4. Il rapporto tra il pubblico ministero e la polizia giudiziaria in via
4.2. Rapporti inter personali
I rapporti inter - personali fra p.m. e p.g. sono necessari per assicurare il rispetto di quanto osservato supra con riguardo a quelli inter - organici: i poteri spettanti al p.m. resterebbero infatti “sulla carta” se non fossero in qualche modo legati con le persone fisiche che ricoprono le funzioni di p.g. e sono tenute ad eseguire le direttive.
Come si è detto, i rapporti inter - personali coinvolgono i poteri di vigilanza, disciplina e di influenza sulla carriera.
Il potere di vigilanza (detto altresì di sorveglianza) è previsto direttamente nella legge sull’ordinamento giudiziario (art. 83) e, indirettamente, nel codice di procedura (artt. 59, 12 e 13 disp. di coord.). L’art. 83 prevede infatti che il Procuratore generale presso la Corte d’Appello esercita la sorveglianza all’interno del distretto per quanto riguarda l’ «osservanza delle norme relative alla diretta disponibilità della p.g. da parte della autorità giudiziaria» anche se, nella prassi, il Procuratore generale si limita ad inviare circolari alla p.g.
Dei poteri “derivanti” da quello di vigilanza, ovvero quello ispettivo e quello di coordinamento, il primo non è previsto mentre il secondo lo è limitatamente all’ “antimafia”. In merito a quest’ultimo ambito, l’art. 371 bis c.p.p. prevede infatti che il Procuratore nazionale antimafia eserciti «funzioni di impulso nei confronti dei Procuratori distrettuali al fine [...] di garantire la funzionalità dell’impiego della p.g. nelle sue diverse articolazioni», assicurandone così il collegamento e il coordinamento investigativo. La ratio di tali funzioni, secondo alcuni221, è da ricercarsi nel «mancato funzionamento dei sistemi di coordinamento spontaneo fra p.m. impegnati in indagini collegate» che hanno determinato un «uso frammentario e talvolta improduttivo delle forze di polizia». In ogni caso, anche se è indubbio che l’azione dell’antimafia operi su una “gamma di reati” (forse) più complessi di quelli di competenza della Procura ordinaria, non si capisce il perché
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della limitazione dei poteri di coordinamento delle forze di p.g. in capo al solo Procuratore nazionale antimafia, e non anche ai singoli Procuratori generali presso le Corti di Appello.
Il potere disciplinare, che è una delle altre “articolazioni” di quello di sorveglianza, è invece previsto e disciplinato dall’art. 16 e ss. disp. di coord. al c.p.p.
L’art. 16 individua i casi in cui può essere esercitata l’azione disciplinare, e le sanzioni applicabili. Ai sensi del co. 1, sono sottoponibili a procedimento disciplinare gli ufficiali e gli agenti di p.g. che «senza giustificato motivo omettono di riferire nel termine previsto all'autorità giudiziaria la notizia del reato; […] omettono o ritardano l'esecuzione di un ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente; […]violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria». Le sanzioni applicabili, sempre secondo quanto dispone il co. 1, sono la censura e, nei casi più gravi, la sospensione dall’impiego per un tempo non superiore a 6 mesi.
Il comma 3 stabilisce il principio della” doppia responsabilità disciplinare”, ossia innanzi all’a.g. e all’amministrazione di appartenenza, senza che si possa invocare il ne bis in idem perché non valido in materia disciplinare. Secondo illustre dottrina222, «la duplicità del sistema sanzionatorio ha un profilo positivo in quanto invoglia l’amministrazione a intervenire subito per evitare di doverlo fare dopo che si sia mossa l’autorità giudiziaria; quest’ultima, a sua volta, può ritenere sufficiente la sanzione già inflitta dall’amministrazione», ma anche ha anche un profilo negativo, determinato dal fatto che le commissioni di disciplina sono composte da membri «non indipendenti dagli organi dell’amministrazione attiva» e perché non vi è una «rappresentanza di funzionari eletti all’interno del corpo». Ad oggi, tali osservazioni possono dirsi valide solo limitatamente all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza, perché, per quanto riguarda la Polizia di Stato, il decreto 737 del 1981 ha sì previsto che le sanzioni disciplinari sono irrogate dal superiore gerarchico (ovvero dal Capo della Polizia o dal Ministro dell’Interno, a seconda della loro gravità), ma anche che, prima di procedere all’irrogazione della sanzione, questi avvi un procedimento disciplinare dove può
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essere tenuto, a seconda della gravità della sanzione, a consultare un’apposita commissione (in caso di irrogazione della deplorazione) ovvero a rispettare la deliberazione di una commissione provinciale o nazionale di disciplina (nel caso di sanzioni più gravi della deplorazione), composta da membri dell’amministrazione individuati dalla legge o eletti dai sindacati di polizia più rappresentativi. Fra l’altro, davanti alle Commissioni, il procedimento si svolge nel rispetto del diritto di difesa e con l’ausilio di un difensore scelto dal soggetto sottoposto a procedimento fra gli appartenenti all’amministrazione.
Il procedimento disciplinare innanzi all’a.g. è promosso dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello del Distretto in cui l’ufficiale o l’agente prestano servizio. Dell’avvio del procedimento è data comunicazione all’amministrazione che, come si è detto, può procedere all’apertura di un procedimento interno. La contestazione dell’addebito è effettuata per iscritto e deve indicare, in modo succinto, il fatto e la specifica trasgressione della quale l’incolpato è «chiamato a rispondere». E’ competente a giudicare una commissione mista composta da magistrati e da personale di p.g.223
L’accusa è esercitata dal Procuratore generale o da un suo sostituto e, nel corso del procedimento, devono essere rispettate le disposizioni che regolano il procedimento in camera di consiglio, ex art. 127 c.p.p. La commissione, ai sensi dell’art. 19 disp attuative c.p.p., può procedere alla sospensione cautelare dall’impiego dell’ufficiale o agente di p.g. L’incolpato può nominare un difensore, scelto fra i suoi colleghi - come avviene nel procedimento disciplinare interno, ovvero fra gli avvocati e i procuratori iscritti negli albi professionali. La difesa tecnica è obbligatoria, tanto che, se l’incolpato non vi provvede, la nomina è effettuata d’ufficio dal Presidente della commissione.
I provvedimenti emessi dalla commissione sono immediatamente comunicati all’amministrazione da cui dipende l’incolpato. Avverso la decisione è ammesso ricorso, sia ad opera del Procuratore generale che dell’incolpato, ad una
223 In particolare da un Presidente di Sezione della Corte d’Appello, che la presiede, e un
Presidente di Tribunale nominati, ogni due anni, dal consiglio giudiziario; un ufficiale di p.g. scelto fra una rosa di tre nominativi indicati, ogni due anni, dalle rispettive amministrazioni.
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commissione mista avente sede presso il Ministero della Giustizia224. Anche in questo caso, devono osservarsi le norme sul procedimento in camera di consiglio e la commissione è titolare del potere di sospensione cautelare (art. 19). L’accusa è promossa dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. La decisione della commissione è immediatamente comunicata all’amministrazione per l’esecuzione.
E’ interessante osservare che il comma 5 dell’art. 18 disp. attuative al c.p.p. prevedeva che l’incolpato e il Procuratore generale potessero ricorrere in Cassazione, per soli motivi di legittimità, avverso la decisione della commissione di disciplina di secondo grado. Tale disposizione è stata tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 394 del 25 novembre 1998, della quale sembra qui opportuno chiarire la ratio.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla stessa Corte di Cassazione che lamentava una violazione del divieto d’istituzione di giudici speciali, previsto dall’art. 102 Cost.: da un lato, infatti, e nonostante la natura amministrativa delle sanzioni disciplinari, le commissioni avrebbero esercitato funzioni giurisdizionali, poiché le loro decisioni erano impugnabili innanzi alla Corte; dall’altro, si sarebbero configurate come organi di giurisdizione speciale, in quanto istituiti per un giudizio limitato ad alcuni tipi di controversie e ad alcune categorie di soggetti. Inoltre, i dubbi di legittimità costituzionale non avrebbero potuto essere risolti sulla base della VI disposizione transitoria della Cost., in quanto le commissioni erano organi di recente istituzione.
La Corte dichiarò fondata la questione, argomentando che le disposizioni in esame, ovvero quelle attinenti al procedimento disciplinare, dovevano ritenersi giustificate per il fatto che la «duplice dipendenza (dall'amministrazione di appartenenza e, per l'esercizio delle funzioni di p.g., dall'autorità giudiziaria)», determinava (e determina tutt’oggi), da un lato, «la soggezione alle sanzioni disciplinari stabilite dall'ordinamento proprio di ciascun ufficiale o agente ed applicate dagli organi amministrativi competenti», e, dall’altro, «la soggezione
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La commissione è composta da un magistrato di Cassazione, che la presiede, e un magistrato che esercita funzioni d’appello, nominati ogni quattro anni dal C.S.M.; un ufficiale di p.g. scelto fra tre nominati anch’essi ogni quattro anni dai vertici delle amministrazioni delle forze di polizia (Capo della Polizia; Comandante generale dell’Arma o della Guardia di Finanza)
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distinta alle sanzioni disciplinari specificamente previste per le trasgressioni relative alle funzioni di p.g., comminate da organi appositi (art. 16 disp. att. cod. proc. pen.)». La struttura e le funzioni delle commissioni di disciplina, continua la Corte, «non sono dissimili da quelle di ogni altro organo collegiale cui sia rimesso il giudizio sulle trasgressioni disciplinari» e il richiamo al rispetto delle regole previste per il procedimento in camera di consiglio non è sufficiente a determinare il carattere giurisdizionale del procedimento, se non appunto per la prevista possibilità d’impugnare le decisioni innanzi alla Corte di Cassazione per violazione di legge: e questo perché «nel nostro sistema, il ricorso per cassazione è diretto al controllo su provvedimenti di natura giurisdizionale (sentenza n. 284 del 1986)».
Fra l’altro, le commissioni di disciplina, composte da magistrati e ufficiali di p.g., «non sono incardinate presso un organo giudiziario ordinario» né preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione - e quindi “coperte” dalla VI disposizione transitoria.
Per tutti questi motivi, conclude la Corte, «il sistema disciplinare per gli ufficiali e gli agenti di p.g. si pone in contrasto con il divieto costituzionale di istituire giudici speciali» anche se l’illegittimità costituzionale non colpisce l’intero assetto normativo in esame, ma solo la disposizione che stabilisce la ricorribilità in Cassazione. Di conseguenza, nei confronti delle decisioni delle commissioni, in quanto organi amministrativi, sono esperibili gli ordinari rimedi giurisdizionali.
4.3. Osservazioni conclusive
Per concludere lo studio dei rapporti “in generale” fra p.g. e p.m., si può affermare che il codice delinea un rapporto di dipendenza funzionale della p.g. dal p.m. nel senso che l’attività investigativa è condotta sotto il “controllo” e la “direzione” della magistratura requirente ed è diretta a garantire a quest’ultima la possibilità di sostenere l’accusa nel processo penale. Tale dipendenza, tuttavia, è di media intensità perché non determina, per la p.g., un assoluta inagibilità investigativa al di fuori delle direttive del p.m.: come si è ripetuto più volte, la p.g.
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può infatti condurre un’attività parallela a quella meramente esecutiva delle direttive del p.m.
Si passa ora ad analizzare i rapporti specifici tra il p.m. e i servizi di p.g. e tra questi e le sezioni di p.g. per verificare se e quanto vari il grado d’intensità della dipendenza funzionale di questi organi.