L A PROTEZIONE DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE DEI PRODOTTI AGRICOLI E ALIMENTARI NEL DIRITTO DELL ’U NIONE EUROPEA
2.5 I nomi generic
Le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche, come già ampiamente dimostrato in precedenza, sono per definizione non generiche. Pertanto, la non genericità del termine costituisce la condizione preliminare per l’accesso di un nome al sistema di riconoscimento e tutela delle DOP e IGP214.
Il regolamento n. 1151/2012 definisce all’articolo 3 termine generico quel nome di prodotto che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al Paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o commercializzato, è divenuto con l’uso il nome comune di un prodotto nell’Unione215.
Per stabilire se una denominazione costituisca o meno un termine generico, il regolamento richiede che si tenga conto di tutti i fattori pertinenti, con una particolare attenzione alla situazione esistente nelle zone di consumo e alle normative nazionali o dell’Unione
214 Ai sensi dell’articolo 6 paragrafo 1 del regolamento n. 1151/2012 “I termini generici non sono registrati come denominazioni di origine protette o indicazioni geografiche protette”.
215 L’articolo 3 del regolamento n. 1151/2012 rubricato Definizioni stabilisce che per “termini generici” si
intendono “i nomi di prodotti che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al paese in cui il prodotto era
originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto nell’Unione”.
Questa definizione, oltre a non innovare rispetto alla precedente disciplina, è corroborata dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale “la denominazione di un prodotto diventa generica a seguito di
un processo oggettivo, al termine del quale essa, benché contenga il riferimento al luogo geografico in cui il prodotto di cui trattasi è stato inizialmente fabbricato o commercializzato, diventa il nome comune di detto prodotto”. Così la sentenza del 10 settembre 2009 in causa C-446/07, Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della Cavazzuti e figli SpA, ora Grandi Salumifici Italiani SpA/Regione Emilia-Romagna, in Raccolta, 2009, p. 8041, punto 50.
rilevanti216. Questo implica la verifica di un certo numero di requisiti, il che richiede
conoscenze approfondite di elementi particolari tanto dello Stato membro d’origine, quanto della situazione esistente negli altri Paesi interessati.
Come ha più volte ripetuto la Corte di giustizia217, gli elementi da considerare per valutare la genericità di un termine sono di varia natura, economica, giuridica, sociale, ma anche storica e culturale. Oltre alla normativa nazionale e dell’Unione, inclusa la loro evoluzione storica, è necessario, infatti, considerare la percezione che il consumatore medio ha della denominazione in questione, eventualmente anche attraverso un sondaggio di opinione. La verifica deve accertare se vi siano prodotti simili legalmente commercializzati con il nome in questione in altri Stati membri, oppure se nel Paese d’origine esistano produzioni che pur non seguendo i metodi tradizionali si avvalgono comunque della stessa denominazione. In caso di esito positivo, è importante verificare le modalità di presentazione dei prodotti, per accertare se vi siano riferimenti al territorio d’origine anche per i beni estranei al metodo di produzione tradizionale, ed un confronto delle rispettive quantità prodotte e quote di mercato detenute. Altri indizi da tenere in conto sono l’eventuale protezione del nome da parte di accordi internazionali, una sua inclusione nella lista dell’allegato II della Convenzione di Stresa218 nel caso di formaggi oppure, ancora, nelle definizioni del Codex Alimentarius219. La Corte, infine, nel rammentare che anche il
216 Ai sensi dell’articolo 41 paragrafo 2 del regolamento n. 1151/2012 “per stabilire se un termine sia diventato generico si tiene conto di tutti i fattori pertinenti, in particolare: a) della situazione esistente nelle zone di consumo; b) dei pertinenti atti giuridici nazionali o dell’Unione”.
217 La Corte di giustizia si è occupata più volte della genericità dei nomi oggetto di controversie ad essa
sottoposte. Si veda, tra le altre, la sentenza della Corte di giustizia 16 marzo 1999 nelle cause riunite C- 289/96, C-293/96, C-299/96, Regno di Danimarca, Repubblica federale di Germania e Repubblica francese
contro Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, 1999, I, 1541 ss., punti 85, 87, 95, 96, 99 e 101;
sentenza della Corte di giustizia del 25 giugno 2002 in causa C-66/00, Procedimento penale a carico di
Dante Bigi, con l'intervento di: Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, pubblicata in Raccolta,
2002, I, pp. 5917, punto 20; sentenza della Corte di giustizia 25 ottobre 2005 nelle cause riunite C-465/02 e C-466/02, Repubblica federale di Germania (C-465/02) e Regno di Danimarca (C-466/02) contro
Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, 2005, I, 9115, punti 75, 77, 78, 80, 83, 86, 87, 93 e 93 e
sentenza del Tribunale di primo grado (Quarta Sezione) del 12 settembre 2007 in causa T-291/03, Consorzio
per la tutela del formaggio Grana Padano contro Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in Raccolta, 2007, p. 3081, punti 63-67.
218 Si tratta della Convenzione internazionale sull’uso delle denominazioni d’origine e delle denominazioni
dei formaggi, conclusa a Stresa il 1° giugno 1951. La lista dell’allegato II riporta le denominazioni di formaggi che possono essere utilizzate da tutti i Paesi firmatari della Convenzione, purché il prodotto sia realizzato secondo i metodi di fabbricazione previsti e la denominazione sia accompagnata dall’indicazione del Paese d’origine. Il fatto che un nome compaia in tale lista viene considerato un indizio di genericità, a maggior ragione se lo Stato membro da cui proviene la domanda di registrazione è uno dei Paesi firmatari della Convenzione.
219 La Commissione del Codex Alimentarius è stata creata nel 1963 dalla FAO (Organizzazione per il Cibo e
l'Agricoltura) e dall' OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) con l’obiettivo di elaborare norme alimentari, linee direttrici e codici d’uso per proteggere la salute dei consumatori ad assicurare condizioni di concorrenza leale nel commercio di prodotti alimentari. La Commissione promuove anche il coordinamento di lavori di normalizzazione relativi agli alimenti intrapresi da organizzazioni governative e non governative. In questa sede più volte alcuni Paesi hanno cercato di far approvare una definizione comune di parmesan per formaggi grattugiati generici, che nulla hanno a che vedere con il Parmigiano-Reggiano DOP e con le regole
numero di Paesi che ne presume la genericità può divenire rilevante, non ha escluso la possibilità di tenere conto del parere del gruppo scientifico di esperti, istituito con la decisione 2007/71/CE220 e di cui si avvalere la Commissione per questioni inerenti la politica di qualità dei prodotti agricoli.
Come si vedrà meglio in seguito, per il diritto dell’Unione le DOP e le IGP non diventano generiche221. Superata con successo la registrazione, il nome beneficia di una protezione forte e che solo in casi particolari può essere rimessa in discussione222. Per tali ragioni, la verifica sulla natura generica della denominazione da registrare costituisce un passaggio centrale dell’intero sistema qui in esame.
Nel 1992 il legislatore tentò, invano, di redigere un elenco non esauriente delle denominazioni che gli Stati membri consideravano generiche223. La Commissione, dopo
imposte ai produttori dal severo disciplinare di produzione. Un primo tentativo fu ad opera degli Stati Uniti nel 1972, a cui seguirono i tentativi della delegazione tedesca nel 1996 e di nuovo di quella statunitense, che ottenne l’appoggio di altre delegazioni, tra cui quella canadese, australiana e neozelandese. Fino ad oggi il lavoro congiunto dell’Italia, sostenuta dall’Unione europea è riuscito a fermare i vari tentativi, che hanno l’obiettivo di qualificare parmesan come nome comune che identifica una categoria di formaggi e non invece un prodotto con precise caratteristiche certificate dovute ad una determinata origine geografica. A tal proposito, si veda la European Community Position on the Proposal for a Standard on Parmesan Cheese, presentata in occasione della 28° sessione della Commissione del Codex Alimentarius, Roma, 4-9 luglio 2005. Sul tema J. SIMON, Geographical Indication (GIs), Trademarks and International Standards (e.g.
Codex Alimentarius), in Le indicazioni di qualità degli alimenti. Diritto internazionale ed europeo.
UBERTAZZI, MUNIZ ESPADA (a cura di), Giuffré editore, Milano, 2009, p. 321 e ss. e S. VENTURA, Il
“Parmesan” alla Corte di giustizia, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2002, p. 506 e ss.. 220 Decisione della Commissione n. 2007/71/CE, del 20 dicembre 2006, che istituisce un gruppo scientifico di esperti per le denominazioni d'origine, le indicazioni geografiche e le specialità tradizionali garantite,
pubblicata in GUUE L 32 del 6 febbraio 2007, p. 177.
221 L’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento 1151/2012 prevede espressamente che “le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette non diventano generiche”. Nel caso Alberto Severi contro Regione Emilia Romagna il giudice di rinvio chiedeva, tra le altre cose, se un’interpretazione al
contrario di tale disposizione potesse condurre a presumere la genericità di una denominazione che, avviato l’iter di registrazione, è in attesa della decisione della Commissione. La Corte ha precisato che ciò non è possibile. Se infatti come prevede il paragrafo 2 dell’articolo 13 le DOP e le IGP non diventano generiche, al contrario non si può desumere una loro genericità in attesa della decisione della Commissione. Una denominazione non può essere definita come generica fino a che la Commissione non si sia espressa in questo senso al termine della procedura di conferimento della protezione, rigettando sulla base di tale motivazione la domanda di registrazione. Si veda al tal proposito la sentenza del 10 settembre 2009 in causa C-446/07, Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della Cavazzuti e figli SpA,
ora Grandi Salumifici Italiani SpA/Regione Emilia-Romagna, in Raccolta, 2009, p. 8041, punti 43-54. 222 La protezione di una DOP o IGP può essere messa in discussione per motivi diversi dalla sopravvenuta
genericità del termine.
223 Il regolamento n. 2081/1992 aveva attribuito al Consiglio la competenza di adottare, su proposta della
Commissione, un elenco delle denominazioni che gli Stati membri consideravano generiche. Si veda a tal proposito l’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento 2081/1992, che recitava “Anteriormente all'entrata in
vigore del presente regolamento il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, stabilisce e pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee un elenco non esauriente, indicativo delle denominazioni dei prodotti agricoli o alimentari che rientrano nel campo di applicazione del presente regolamento e che sono considerati come denominazione divenuta generica ai sensi del paragrafo 1 e che pertanto non possono essere registrati ai fini del presente regolamento”.
aver richiamato più volte l’attenzione degli Stati, riuscì solo nel 1996 a formulare una proposta di decisione, ritirata senza successo nel marzo 2005224.
2.5.1 La Corte di giustizia ed i nomi generici
La Corte di giustizia si è occupata più volte del presunto carattere generico di denominazioni oggetto delle controversie ad essa sottoposte.
Con la sentenza Danimarca e altri c. Commissione225, la Corte si è occupata per la prima volta della denominazione Feta. Riferita ad un particolare formaggio greco, questo nome è stata oggetto di ben due pronunce226. Entrambe le sentenze sono state originate da ricorsi di annullamento presentati da alcuni Stati membri, i quali, qualificando Feta come nome generico, si opponevano alla sua registrazione in quanto denominazione d’origine. Il primo caso si concluse con la vittoria delle ricorrenti e con il conseguente annullamento del regolamento n. 1107/1996227 nella parte in cui registrava Feta come DOP, perché la Commissione non aveva espletato in maniera corretta la verifica circa la natura generica del termine. Nella seconda sentenza228, invece, la Corte rigettò le tesi sostenute dalle
224 COM (96) 38, Proposta di decisione del Consiglio, relativa alla compilazione di un elenco indicativo non esauriente delle denominazioni dei prodotti agricoli e alimentari che si considerano divenute generiche, di cui all’articolo 3, paragrafo 3 del regolamento (CEE) n. 2081/1992 del Consiglio. Nella motivazione della
proposta, la Commissione ha messo in evidenza le diverse criticità incontrate. Dalla mancanza di un accordo tra gli Stati membri, disparità sia nel numero di denominazioni proposte, sia nei criteri seguiti dai Paesi per determinare la natura generica del termine. Inoltre, la Commissione ha denunciato la mancanza o comunque l’insufficienza di informazioni fornite dagli Stati membri per permettere un’adeguata valutazione del carattere generico delle singole denominazioni notificate. Per questi motivi, la Commissione ha ritenuto opportuno individuare criteri aggiuntivi, non sostitutivi, di quelli elencati al paragrafo 1 dell’articolo 3 del regolamento 2081/1992. In particolare, è stata prestata attenzione al numero di Stati membri che sostenevano la genericità di un termine, l’adesione del Paese d’origine della denominazione alla Convenzione di Stresa ed il fatto che i termini notificati non fossero protetti da accordi internazionali. La Convenzione di Stresa, in particolare, venne presa in considerazione perché conteneva un elenco di denominazioni di formaggi non ritenute esplicitamente generiche, ma le quali potevano essere usate anche al di fuori del Paese d’origine, qualora la produzione del formaggio seguisse il metodo di produzione corrispondente. Se il Paese aveva aderito alla Convenzione di Stresa, allora, significava che aveva ammesso che la denominazione in causa fosse usata anche per formaggi simili prodotti nei territori degli altri Stati aderenti. L’elenco che ne uscì fu tuttavia assai scarno. Vi comparirono le seguenti denominazioni: Brie,
Camembert, Cheddar, Edam, Emmentaler, Gouda.
225 Sentenza della Corte di giustizia del 16 marzo 1999 in causa C-289/96, C-293/96, C-299/96, Danimarca e altri c. Commissione, in Raccolta, 1999, p. 1541.
226 La vicenda della denominazione Feta ha attirato un certo interesse da parte della dottrina. Si veda, tra gli
altri, L. COSTATO, Brevi note a proposito di tre sentenze su circolazione dei prodotti, marchi e protezione
dei consumatori, in Rivista di diritto agrario, 1999, II, p.157; S. VENTURA, La tormentata vicenda della
denominazione “Feta”, in Diritto comunitario e degli scambi comunitari, 2006, III, p. 497; C. BENATTI, Il
revirement della Corte di giustizia sul caso “feta”, in Rivista di diritto agrario, 2006, p. 110.
227 Regolamento della Commissione (CE) n. 1107/1996 del 12 giugno 1996, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all'articolo 17 del regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, pubblicato in GUCE, L 148 del 21 giugno 1996, p. 1. 228 Sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 2005 in causa C-465/02 e C-466/02, Repubblica federale di Germania (C-465/02) e Regno di Danimarca (C-466/02)c. Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, 2005, p. 9115.
ricorrenti, convalidando l’iscrizione di Feta al registro delle denominazioni d’origine protette229.
Un altro termine che ha suscitato grande interesse è la denominazione parmesan. Come
Feta, anch’esso è stato per ben due volte oggetto dell’attenzione della Corte di giustizia230. Tuttavia, diversamente da quanto accaduto per la denominazione d’origine greca, nei riguardi di parmesan la Corte ha assunto una posizione poco chiara e pericolosamente non definitiva. Il governo tedesco ha sostenuto in entrambe le volte la natura generica del termine in causa: parmesan era un nome comune che designava un formaggio a pasta dura da grattugiare o grattugiato. A parere della Germania, pertanto, il suo uso per prodotti non rispondenti al disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta Parmigiano Reggiano non avrebbe configurato alcuna violazione dei diritti connessi alla suddetta DOP231. La Corte ha respinto, in entrambi i casi, le tesi tedesche, limitandosi, tuttavia, ad affermare che le prove fornite non erano sufficienti per dimostrarne la genericità232. Tali conclusioni lasciano aperta la strada a nuove controversie, con il rischio che la protezione della DOP Parmigiano Reggiano subisca un grave pregiudizio. La Corte di giustizia, inoltre, ha riconosciuto la natura evocativa dell’uso della denominazione
229 In occasione della sentenza Feta I, la Corte ha annullato il regolamento n. 1107/1996 della Commissione,
con il quale la denominazione Feta era stata registrata come DOP. La Corte di giustizia ha invalidato l’atto in questione non perché ha riconosciuto la genericità della denominazione Feta, ma bensì perché la Commissione all’atto della registrazione non aveva preso in considerazione tutti i fattori indicati nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 2081/1992. Si vedano a tal proposito i punti 102-103 della sentenza in cause riunite C-289/96, C-293/96 e C-299/96. Successivamente, la Commissione dopo aver radiato con regolamento 1070/1999 la denominazione Feta dal registro delle DOP, ha, previa verifica, registrato nuovamente la denominazione contesa. Interpellata anche in questo secondo caso, la Corte in occasione della sentenza Feta II ha riconosciuto la corretta registrazione da parte della Commissione, sancendo così una volta per tutte che Feta è denominazione d’origine e non denominazione generica. Si vedano a tal proposito il punti 99-100 della sentenza in cause riunite C-465/02 e C-466/02.
230 Rispettivamente sentenza della Corte di giustizia del 25 giugno 2002 in causa C-66/00, Procedimento penale a carico di Dante Bigi, in Raccolta, 2002, p. 5917 e sentenza della Corte di giustizia del 26 febbraio
2008 in causa C-132/05, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania, in
Raccolta, 2008, p. 957. La dottrina ha ampiamente commentato il caso Parmesan, il più delle volte
criticando la posizione assunta dalla Corte di giustizia. Si vedano, tra tutti, S. VENTURA, Il “Parmesan” alla
Corte di giustizia, cit., 2002, p. 501; L. COSTATO, Parmigiano e Parmesan, in Rivista di diritto agrario,
2003, II, p. 183; M. BORRACCETTI, Parmigiano Reggiano, “Parmesan” e denominazioni di origine protetta,
in Rivista di diritto agrario, 2003, II, p. 187; ID., Parmesan e Parmigiano: la Corte di giustizia interviene
ancora una volta, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2008, Parte prima, p. 1009; F. CAPELLI, La
sentenza Parmesan della Corte di giustizia: una decisione sbagliata (Nota a Sentenza del 26 febbraio 2008 in causa n. C-132/05), in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2008, p. 329; F. GENCARELLI, Il
caso “Parmesan”: la responsabilità degli Stati nella tutela delle DOP e IGP tra interventi legislativi e giurisprudenziali, in Diritto dell’Unione europea, 2008, p. 825; S. VENTURA, Il caso Parmesan visto dalla
Corte di giustizia, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2008, p. 323. Per una panoramica
sulla dottrina non di origine italiana si vedano tra gli altri C. HAUER, Using the Designation “Parmesan” for
Hard Cheese (Grated Cheese) of Non-Italian Origin. Judgment of the ECJ of 26 February 2008 in case C- 132/05 (Commission of the European Communities vs. Federal Republic of Germany), in European Food and Feed Law Review, 2008, vol. 3, n. 6, p. 387; C.HEATH, Parmigiano Reggiano by Another Name- The
ECJ’s Parmesan Decision, in International Review of Intellectual Property and Competition Law, 2008, p.
951.
231 Punti 39-41 della sentenza in causa C-132/05.
parmesan233. Qualora in futuro, in un’ipotetica nuova controversia il governo tedesco o
un’altra parte interessata riuscissero a fornire sufficienti prove per stabilire la natura generica del termine, si creerebbe un serio pericolo per la DOP Parmigiano Reggiano, con un danno considerevole per i produttori legittimi e per i consumatori234. I primi si ritroverebbero vittime di una concorrenza sleale, preso atto del fatto che i produttori di
parmesan non saranno soggetti al rispetto del disciplinare di produzione, mentre i secondi
opereranno le loro scelte d’acquisto in un mercato meno trasparente.
Diversa è stata invece la sorte di un’altra denominazione italiana anch’essa di grande pregio: la DOP Grana Padano. In occasione di un ricorso presentato dal relativo Consorzio di tutela235, il Tribunale di primo grado ha riconosciuto a grana una natura distintiva, sconfessando la valutazione condotta dalla prima commissione di ricorso dell’UAMI, che lo aveva degradato a termine generico. In particolare, secondo i giudici la qualificazione di “padano” non venne introdotta per limitare la portata della DOP solo a taluni tipi di grana, ma piuttosto con l’obiettivo di riunirli tutti sotto la stessa elevata tutela, accordata inizialmente dalla normativa italiana e successivamente dal regolamento n. 2081/1992. La denominazione grana utilizzata come abbreviazione di Grana Padano, è per il Tribunale connessa nei fatti e nel comune sentire alla provenienza padana di tale prodotto. I giudici conclusero, pertanto, per la non genericità della denominazione in causa.
Infine, il caso Bavaria NV e Bavaria Italia Srl contro Bayerischer Brauerbund eV236. In questa sentenza il giudice di rinvio ha interrogato la Corte, tra le altre cose, sulla presunta natura generica della denominazione Bayerisches Bier al momento del deposito della domanda di registrazione. Su questo preciso punto, i giudici hanno ritenuto che la presenza sul mercato di marchi ed etichette di società, recanti il termine Bayerisches o sue
233 Sentenza in causa C-132/05 punti 42-49.
234 Ad oggi, alcuni tribunali nazionali si sono espressi sulla genericità del termine Parmesan negandone, per
ora, la natura generica. Si veda a tal proposito S. VENTURA, Il caso Parmesan visto da un Tribunale tedesco, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2008, p. 367 e sempre dello stesso autore Osservazioni
in margine alle sentenze del Tribunale di Oviedo, del Tribunale regionale di Colonia e della Corte d’appello di Berlino relative alla protezione della DOP “Parmigiano Reggiano”, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2010, p. 547. L’autore sottolinea come le tre sentenze commentate, unite a quella
emessa dal Tribunale di Berlino, siano la testimonianza di come la sentenza della Corte di giustizia ha portato i giudici nazionali a varie pronunce, tutte per fortuna nel segno di riconoscere la protezione alla DOP