L A PROTEZIONE DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE DEI PRODOTTI AGRICOLI E ALIMENTARI NEL DIRITTO DELL ’U NIONE EUROPEA
2.16 Sulla natura esauriente del sistema di riconoscimento e tutela delle DOP e IGP
La natura esauriente dei regolamenti che hanno disciplinato nel corso degli anni il sistema di riconoscimento e tutela delle DOP e IGP rappresenta una questione sulla quale più volte la Corte di giustizia è intervenuta. Il tema è assai rilevante, perché da esso dipende la definizione di quali siano i confini della competenza unionale nel campo delle indicazioni di provenienza geografica. In altre parole, chiedersi se la disciplina sulle DOP-IGP abbia o meno natura esaustiva significa interrogarsi sull’esistenza o meno della facoltà da parte degli Stati membri di esercitare ancora una competenza legislativa in materia di indicazioni geografiche.
2.16.1 Il caso Pistre
La sentenza Pistre549 rappresenta il primo caso in cui la Corte di giustizia ha delineato quale sia il campo di applicazione del regolamento n. 2081/1992, indicando, seppur indirettamente, gli ambiti residuali della competenza statale. Con il rinvio pregiudiziale, il giudice a quo chiese alla Corte di esprimersi sulla compatibilità con il regolamento n. 2081/1992 di una normativa francese inerente l’uso della denominazione “montagna” nelle etichette di prodotti agricoli ed alimentari550. Innanzitutto, i giudici stabilirono che il regolamento n. 2081/1992 si limitava a tutelare i nomi che presupponevano un nesso diretto tra le caratteristiche dei prodotti e la loro origine geografica551. La denominazione “montagna” non poteva rientrare in tale definizione552, motivo per cui la Corte stabilì che
548 Cfr. B. O’CONNOR, L. RICHARDSON, in op. cit., in Rivista di diritto alimentare, IV, p. 17.
549 Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 7 maggio 1997, in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94
e C-324/94, Procedimento penale a carico di Jacques Pistre (C-321/94), Michèle Barthes (C-322/94), Yves
Milhau (C-323/94) e Didier Oberti (C-324/94), in Raccolta 1997, p. 2343. Si veda tra gli altri I. CANFORA, La denominazione “montagna” per i prodotti agricoli, in Rivista di diritto agrario, 1997, II, p. 211.
550 Il quesito pregiudiziale verteva, oltre che sulla compatibilità con il regolamento n. 2081/1992, anche sulla
conformità della normativa francese con gli articoli 30 e 36 del Trattato CE, oggi articoli 34 e 36 TFUE. Punto 9 della sentenza in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94.
551 Punti 31 e 35 della sentenza in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94.
552 Per gli imputati del processo a quo “montagna” era una denominazione di fantasia istituita per dare uno
il regolamento n. 2081/1992 non ostava alla normativa nazionale controversa553. La
posizione presa dai giudici di Lussemburgo non era per nulla scontata. Difatti, nel corso del dibattimento, gli imputati del processo a quo chiesero di dichiarare la legge francese incompatibile con il regolamento n. 2081/1992. Essi sostenevano che, a seguito dell’entrata in vigore della disciplina comunitaria sulle DOP-IGP, gli Stati membri avessero perso ogni competenza in materia, anche relativamente alle indicazioni di provenienza geografica generica quale era la denominazione “montagna”554. La lettura fornita dalla Corte, invece, oltre ad ammettere ancora l’esistenza di una competenza statale, pur senza definirne espressamente gli ambiti di applicazione, abbozzò quella ripartizione di competenze tra Comunità e Stati membri, che venne poi ripresa e sviluppata con maggiore precisione nelle sentenze successive.
2.16.2 Il caso Époisses de Bourgogne
Pochi anni più tardi, in occasione della sentenza sul formaggio francese Époisses de
Bourgogne555, la Corte si ritrovò dinanzi due concezioni completamente contrapposte
della natura del regolamento n. 2081/1992. Per il governo ellenico e la Commissione europea, tale regolamento aveva introdotto “una disciplina tassativa, la quale avrebbe
escluso, sin dalla sua entrata in vigore, qualsiasi competenza degli Stati membri a creare una nuova denominazione geografica o a modificare qualsiasi denominazione già registrata in osservanza di questo regolamento”556. I governi italiano e tedesco, invece, ritenevano che lo scopo del sistema in parola “di fornire una protezione efficace a livello
comunitario […] non contrasterebbe con le legislazioni nazionali a carattere complementare che accordano una tutela meno estesa, né le escluderebbe”557. Alla posizione di Italia e Germania si aggiunse quella della Francia, il cui governo, sostenuto dal Syndicat de défense de l’Époisses, affermò che “il regolamento 1992 mirerebbe a
garantire, a livello comunitario, una protezione delle denominazioni di origine, senza con
un’indicazione di qualità che ad un’indicazione di provenienza; per la Commissione “montagna” poteva essere assimilata ad un’indicazione di provenienza semplice che, alla luce delle disposizioni della normativa nazionale, costituiva un marchio di qualità diretto a promuovere i prodotti delle zone montane. La Corte, per parte sua, stabilì che la denominazione “montagna” non poteva costituire un’indicazione di provenienza, così come definita nella giurisprudenza Exportur perché non informava il consumatore del fatto che il prodotto contrassegnato proviene da un luogo, da una regione o da un Paese determinati. Essa era, per la Corte, una denominazione generica. Si vedano a tal proposito i punti 21-23 e 35-36 della sentenza in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94.
553 Punto 40 della sentenza in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94. 554 Punto 33 della sentenza in cause riunite C-321/94, C-322/94, C-323/94 e C-324/94.
555 Sentenza della Corte del 9 giugno 1998, in cause riunite C-129/97 e C-130/97, Procedimenti penali a carico di Yvon Chiciak e Fromagerie Chiciak (C-129/97) e Jean-Pierre Fol (C-130/97), in Raccolta, 1998,
p. 3315.
556 Punto 21 della sentenza in cause riunite C-129/97 e C-130/97. 557 Punto 22 della sentenza in cause riunite C-129/97 e C-130/97.
ciò sottrarre agli Stati membri la loro competenza in materia di gestione delle dette denominazioni”558.
La Corte, profittando della peculiarità della fattispecie oggetto del rinvio pregiudiziale559, evitò di prendere una posizione. Così, essa risolse il quesito affermando che uno Stato membro, qualora avesse ritenuto opportuno modificare una denominazione registrata in virtù del regolamento n. 2081/1992, avrebbe potuto farlo nel rispetto delle procedure stabilite a tal fine560.
2.16.3 Il caso Warsteiner
Pochi anni dopo, in occasione della sentenza Warsteiner561, la Corte, pur non prendendo ancora posizione sul punto controverso, tracciò una linea di confine nitida tra competenze nazionali e competenze comunitarie, sviluppando quanto aveva precedentemente affermato con il caso Pistre.
Per i giudici di Lussemburgo solo le indicazioni geografiche per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualità, la reputazione o un’altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dall’altro, ricadono nell’ambito di
558 Punto 23 della sentenza in cause riunite C-129/97 e C-130/97.
559 La denominazione Époisses de Bourgogne, istituita dalle autorità francesi con decreto del maggio 1991, è
stata registrata come DOP nel giugno del 1996 tramite la procedura semplificata. Nel 1995 la Francia, avvalendosi nuovamente di un decreto, ha modificato la denominazione in questione in Époisses, senza tuttavia seguire la procedura di modifica di un disciplinare appositamente prevista dal regolamento n. 2081/1992. La controversia che ha dato origine al rinvio pregiudiziale trae origine dal procedimento penale a carico dei signori Chiciak e Fol, due produttori caseari, perseguiti per aver usato la designazione Époisses per formaggi non conformi al disciplinare di produzione della DOP Époisses de Bourgogne. A parere degli imputati, essi avrebbero potuto legalmente utilizzare la denominazione contestata, in quanto il decreto del 1995 sarebbe stato in contrasto con il regolamento comunitario, avendo quest’ultimo riservato alla Commissione una competenza esclusiva ad attribuire una protezione alle denominazioni di origine, con il conseguente divieto per gli Stati membri di legiferare in materia. Pertanto, il giudice a quo interrogò la Corte circa l’esistenza o meno di una competenza residuale in capo agli Stati membri relativamente alla modifica di una denominazione d’origine preesistente.
560 Punto 20 delle sentenze in cause riunite C-129/97 e C-130/97.
561 Sentenza della Corte del 7 novembre 2000, in causa C-312/98, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV contro Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG, in Raccolta 2000, p. 9187. Il
rinvio pregiudiziale trae origine dalla controversia sorta tra lo Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, un’associazione che ha come oggetto sociale la lotta alla concorrenza sleale, e la Warsteiner Brauerei Haus Cramer Gmbh & Co. KG, l’omonima società produttrice di birra, in relazione all’uso da parte di quest’ultima della denominazione “Warsteiner” sulle etichette applicate a bottiglie di birra prodotte in uno stabilimento situato a Paderborn, località a 40 km da Warstein. Il quesito pregiudiziale, così come riformulato dalla stessa Corte, chiedeva di “stabilire se il regolamento n. 2081/1992 osti a una normativa
nazionale che proibisca l’uso ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica” (punto 40 della sentenza in causa C-
312/98). Nel caso di specie, le normative nazionali che facevano sorgere dubbi circa la loro compatibilità con il diritto dell’Unione erano la legge tedesca sulla concorrenza sleale e la legge tedesca sulla protezione dei marchi e altri contrassegni, le quali sanzionavano, nell’ambito di relazioni commerciali, l’uso di indicazioni geografiche ingannevoli circa la provenienza dei prodotti. Su questa sentenza si vedano, tra gli altri, gli interessanti commenti di F. CAPELLI, La sentenza Warsteiner in materia di denominazioni di
origine: un contributo alla soluzione di un equivoco, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali,
2001, p. 287 e M. VALLETTA, Non solo DOP e IGP: territorialità del prodotto e informazione del
applicazione del regolamento n. 2081/1992562. Al contrario, le indicazioni di origine
geografica semplici, le quali, così come definite dal giudice a quo, non implicano alcun rapporto fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica, non rientrano nella summenzionata definizione, non potendo, quindi, trovare protezione in virtù del regolamento n. 2081/1992563. Per la Corte, inoltre, non vi era nulla nel regolamento che segnalasse che le indicazioni di origine geografica semplici non potessero essere tutelate in forza di una disciplina nazionale564. Difatti, secondo i giudici “il regolamento n.
2081/92 ha lo scopo di garantire una protezione uniforme, nella Comunità, delle denominazioni geografiche cui si riferisce e ha introdotto l’obbligo della loro registrazione comunitaria affinché esse possano godere di una protezione in tutti gli Stati membri […], mentre la protezione nazionale che uno Stato membro può concedere a denominazioni geografiche che non soddisfano i presupposti per la registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92 è disciplinata dal diritto nazionale del detto Stato membro e resta confinata al territorio dello stesso”565.
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte concluse che il regolamento n. 2081/1992 non ostava ad una normativa nazionale volta alla repressione di usi ingannevoli di indicazioni geografiche semplici, quale quella oggetto della controversia all’origine del rinvio pregiudiziale566.
2.16.4 Il caso Bud I
Nel 2003 la Corte è tornata sull’argomento in occasione della sentenza Bud I567. Il quesito
pregiudiziale questa volta verteva sulla compatibilità di un trattato bilaterale per la
562 Punto 43 della sentenza in causa C-312/98. 563 Punto 44 della sentenza in causa C-312/98. 564 Punto 45 della sentenza in causa C-312/98. 565 Punto 50 della sentenza in causa C-312/98.
566 Punto 54 della sentenza in causa C-312/98. F. CAPELLI, in op. cit., p. 287 e ss., ha considerato assai
rilevante il contributo fornito dalla Corte di giustizia in occasione della sentenza Warsteiner, perché risolveva, a suo avviso, l’equivoco in cui era caduta la Commissione e parte della dottrina nel ritenere che gli Stati membri avessero perso ogni competenza in materia di indicazioni geografiche in seguito all’entrata in vigore del regolamento n. 2081/1992. L’autore ha riconosciuto, tuttavia, che la Corte si era limitata a prendere in considerazione le sole indicazioni geografiche semplici, mettendo in guardia circa i rischi di una lettura di tale posizione nel senso di attribuire alla Comunità una competenza esclusiva in materia di indicazioni geografiche qualificate.
567 Sentenza della Corte del 18 novembre 2003, in causa C-216/01, Budéjovický Budvar, národní podnik contro Rudolf Ammersin GmbH, in Raccolta 2003, p. 13617. Il rinvio pregiudiziale trae origine da una
controversia sorta tra la Budějovický Budvar, národní podnik, una birreria con sede nella città di České Budějovice in Repubblica ceca, e la Rudolf Ammersin GmbH, un’impresa con sede a Vienna che esercita un’attività di distribuzione di bevande, in merito alla richiesta della Budvar di vietare alla Ammersin la commercializzazione con il marchio American Bud di birra prodotta dalla birreria Anheuser-Busch Inc., con sede a Saint Louis negli Stati Uniti, poiché, in forza dei trattati bilaterali conclusi tra la Repubblica ceca e la Repubblica d’Austria, l’utilizzazione della denominazione Bud nel detto Stato membro sarebbe riservata a birra prodotta nella Repubblica ceca (punto 2 della sentenza).
protezione di indicazioni geografiche semplici e indirette con il regolamento n. 2081/1992 e con gli articoli del Trattato relativi alla libera circolazione delle merci568.
La Corte, ricorrendo alla giurisprudenza Warsteiner ed Exportur, definì per prima cosa un’indicazione di origine geografica semplice e indiretta, come “una denominazione per
cui non esiste un nesso diretto tra una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dall’altro, e che, pertanto, non rientra nell’ambito di applicazione […] del regolamento n. 2081/92 […], denominazione che, inoltre, non è di per sé una denominazione geografica, ma almeno è idonea ad informare il consumatore del fatto che il prodotto che la reca proviene da un luogo, da una regione o da un paese determinati […]”569.
I giudici, dopo aver confermato l’orientamento assunto in occasione del caso
Warsteiner570, aggiunsero che tale interpretazione non poteva essere rimessa in discussione dal fatto che il regime di protezione in causa prevedesse una tutela assoluta dei segni, ossia indipendente dal rischio di inganno. Per la Corte, infatti, l’ambito di applicazione del regolamento n. 2081/1992 è determinato in funzione della natura delle indicazioni geografiche e della portata comunitaria della protezione loro conferita, non dell’intensità della tutela di cui beneficiano571.
Per quanto riguarda, invece, il profilo della compatibilità con le norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci, la Corte ha ripreso la giurisprudenza Exportur, risolvendo questa parte di quesito nel senso che gli articoli 28 TCE e 30 TCE, oggi 34 TFUE e 36 TFUE, “non ostano all’applicazione di una disposizione di un trattato bilaterale […] che
attribuisce ad un’indicazione di origine geografica semplice e indiretta del detto paese terzo una tutela nello Stato membro interessato che è indipendente da qualsiasi rischio d’inganno e consente di impedire l’importazione di un prodotto regolarmente
568 Vi erano, inoltre, altri due quesiti relativi all’interpretazione dell’articolo 307 del Trattato, oggi articolo
351 TFUE, dato che l’accordo bilaterale controverso legava uno Stato membro, l’Austria, ad un Paese terzo, la Repubblica ceca.
569 Punto 54 della sentenza in causa C-216/01.
570 Anche in questo caso, la conclusione cui è pervenuta la Corte non era per nulla scontata. Se da un lato,
infatti, la Commissione europea, il governo tedesco e quello austriaco, qualificando la denominazione Bud come indicazione geografica semplice, ritenevano applicabile la giurisprudenza Warsteiner, le due controparti del processo a quo presentarono posizioni molto interessanti. La Budvar, da un lato, si spinse a sostenere che il regolamento n. 2081/1992 si occupava solo di definire la portata comunitaria della protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche e che quindi non ostava a sistemi nazionali di tutela quale quello oggetto della controversia. Dall’altro lato, la Ammersin argomentò che il regolamento n. 2081/1992 aveva natura esaustiva e di conseguenza non potevano essere ammessi sistemi di tutela alternativi per indicazioni geografiche che non davano garanzie di possedere i rigidi requisiti imposti dallo stesso regolamento. La Corte nel risolvere la prima questione non si è interrogata della natura della denominazione Bud, attenendosi rigorosamente alla lettera del quesito pregiudiziale, il quale molto chiaramente menzionava le sole indicazioni geografiche semplici e indirette. (punti 55-72 e 73-78 della sentenza in causa C-216/01).
commercializzato in un altro Stato membro, purché la denominazione tutelata non sia diventata generica nello Stato d’origine al momento dell’entrata in vigore di tale trattato o in un momento successivo”572. Per la Corte, infatti, tali misure, pur configurando una misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni, potevano rientrare nella deroga della tutela della proprietà industriale e commerciale, poiché avevano come scopo la garanzia di una concorrenza leale tra le imprese, impedendo lo sfruttamento della reputazione delle denominazioni geografiche di uno Stato firmatario da parte di produttori stabiliti nel territorio dell’altra parte contraente.
2.16.5 Il caso Bud II
Qualche anno più tardi, la stessa causa principale ha dato origine ad un nuovo rinvio pregiudiziale, meglio conosciuto come sentenza Bud II573. Tra le ragioni che spiegarono il nuovo ricorso alla Corte, il giudice a quo rilevò che il contesto fattuale e giuridico della causa principale aveva subito modifiche essenziali rispetto a quello esistente in occasione della sentenza Bud I574. Nella Repubblica ceca, Paese d’origine della denominazione
“Bud”, tale nome sarebbe stato protetto come denominazione d’origine575. Le condizioni di protezione sarebbero corrisposte a quelle di cui beneficiano le denominazioni registrate in virtù del regolamento n. 510/2006; perciò, per il giudice a quo non sarebbe stato più possibile basarsi sull’ipotesi secondo cui la denominazione oggetto della controversia fosse un’indicazione di provenienza semplice e indiretta, estranea quindi all’ambito di applicazione del regolamento in parola576. Allo stesso tempo, la Repubblica ceca era
entrata a far parte dell’Unione europea; di conseguenza, non si trattava più di un trattato bilaterale concluso tra uno Stato membro ed un Paese terzo, cui si sarebbe potuto applicare l’articolo 307 TCE, oggi articolo 351 TFUE, come era stato fatto nella sentenza Bud I, ma
572 Punto 102 della sentenza in causa C-216/01.
573 Sentenza della Corte (grande sezione) dell’8 settembre 2009, in causa C-478/07, Budĕjovický Budvar, národní podnik contro Rudolf Ammersin GmbH, in Raccolta 2009, p. 7721. Sulla base della pronuncia Bud I, il giudice del rinvio respinse il ricorso della Budvar basandosi sulla considerazione che la denominazione
“Bud” non era un’indicazione di provenienza in quanto la popolazione ceca non associava tale denominazione a un luogo determinato della Repubblica ceca e questa non era mai stata utilizzata in tale Paese per designare un luogo. Il giudice del rinvio ne concluse, quindi, che la protezione di detta denominazione da parte dei trattati bilaterali di cui trattasi era incompatibile con l’art. 28 CE, oggi 34 TFUE. Questa sentenza venne poi confermata dall’Oberlandesgericht Wien, un organo giurisdizionale superiore. Tuttavia, con ordinanza 29 novembre 2005, l’Oberster Gerichtshof ha annullato le decisioni di entrambi gli organi giurisdizionali inferiori, rinviando la causa dinanzi al giudice a quo, affinché quest’ultimo statuisse nuovamente. In particolare, secondo l’Oberster Gerichtshof il giudice del rinvio avrebbe commesso errori nella valutazione della natura di indicazione di provenienza semplice e indiretta della denominazione “Bud”. Il giudice a quo, reinvestito della causa, ritenne per varie ragioni che fosse nuovamente necessario rivolgersi alla Corte formulando un rinvio pregiudiziale di interpretazione in virtù dell’articolo 234 TCE, oggi 267 TFUE (punti 39-45 della sentenza).
574 Punto 50 della sentenza in causa C-478/07. 575 Punto 51 della sentenza in causa C-478/07. 576 Punto 52 della sentenza in causa C-478/07.
bensì di una convenzione che legava due Stati membri, le cui disposizioni avrebbero potuto trovare applicazione solo se conformi al diritto comunitario577. Per queste ragioni,
il giudice a quo chiese alla Corte di giustizia di chiarire “se il sistema comunitario di
tutela previsto dal regolamento n. 510/2006 rivesta una natura esauriente di modo che tale regolamento osterebbe all’applicazione di un regime di tutela previsto dai trattati che vincolano due Stati membri quali i trattati bilaterali di cui trattasi che conferisce ad una denominazione, riconosciuta secondo il diritto di uno Stato membro come una denominazione di origine, una tutela in un altro Stato membro dove tale protezione è effettivamente chiesta, mentre questa denominazione di origine non ha costituito oggetto di una domanda di registrazione in forza di detto regolamento”578.
La Corte ha articolato il proprio ragionamento nel modo seguente579. Il regolamento n. 510/2006 costituiva uno strumento della politica agricola comune. In particolare, esso mirava a garantire ai consumatori che i prodotti muniti di un’indicazione geografica registrata avessero talune caratteristiche peculiari, dovute alla loro provenienza da una determinata zona geografica. Questa garanzia di autenticità consentiva agli agricoltori, che avevano sostenuto effettivamente i relativi sforzi qualitativi, di ottenere in contropartita migliori redditi, impedendo a terzi di avvantaggiarsi abusivamente della reputazione derivante dalla qualità di tali prodotti. Pertanto, se fosse stato lecito per gli Stati membri consentire ai loro produttori di utilizzare nei rispettivi territori nazionali una delle diciture o uno dei simboli riservati dal regolamento n. 510/2006 alle DOP e IGP, basandosi su un