• Non ci sono risultati.

Denominazioni d’origine e indicazioni geografiche nel regolamento n 1151/

L A PROTEZIONE DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE DEI PRODOTTI AGRICOLI E ALIMENTARI NEL DIRITTO DELL ’U NIONE EUROPEA

2.4 Denominazioni d’origine e indicazioni geografiche nel regolamento n 1151/

Ai sensi dell’articolo 5 del regolamento 1151/2012, le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche sono, prima di tutto, nomi che identificano un prodotto200 come originario di un luogo, di una regione oppure di un Paese. I due segni differiscono tra loro per l’intensità del legame che individuano tra il prodotto ed il suo territorio d’origine. Le denominazioni d’origine richiedono che la qualità o le caratteristiche del prodotto siano dovute essenzialmente o esclusivamente ai fattori naturali ed umani tipici della zona di provenienza e che tutte le fasi di produzione201 abbiano luogo entro la zona geografica delimitata202. Dal canto loro, le indicazioni geografiche limitano ad una data qualità (anche una sola), caratteristica o anche alla sola reputazione la prova del legame tra il prodotto e la zona geografica di provenienza; si allenta anche il vincolo relativo alle fasi di produzione, essendo sufficiente che anche solo una di esse sia localizzata entro la zona geografica delimitata203.

sentenza della Corte del 23 febbraio 1999, in causa C-42/97, Parlamento europeo contro Consiglio

dell'Unione europea, in Raccolta, 1999, p. 869 punti 39 e seguenti.

200 Possono beneficiare del regime delle denominazioni d’origine e indicazioni geografiche i prodotti

agricoli destinati al consumo umano elencati nell’allegato I del Trattato ed i prodotti agricoli e alimentari che figurano nell’allegato I del regolamento 1151/2012. Si veda a tal proposito l’articolo 2 del regolamento 1151/2012.

201 L’articolo 3 del regolamento 1151/2012 rubricato Definizioni individua nella produzione, trasformazione

e elaborazione le fasi di produzione di un prodotto soggetto al regime delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche.

202 Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento 1151/2012 “denominazione di origine è un nome che identifica un prodotto: a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata”.

203 Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 1151/2012 “indicazione geografica è un nome che identifica un prodotto: a) originario di un determinato luogo, regione o paese; b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; la reputazione o altre caratteristiche; e c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata”.

I due segni così definiti si avvicinano rispettivamente alle denominazioni d’origine dell’Accordo di Lisbona ed alle indicazioni geografiche dell’Accordo TRIPs204. Sempre in

chiave comparativa, le denominazioni d’origine rientrano nella definizione elaborata dalla Corte in occasione della sentenza Sekt e Weinbrand così come in quella Exportur. Sono indicazioni di provenienza, invece, ai sensi della sentenza Sekt e Weinbrand, le indicazioni geografiche che fondano il proprio legame con il territorio d’origine sulla base di una o più qualità, mentre rientrano nelle indicazioni di provenienza della giurisprudenza

Exportur quando è la reputazione l’unico elemento di connessione con l’origine

geografica205.

A vent’anni dal primo regolamento sulle DOP e IGP, il legislatore ha deciso di adottare una definizione che, pur non cambiando nel contenuto, presenta alcune novità. Oltre ad avvicinarsi di molto alla definizione dell’articolo 22 dell’Accordo TRIPs, il nuovo testo consente di includere in un’unica formulazione anche le denominazioni tradizionali206, geografiche o meno, un tempo associate alle denominazioni d’origine ed alle indicazioni geografiche attraverso una disposizione aggiuntiva.

Un’altra novità rispetto alla vecchia formulazione riguarda la natura del nome. Secondo la definizione vigente il nome di un Paese può costituire una denominazione d’origine solo in casi eccezionali. Chi ne richiederà il riconoscimento in quanto segno della qualità europea sarà tenuto a fornire prove in questo senso207. Tuttavia, diversamente da quanto avveniva nel passato, la stessa condizione non vale per le indicazioni geografiche. Così, almeno teoricamente, sarà più semplice registrare un nome di uno Stato come indicazione

204 L’avvicinamento della definizione contenuta all’articolo 5 del regolamento non è causale, ma frutto della

volontà del legislatore. A tal proposito si veda il considerando numero 22 del regolamento 1151/2012.

205 Qui è necessario fare una precisazione. Le indicazioni geografiche del regolamento n. 1151/2012 sono

delle indicazioni di provenienza, ai sensi della giurisprudenza Exportur, speciali. Esse, infatti, possono sì essere fatte rientrare nella predetta categoria qualora giustifichino il legame con la zona geografica sulla sola reputazione. Tuttavia, le indicazioni geografiche, a differenza delle indicazioni di provenienza, devono essere prodotte secondo un disciplinare di produzione, redatto dai richiedenti e approvato prima dalle autorità nazionali, poi dalla Commissione europea.

206 Il paragrafo 2 dell’articolo 2 del regolamento n. 510/2006 recitava: “2. Sono altresì considerate come denominazioni d'origine o indicazioni geografiche le denominazioni tradizionali, geografiche o meno, che designano un prodotto agricolo o alimentare e che soddisfino i requisiti di cui al paragrafo 1”. Nella

formulazione dell’articolo 2, quella risalente al regolamento n. 2081/1992, le denominazioni tradizionali, anche non geografiche, potevano essere registrate solo come denominazioni d’origine. La DOP Feta è un esempio di denominazione tradizionale non geografica, come ha confermato la stessa Corte in sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 2005 in cause riunite C-465/02 e C-466/02, Repubblica federale di

Germania (C-465/02) e Regno di Danimarca (C-466/02) contro Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, 2005, p. 9115, punti 46-69. Un altro esempio di denominazione tradizionale non geografica è

“Grana” della DOP Grana Padano, riconosciuta come tale dal Tribunale di primo grado nella sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione) del 12 settembre 2007 in causa T-291/03, Consorzio per la tutela

del formaggio Grana Padano contro Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in Raccolta, 2007, p. 3081, punto 81.

207 Per F. GENCARELLI, in I segni distintivi di qualità nel settore agroalimentare e le esigenze del diritto comunitario, in Il diritto dell’Unione europea, 2005, p. 90, questa eccezione può applicarsi solo nel caso in

geografica, piuttosto che come denominazione d’origine. Sorge spontaneo, a questo punto, interrogarsi sulla portata di una simile disposizione. In virtù della definizione dell’articolo 5 del regolamento 1151/2012, qualora un prodotto dovesse la sua reputazione alla provenienza nazionale, esso potrebbe legittimamente aspirare al beneficio di una indicazione geografica. Pare più difficile, tuttavia, che termini quali Italia, Germania, Francia, Spagna piuttosto che Cipro o Grecia, abbiano in sé un carattere distintivo tale da poter individuare un prodotto e distinguerlo dai comparabili per caratteristiche dovute proprio alla provenienza nazionale. La natura distintiva del termine è condizione necessaria affinché esso possa essere qualificato come indicazione geografica e non come nome generico. Inoltre, la stessa natura distintiva è quella condizione che consente alle denominazioni d’origine ed alle indicazioni geografiche di essere assunte al rango di segni della proprietà intellettuale, di essere di conseguenza tutelate e beneficiare in quanto tali della deroga alla libera circolazione delle merci. Queste sono le ragioni che spiegano la condizione di eccezionalità richiesta un tempo per entrambi i segni ed oggi valida solo per le denominazioni d’origine. Se da un lato la novità introdotta avvicina ancora di più la definizione unionale a quella dell’Accordo TRIPs208, la conseguenza più probabile per l’ordinamento interno pare essere un aumento del contenzioso. Per i problemi sopra esposti, difficilmente le autorità competenti accetteranno un nome di un Paese come indicazione geografica senza richiedere prove a sostegno della domanda. Poiché, tuttavia, il legislatore ha fatto venire meno la condizione di eccezionalità il richiedente avrà dinanzi a sé tre possibili strade da percorrere. La prima sarà quella di fornire le integrazioni richieste alla domanda di registrazione; in alternativa, potrà decidere di rinunciare al riconoscimento del segno oppure impugnare la decisione di rigetto, in virtù del fatto che oggi la condizione di eccezionalità non costituisce più un requisito per la registrazione. Poiché le prime due strade comportano un ritorno al vecchio sistema, la conseguenza della nuova formulazione parrebbe essere un aumento del contenzioso dinanzi agli organi giurisdizionali competenti209.

2.4.1 Deroghe

In alcuni casi, alcuni nomi possono essere equiparati alle denominazioni d’origine anche

208 Non c’è nella definizione di indicazione geografica dell’articolo 22 TRIPs alcun riferimento alla

condizione di eccezionalità per i nomi di Paesi.

209 Come verrà presto dimostrato la fase di registrazione di una denominazione d’origine o di una

indicazione geografica prevede una prima verifica a carico delle autorità nazionali ed una seconda di responsabilità dei servizi della Commissione. Sarà, quindi, possibile un ricorso dinanzi ai giudici nazionali o direttamente alla Corte di giustizia, a seconda che siano le autorità statali o la Commissione ad adottare la decisione di rigetto della domanda di protezione.

se l’area di produzione delle materie prime210 è più ampia, o diversa, rispetto alla zona

geografica delimitata211. Questa deroga richiede alcune condizioni perché possa essere

attivata. In particolare, è necessario delimitare la zona di produzione delle materie prime, prevedere condizioni di produzione delle stesse verificabili tramite l’istituzione di un regime di controllo ed, infine, si richiede che le denominazioni che beneficiano di tale deroga siano state riconosciute come tali nel Paese d’origine anteriormente al primo maggio 2004212.

Rispetto alla precedente disciplina, il regolamento n. 1151/2012 inserisce due ulteriori deroghe213. Ai sensi del paragrafo 4 dell’articolo 5 la Commissione può, tramite atti delegati, adottare restrizioni o deroghe relativamente alla provenienza dei mangimi per quanto riguarda le denominazioni d’origine collegate a prodotti di origine animale.

Viene esteso invece a tutti i prodotti e ad entrambi i segni la possibilità di adottare, sempre tramite atti delegati, restrizioni o deroghe relativamente alla macellazione di animali vivi o alla provenienza delle materie prime, per tenere conto, come recita il testo del regolamento, delle specificità connesse a taluni prodotti o a talune zone.

210 Solo animali vivi, carne e latte possono essere considerate materie prime. Oggi questa precisazione è

contenuta nel regolamento di base: figura, infatti, nello stesso paragrafo che introduce e disciplina la deroga alla norma generale. Nella disciplina precedente, la precisazione relativa alla natura delle materia prime era contenuta nel regolamento della Commissione (per la precisione nell’articolo 5, paragrafo 1 del regolamento 1898/2006) e non nel regolamento 510/2006 del Consiglio.

211 Il paragrafo 3 dell’articolo 5 del regolamento sui regimi di qualità recita: “In deroga al paragrafo 1, alcune denominazioni sono equiparate a denominazioni di origine anche se le materie prime dei prodotti da esse designati provengono da una zona geografica più ampia della zona geografica delimitata, o diversa da essa, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) la zona di produzione delle materie prime è delimitata; b) sussistono condizioni particolari per la produzione delle materie prime; c) esiste un regime di controllo atto a garantire l'osservanza delle condizioni di cui alla lettera b); e d) le suddette denominazioni di origine sono state riconosciute come denominazioni di origine nel paese di origine anteriormente al 1º maggio 2004. Ai fini del presente paragrafo possono essere considerati materie prime soltanto gli animali vivi, le carni ed il latte”.

212 Un esempio su tutti è costituito dalla DOP Prosciutto di Parma, il cui disciplinare di produzione indica

come zona tipica di produzione il territorio della provincia di Parma posto a Sud della via Emilia, distanza da questa non inferiore a 5 chilometri, fino ad una altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad Ovest dal corso del torrente Stirone. In questa zona geografica devono essere ubicati tutti gli stabilimenti di produzione e i laboratori di affettamento e condizionamento del prodotto. La zona di provenienza della materia prima, invece, è più ampia e corrisponde al territorio amministrativo delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio. Il disciplinare prescrive, quindi, le condizioni a cui devono attenersi gli allevatori, nonché i macelli posti al di fuori dell’area geografica per la preparazione della materia prima, la cui trasformazione avviene solo entro la zona tipica di produzione del Prosciutto di Parma.

213 Il paragrafo 4 dell’articolo 5 recita: “Per tenere conto delle specificità connesse alla produzione di prodotti di origine animale, alla Commissione è conferita la competenza di adottare atti delegati, ai sensi dell'articolo 52, concernenti restrizioni e deroghe relativamente alla provenienza dei mangimi nel caso di una denominazione di origine. Inoltre, per tenere conto delle specificità connesse a taluni prodotti o a talune zone, alla Commissione è conferita la competenza di adottare atti delegati, ai sensi dell'articolo 52, concernenti restrizioni e deroghe relativamente alla macellazione di animali vivi o alla provenienza delle materie prime. Tali restrizioni e deroghe tengono conto, in base a criteri obiettivi, della qualità o dell'uso e di know-how o fattori naturali riconosciuti”. Questa deroga non figurava né nella disciplina del regolamento

Con il regolamento n. 1151/2012 la maglia delle deroghe si è ampliata. Questa novità costituisce un fattore positivo, perché rende il quadro giuridico relativo alle DOP e IGP più flessibile e maggiormente capace di rispondere alle esigenze che vengono dagli operatori del settore. Dopotutto, è necessario tenere a mente l’obiettivo finale del sistema: creare valore per la filiera agricola. Tuttavia, è bene non dimenticare che la politica di qualità si regge sulla credibilità del sistema. I consumatori, i Paesi terzi che negoziano con l’Unione accordi bilaterali per la protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche, così come gli stessi produttori devono essere certi che il sistema sia incentrato su prodotti aventi caratteristiche peculiari dovute all’origine geografica. Per tale ragione, è auspicabile che il legislatore faccia buon uso delle deroghe previste, evitando scelte poco lungimiranti che avrebbero come unica conseguenza l’indebolimento di una politica di qualità costruita con fatica nel corso di oltre vent’anni.