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5 4 I beni tangibili immobili e le strategie di salvaguardia

In questa parte analizzeremo più nel dettaglio gli oggetti che compongono il Patrimonio dell’Umanità ma anche le strategie di protezione relative a questi oggetti, dunque quelle pratiche adeguate agli oggetti specifici presi in carico dall’UNESCO. Il nostro scopo non sarà ancora una volta la completezza ma fornire un quadro sintetico della filosofia che sta dietro un progetto unico di creazione di un patrimonio svolto ad un livello secondo, metadiscorsivo. La selezione operata dal Comitato di far entrare o meno un bene nell’insieme di quelli che sono Patrimonio dell’Umanità si attua a partire da un numero limitato di elementi che sono già stati selezionati con un processo di trasformazione in patrimonio che avviene su scala nazionale.

È dunque interessante vedere quali siano le definizioni, le ‘nominazioni’ e in che modo l’UNESCO ha proceduto alla costituzione di un corpus significativo di beni per il suo progetto, perché attraverso questa indagine capiremo ciò che per l’istanza di enunciazione ha valore e

importanza, quali siano gli aspetti rilevanti per un processo di conservazione della memoria culturale.

5. 4. 1. Le definizioni dei beni culturali e naturali

I primi due articoli della WHC presentano le indicazioni in forma di elenco tipologico di che cosa costituisca patrimonio culturale e naturale ai fini della Convenzione. Per quanto riguarda il “cultural heritage” tre sono le categorie di beni previsti:

- monuments: architectural works, works of monumental sculpture and painting, elements or structures of an archaeological nature, inscriptions, cave dwellings and combinations of features, which are of outstanding universal value from the point of view of history, art or science;

- groups of buildings: groups of separate or connected buildings which, because of their architecture, their homogeneity or their place in the landscape, are of outstanding universal value from the point of view of history, art or science;

- sites: works of man or the combined works of nature and man, and areas including archaeological sites which are of outstanding universal value from the historical, aesthetic, ethnological or anthropological point of view (Art. I, Conv. 1972).

La prima categoria del patrimonio culturale è quella dei monumenti, dei quali sono indicate numerose esemplificazioni e il cui criterio di straordinarietà ed eccellenza dovrà ricadere nei campi della storia, l’arte o la scienza. Le stesse caratteristiche devono avere i beni che rientrano nella seconda categoria, per la quale è spesso usato il termine del testo francese ensembles: quella dei gruppi di edifici. Ora, data la mancanza di una esplicita citazione all’interno della WHC della città come categoria significativa è attraverso l’interpretazione allargata e per taluni forzata di questa categoria che nella pratica patrimoniale dell’UNESCO sono stati introdotti centri urbani o parti significative di questi.

Per quanto riguarda la terza categoria, quella dei siti, è interessante come già si parli non solo di siti costruiti interamente dal lavoro umano ma si preveda una forma di intervento combinato di esseri umani (in realtà il testo non aggiornato secondo le regole del politically correct scrive man/homme) e natura. Si tratta di una sorta di sconfinamento semantico significativo del dato naturale entro il dominio di quello del patrimonio culturale: invasione che a livello di lessicalizzazione la natura paga subendo un processo di antropomorfizzazione, in quanto indicata come responsabile di works/oeuvres quindi arrivando ad essere resa figurativamente quasi come un collega, un compagno di lavoro dell’essere umano. I campi di interesse entro i quali i siti devono dimostrare straordinario valore sono quello storico ma anche quello antropologico o etnografico e soprattutto quello estetico.

Anche per il “natural heritage” vengono indicate tre tipologie:

- natural features consisting of physical and biological formations or groups of such formations, which are of outstanding universal value from the aesthetic or scientific point of view;

- geological and physiographical formations and precisely delineated areas which constitute the habitat of threatened species of animals and plants of outstanding universal value from the point of view of science or conservation;

- natural sites or precisely delineated natural areas of outstanding universal value from the point of view of science, conservation or natural beauty (Art. II, Conv. 1972).

La prima categoria è quella relativa agli aspetti della natura che consistono in formazioni fisiche o biologiche notevoli per criteri estetici o scientifici; questa espressione dai caratteri vaghi, che in francese è denominata molto più sbrigativamente monuments naturels , serve a cogliere la varietà indefinita di manifestazioni della bellezza naturale e dei fenomeni ad essa legati. La seconda categoria si richiama invece ad aree geologiche che costituiscono l’habitat per specie appartenenti alla fauna o alla flora che si trovano a rischio di estinzione: dunque il criterio rilevante è quello di un monitoraggio della conservazione delle specie che si trovano in quella determinata area ed un intervento di preservazione del contesto al fine di non aggravare lo stato delle specie. La terza categoria appare molto oscura nel processo di definizione: è una sorta di categoria “varie ed eventuali” in quanto comprende tutti i siti naturali e le aree protette dall’essere umano in quanto rilevanti secondo criteri scientifici, conservativi o per ragioni legati alla valutazione della “bellezza naturale”, distinta in questo caso dalla prospettiva estetica in generale. Anche in questo caso potremmo rilevare come lo sconfinamento della cultura nei siti naturali sia evidente: la sanzione estetica ed il giudizio del genere umano influisce sul valore complessivo del sito.

Quel che appare evidente dal testo della Convenzione è comunque la netta distinzione tra siti del patrimonio culturale, cioè quelli in cui si conservano le tracce della vita umana dalle origini al passato recente, e siti del patrimonio naturale, nei quali si preservano specie animali e vegetali viventi ma anche formazioni geologiche di ere passate. Quella delle definizioni è una sezione carica di ambiguità concettuali, che hanno aperto la strada ad una intensa riflessione in particolare nel momento di stabilire le Linee Guida che il Comitato doveva seguire nella valutazione dei beni. Questa difficoltà non nasce solo da una naturale applicabilità di concetti teorici sul lato devisionale-pratico ma soprattutto da un’ambiguità di fondo ed una indeterminatezza e vaghezza di alcuni passaggi.

Ma il carattere maggiormente discusso e criticato rimane il principio di base della netta separazione tra natura e cultura che si è rivelato con il tempo un doppio binario problematico che ha fatto emergere inadeguatezza e parzialità della Convenzione e dell’impostazione dell’UNESCO riguardante il patrimonio nel suo complesso. L’unico motivo per il quale natura e cultura sembrano coesistere all’interno dello stesso Patrimonio mondiale è rappresentato dal fatto di essere entrambi soggetti all’usura del tempo ed al rischio di distruzione.

Articolando su un quadrato semiotico la categoria fondamentale dell’universo simbolico /natura vs. cultura/ ne otterremmo che il tipo di valorizzazione euforica promossa dal soggetto UNESCO si applica alla parte superiore composta dai due termini /natura/ e /cultura/, ovvero l’asse dei contrari. Il patrimonio è costituito da elementi che provengono sia dal polo della cultura che quello della natura, seppur ben distinti tra di loro; non può dirsi metatermine, o termine complesso che risulta dalla somma dei due termini, perché in questo testo non è prevista una combinazione o un’articolazione logica tra i due componenti. Tuttavia ciò che rientra nel patrimonio copre quasi per intero lo spettro che si può immaginare vada da un minimo di intervento umano, culturale su un territorio ad un massimo di intervento (dunque una varietà di

siti che vanno dalla natura presunta ‘incontaminata’ alle forme di cultura più sofisticate come il patrimonio industriale che sembrerebbero escludere, in virtù della presenza massiccia di cemento, qualsiasi collegamento con la natura).

La deissi negativa ovvero la parte disforica del quadrato risulta essere allora la parte inferiore occupata dai due subcontari /non-cultura/ e /non natura/: questi due termini logico semantici possono essere convertiti a livello semio-narrativo di superficie nel metatermine neutro che potremmo etichettare come “globalizzazione”, processo che nei testi dell’UNESCO e in particolare nei preamboli, è indicato come una tendenza a omologare tutte le culture e distruggere l’ambiente naturale (e dunque a negarli). La globalizzazione sembra essere il vero anti-soggetto rispetto al PN dell’UNESCO ed al programma della WHC. La parte negativa, contraddittoria, la vera alterità è quella entità che nega la cultura e la natura a livello profondo: la non cultura in questo caso non è una cultura diversa da quella di appartenenza, ma una forma di non riconoscimento del valore della cultura (ed allo stesso modo per la natura). La prospettiva dell’UNESCO come Destinante dei progetti si svolge su un piano meta culturale, di pluralità di culture quindi l’AntiDestinante sarà da rintracciare a livello meta come ciò che si oppone a questi progetti.

L’opposizione tra natura e cultura che Greimas (1976) considera fondante nel nostro universo culturale collettivo appare come una delle basi dello strutturalismo fin dalle riflessioni di Claude Lévi-Strauss. Eppure tale opposizione dal carattere a prima vista ecumenico dimostra nelle analisi antropologiche tutta la sua parzialità e specificità ad una realtà eurocentrica: il fatto che tutta la WHC vi graviti attorno è uno dei sintomi più evidenti del suo ancoraggio ad una visione del mondo che potremmo definire ‘occidentalista’. Ricerche etnologiche e studi su orizzonti culturali e modelli patrimoniali di popolazioni del mondo hanno messo in luce come esistano una varietà ed una diversità di senso nel modo in cui le comunità classificano il loro rapporto con l’ambiente che li circonda, e che non sempre tale rapporto venga vissuto come un’opposizione netta e marcata. Nel presentare lo studio di Chiara Alfieri sulla cosmologia locale della popolazione bobo in Burkina Faso, Maffi rileva come questo offra

la possibilità di relativizzare il nostro orizzonte di comprensione del fenomeno patrimoniale. La sua analisi ci permette in effetti di mettere in discussione la natura universale della definizione di patrimonio culturale (e naturale) elaborata in Europa e imposta spesso in modo violento agli altri paesi del mondo (Maffi 2006: 12).

Un interessante strumento teorico per comprendere la località e la reale consistenza di questa dicotomia51 che oppone gli artefatti umani all’ambiente esterno non (ancora) raggiunto dalla forza attiva della cultura è il testo di Philippe Descola, che si propone come un superamento fin dal titolo: Par-delà nature et culture (2005). Il testo di ampio respiro che nasce dall’analisi etnologica della tribù amazzonica degli Achuar si sviluppa come una critica all’accettazione passiva da parte dell’antropologia della divisione natura vs. cultura, frutto dell’Occidente moderno affascinato dalla universalità della prima e dalla moltitudine di varietà

51 Cfr. “Beyond the Nature – Culture Dualism” di Yrjo Haila (2000) e “The ‘Problem of Nature’ Revisited: History

della seconda52. Anzi l’antropologia nella definizione stessa del suo oggetto di ricerca, la diversità culturale sullo sfondo di universalità naturale dell’uomo, perpetua e rende pertinente un’opposizione che per numerose popolazioni non è fondativa e marcata quanto nelle società europee.

La distinzione è una ‘impalcatura’ (“échafaudage”) che non possiede l’universalità riconosciuta poiché non viene percepita come saliente da numerose popolazioni53 (tanto che non se ne trova traccia nelle loro lingue) e in secondo luogo non è comparsa che relativamente tardi nel pensiero occidentale: la sistematizzazione del concetto di natura è datata XVII secolo mentre quella di cultura solo XIX secolo (autori centrali in questo senso vengono indicati in Immanuel Kant, Jean-Jacques Rousseau e Heinrich Rickert). Si tratta di un modo di classificare gli esistenti umani e non umani, un’ontologia o cosmologia ovvero un sistema di distribuzione delle proprietà in cui somiglianze e differenze (una valutazione di continuità o discontinuità) riguardano due aspetti fondamentali: l’interiorità di un essere ovvero la sua coscienza e l’anima da un lato e la fisicità ovvero la sua dimensione materiale e organica dall’altro.

Riprendendo il metodo strutturale epurato del pregiudizio della distinzione tra selvaggio e civilizzato, Descola mette in evidenza in un “quadrato ontologico” tutti i casi di variazioni e continuità possibili tra umani e non umani, articolandoli in quattro cosmologie principali:

a) l’animismo: “è l’imputazione ai non-umani da parte degli umani di una interiorità identica alla loro” ma una differenziazione “attraverso i loro rivestimenti di piume, di peli, di scaglie o di corteccia, o detto altrimenti la loro fisicità” (Descola 2005:183). Pur nella loro differenza di aspetto esteriore superficiale, a piante e animali è riconosciuta un’anima, uno spirito simile a quello umano che non giustifica la separazione natura vs. cultura: la linea di comunanza è data dalla condivisione di “soggettività, coscienza, riflessività, intenzionalità, capacità di comunicare nel linguaggio universale” (Descola 2005: 187). Presso la popolazione degli Achuar studiata da Descola è così comune parlare di vere e proprie relazioni sociali con i non umani: le donne sono “madri” dei legumi che coltivano, tra i cacciatori e le prede c’è un rispetto ed un legame definito di “consaguineità” che li avvicina ai congiunti o cognati.

b) il totemismo: studiato a lungo anche da Lévi-Strauss è la cosmologia che sottolinea la continuità materiale e morale tra umani e non umani. La struttura clanica prevede una completa identificazione di una comunità di umani e non-umani attorno a qualcosa che è un nome totemico, che sarebbe riduttivo chiamare simbolico ma rappresenta un prototipo un tipo ideale i cui tratti peculiari e attributi sono estesi a tutti i componenti della comunità.

52 Nell’Introduzione Descola descrive la conoscenza e il sapere dell’occidente come una dimora a due piani: nel

piano nobile ci sono scienze della natura e della vita che vantano principi epistemologici comuni e molto affidabili, mentre agli altri piani, divise in tante stanzette separate e diverse le une dalle altre stanno le conoscenze umane riguardanti la Cultura.

53 Ma anche in alcune situazioni della vita quotidiana ‘occidentale’, come bene illustrano le persone che parlano agli

animali domestici o alle loro piante in qualche modo rendendo meno profondo e discontinuo il solco tra quanto c’è di culturale-umano nel linguaggio e i destinatari non umani delle loro parole.

c) l’analogismo: all’opposto del totemismo è una cosmologia che rintraccia nel mondo una duplice discontinuità tra esseri umani e non umani, ovvero una differenza sia di aspetto fisico che di tratti di interiorità. Il mondo è costituito dunque da un insieme di singolarità rispetto alle quali l’unico modo per trovare delle corrispondenze è il procedimento dell’analogia.

d) il naturalismo: associando una continuità e somiglianza tra gli aspetti fisici ad una discontinuità e differenza insanabile di dimensione interna, tale cosmologia si presenta come formula inversa dell’animismo. Alla natura e agli esseri non umani vengono imputate leggi universali della materia e della vita mentre all’uomo una arbitrarietà e diversità di espressioni culturali.

Risulterà evidente come la prospettiva occidentale che oppone con così tanta forza la natura alla cultura non sia che un caso particolare di quest’ultima cosmologia presentata da Descola, si tratta di un “universalismo particolare”, le cui tracce si ritrovano ben illustrate nel progetto complessivo del Patrimonio dell’Umanità che oppone siti culturali e siti naturali. In qualche misura il testo della WHC del 1972 pur riunendo in un unico strumento giuridico internazionale cultura e natura sembra tenerle separate, quasi facendo convivere due Liste distinte, narcotizzando l’aspetto di stretta unione che invece era nei lavori preparatori del testo e figurativizzato in modo efficace dall’emblema ideato dal belga Michel Olyff nel 1978 (cfr. Figura 7 in Appendice II).

Tale logo consisteva nella figura geometrica quadrangolare simile ad un rombo pensata come simbolo del patrimonio culturale costruito dall’uomo le cui linee costitutive non chiudevano la figura ma continuavano in un cerchio inglobante la prima figura che rappresenta il patrimonio naturale del mondo. Questa organizzazione eidetica del logo ben rende conto dell’intima interconnessione tra i due aspetti piuttosto che il carattere discontinuo.

La piena installazione di una cosmologia naturalista entro la cultura occidentale è individuata da Descola a partire dall’affermazione della visione cartesiana della Natura come dominio ontologico autonomo e campo d’investigazione scientifica da sfruttare da parte dell’Homo sapiens, il quale solo può vantare il possesso dell’“abilità tecnica, il linguaggio, l’attività simbolica e la capacità di organizzarsi in collettività in parte affrancate dalle continuità biologiche” (Descola 2005: 118). L’essere umano in questa visione cosmologica non è irrimediabilmente scollegato dalla natura come nella visione analogica poiché condivide con gli altri esseri viventi uno stesso statuto biologico; tuttavia si percepisce come soglia, salto qualitativo rispetto a tutto il resto e creatore di un dominio culturale inedito nelle altre forme naturali.

Ci sembra che questa cosmologia esca rafforzata, almeno in un primo momento e a livello di retorica, dall’enfasi posta dal progetto del patrimonio dell’Umanità sulla storia, la memoria culturale e lo sviluppo scientifico-tecnologico dell’essere umano. Una maggiore consapevolezza antropologica delle diversità nei modi di pensare il rapporto tra società e mondo si incontrano nei testi delle altre Convenzioni, che mettono l’accento sulla ricchezza di un

approccio che consideri e comprenda non solo tutte le manifestazioni culturali ma le differenti visioni del mondo e credenze sul mondo.

5. 4. 2. Le forme di salvaguardia

L’esame delle forme di protezione previste dalla WHC come doveri degli stati membri ci aiuta a focalizzare meglio il tipo di patrimonio culturale e naturale che l’UNESCO propone e una volta confrontato con le forme di salvaguardia e promozione del patrimonio previsto dalla Convenzione del 2003, consentirà di comprendere a pieno la sua natura di costruzione geograficamente e storicamente situata.

Il quarto articolo della WHC ribadisce la centralità dell’attore Stato nelle politiche di conservazione interne al proprio territorio (attraverso risorse finanziarie, artistiche, scientifiche e tecniche) e nelle forme di assistenza internazionale ovvero nella cooperazione con altri stati membri: “the duty of ensuring the identification, protection, conservation, presentation and transmission to future generations of the cultural and natural heritage […] belongs primarily to the State”. In modo sintetico e in forma di checklist vengono ricostruiti i compiti di ciascuno stato rispetto al proprio patrimonio, attribuendo al soggetto un dover fare che mostra tutta la forza manipolativa della sequenza. I compiti o PN che i soggetti devo portare a termine sono riconducibili a tre tipologie di azioni.

La prima è l’identificazione, il riconoscimento ovvero l’individuazione di elementi patrimoniali significativi: si tratta di un tipo di performanza che comporta una ricerca all’interno di un insieme non definito e una selezione di un numero ridotto di elementi sanzionati come meritevoli di essere trasformati in patrimonio. La seconda tipologia di azione è figurativizzata attraverso due lessicalizzazioni, protection e conservation (in fr. identiche protection, conservation), e riguarda l’impegno a svolgere tutte le azioni sui beni individuati necessarie alla non-trasformazione degli stessi. Protezione indica semanticamente un tipo di azione preventiva rispetto all’offensiva altrui, come erigere un muro di cinta o rinforzare delle difese prima di un attacco. In modo sottilmente differente conservazione è il termine più neutro che rinvia al mantenimento dello stato presente, quindi la lotta contro il mutamento. La terza tipologia di azione sembra qui minoritaria ed accessoria ma diventerà centrale nelle altre due Convenzioni: si tratta della comunicazione del patrimonio intesa come completamento e sforzo di far conoscere, far sapere il valore profondo che sta dietro ciascun elemento patrimoniale. I destinatari di tale sforzo comunicativo sono esplicitati chiaramente nelle “future generations”.

In realtà lo sforzo comunicativo è implicito anche nella lista degli strumenti concreti con i quali uno stato deve favorire l’applicazione della WHC, quando nell’articolo 5 si fa riferimento al dovere di “to adopt a general policy which aims to give the cultural and natural heritage a function in the life of the community”. Il fatto che la diffusione della consapevolezza dell’importanza della Convenzione attraverso forme di comunicazione o pubblicità non venga