprio ordine, una gerarchia e dei principi che non si trovano in altre semiosfere.

E come ogni semiosfera porta in sé caratteri e strategie di stabilizzazione/strutturazione ma anche di dinamica/apertura al nuovo. Il fatto che si trovi all’incrocio di numerose semiosfere (la complessità culturale mondiale nella sua interezza) crea un affollamento e un addensamento di elementi tra loro eterogenei che spingono ai suoi confini, un carico di “informazione nuova” (come direbbe Lotman) con la quale confrontarsi. Proprio perché le culture del mondo producono continuamente oggetti, elementi nuovi ciascuno alla ricerca di un riconoscimento il pi ampio possibile, il confine di un patrimonio mondiale non potrà che svolgere con attenzione il suo ruolo di chiusura, barriera sorvegliata che rende possibile il controllo e la scelta di cosa merita di essere definito come Patrimonio dell’Umanità.

Se come afferma Lotman la cultura ha due funzioni principali, quella di conservare e trasmettere l’informazione e quella di elaborare nuove informazioni, sarà interessante vedere in che modo i testi delle Convenzioni prevedano di svolgere queste importanti funzioni. Come abbiamo già detto nella discussione sulla sociosemiotica è utile per farci un’idea di un universo semiotico preciso l’analisi dei testi in cui le culture elaborano delle autodescrizioni perché questi luoghi diventano punti di osservazione privilegiati sul dibattito intorno ai valori, ai diversi modi di concepire la società. Questi testi autodescrittivi sono parte integrante della cultura, ne sono direi il fondamento e gli elementi che ne fissano una grammatica, per questo svolgono una funzione essenzialmente metastrutturale.

Il tema di come si sviluppa un sistema semiotico, di come ingloba elementi nuovi e ne espunge altri pur rimanendo se stesso, è l’argomento centrale di un’altra opera fondamentale di Lotman: La cultura e l’esplosione (trad. it. 1993). In un passo chiave dell’opera Lotman rielabora l’idea dei modi di intersezione e dialogo tra strutture culturali, giudicate il motore stesso della trasformazione di elementi da estranei in propri.

Ci si può rappresentare la cultura come una struttura, che immersa in un mondo ad essa esterno, attira questo mondo in sé e lo espelle rielaborato (organizzato) secondo la struttura della propria lingua. Tuttavia questo mondo esterno, che la cultura vede come caos, in realtà è anch’esso organizzato. La sua organizzazione si compie secondo leggi di una qualche lingua ignota alla cultura data. Nel momento in cui i testi di questa lingua esterna risultano introdotti nello spazio della cultura, avviene l’esplosione. Da questo punto di vista l’esplosione può essere interpretata come il momento dello scontro di lingue estranee l’una all’altra: dell’assimilante e dell’assimilato (Lotman 1993: 168).

La forza di questa elaborazione risiede nel fatto che le dinamiche culturali che Lotman riesce a descrivere vanno molto al di là dei fenomeni linguistici in senso stretto. Lotman utilizza

infatti “lingua” per indicare tutte le tipologie di sistemi semiotici. I testi che una cultura può assorbire e fare propri non sono solamente vocaboli, espressioni, romanzi letterari e motivi ma anche oggetti materiali, componenti del sistema della moda di un’altra cultura, abitudini o comportamenti (quelle che chiama “forme di vita”).

Ma l’esplosione è solo uno dei due modi attraverso i quali si produce uno sviluppo della cultura. Molte delle inserzioni di elementi innovativi in un sistema hanno una potenza e un’energia tali da produrre un’immediata riconfigurazione dell’intero sistema e dei rapporti tra le sue parti: si pensi a molte idee scientifiche (come la Relatività ristretta di Albert Einstein) che in alcuni momenti hanno rivoluzionato il modo di pensare e vedere il mondo o si pensi anche a fenomeni artistici che imprimono una forma alla società grazie alla potente forza propulsiva. Ma le dinamiche culturali possono avvenire anche attraverso un processo graduale che procede come “un fiume in primavera”: solitamente sono campi come quello delle realizzazioni tecniche in cui più del singolo colpo di genio è rilevante il contributo di diversi protagonisti impegnati in continuità.

Quello che però rimane sempre valido è il fatto che per qualsiasi cultura, per qualsiasi sistema semiotico lo scambio e il contatto con la sfera extrasemiotica, extrasistemica costituisca un inesauribile serbatoio per il combustibile che mette in moto la dinamica sistemica. Il caso del Patrimonio dell’Umanità sembra rispetto a questo tema decisamente sui generis in quanto non abbiamo, almeno in teoria e nelle intenzioni degli ispiratori, uno spazio “proprio”, un sistema situato che assorbe diversi elementi39. Il carattere idealmente cosmopolita e non geograficamente centrato del progetto dell’UNESCO aspira a creare tale insieme, tale memoria condivisa facendo appello parassitariamente alle culture degli stati membri.

Può apparire forzato parlare della Lista del patrimonio o di qualsiasi canone volto a stabilire cosa è giusto preservare e cosa no come di casi di semiosfere, poiché l’immagine che ne fornisce Lotman è piuttosto quella di un insieme dinamico di elementi che interagiscono, si spostano, pulsano (sia che si immagini la semiosfera come fluida o gassosa). È certo che con la nostra tesi non intendiamo sostenere che la Lista sia un esempio di cultura tout court. Il carattere solido e apparentemente statico di un elenco o un catalogo non deve però trarre in inganno: si tratta infatti di altrettanti testi nei quali un soggetto culturale prova a fornire un metamodello che si aspetta influisca, retroagisca su una cultura.