Durante il IV Governo Berlusconi, in carica dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011, il Ministro della Giustizia, on. Angelino Alfano, ha presentato due d.d.l. di riforma del c.p.p. e del Titolo IV della Costituzione.
Il primo d.d.l., n. 1440, comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica in data 10 marzo 2009, introduceva, fra l’altro, «disposizioni in
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materia di polizia giudiziaria, indagini preliminari, notizia di reato e registri penali» in un’ottica di complessivo ridimensionamento del ruolo del p.m. che diventava così, secondo le indicazioni del Guardasigilli, un «avvocato dell’accusa».
In particolare, il comma 1 dell’art. 55 c.p.p. «La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati» era sostituito con «La polizia giudiziaria deve prendere di propria iniziativa e ricevere notizia dei reati» come a dire che l’attività di ricerca del reato era propria delle sole forze di polizia e non poteva essere “sollecitata” da altri soggetti, quali, appunto, il p.m. Fra l’altro, l’art. 330, rubricato «Acquisizione delle notizie di reato», veniva conseguentemente modificato nel senso di limitare la possibilità di acquisizione da parte del p.m. ai soli casi di presentazione o trasmissione delle notitiae criminis: in tal modo si introduceva un “filtro” che avrebbe consentito all’Esecutivo di “agire” sulla p.g. per evitare che alcune notizie di reato venissero portate a conoscenza dell’a.g. Tale lettura appare peraltro confermata dal novellato art. 326 c.p.p., il quale prevedeva che le determinazioni del p.m. in merito all’esercizio dell’azione penale sarebbero state assunte «tenuto conto anche dei risultati delle indagini della p.g.».
Per chiudere il quadro dei rapporti tra p.m. e p.g., l’art. 56 c.p.p. veniva modificato poi nel senso di porre alla dipendenza e sotto la direzione dell’a.g. le sole sezioni di p.g., mentre i servizi e gli ufficiali e gli agenti appartenenti agli «altri organi» venivano posti semplicemente sotto la sua direzione. In tal modo, la p.g. veniva quasi completamente sottratta alla “dipendenza” dell’a.g., con buona pace del principio costituzionale ex art. 109.
Il secondo d.d.l., stavolta di revisione costituzionale, veniva invece presentato alla Camera dei Deputati qualche anno dopo, precisamente il 7 aprile 2011. Il d.d.l., fortemente sostenuto dal Presidente del Consiglio, “riscriveva” completamente il Titolo IV della Parte II della Costituzione, modificandone finanche il titolo «La Giustizia» - e non più «La Magistratura». Come osservato dalla dottrina181, «uno dei principi ispiratori dell’intera riforma era la volontà di affermare una netta distinzione dei ruoli tra giudici e pubblici ministeri».
181 E. Tira, Una prima lettura del disegno di legge costituzionale di Riforma del Titolo IV, Parte II
della Costituzione, pubblicato nella rivista Associazione Italiana dei Costituzionalisti n. 2/2011 in
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Quanto alla p.g. e ai rapporti tra questa e l’a.g, e tralasciando le altre (pur importanti) proposte di modifica, il d.d.l. riformulava l’art. 109 Cost. con la previsione secondo la quale «Il giudice e il p.m. dispongono della p.g. secondo le modalità stabilite dalla legge». Veniva quindi meno il riferimento alla “disponibilità diretta” della p.g. dall’a.g., mentre si affidava alla legge l’individuazione delle modalità attraverso le quali era consentito al giudice e al p.m. “disporre” della p.g.: la legge, e non più la Costituzione, avrebbe garantito il “contatto” fra p.m. e p.g. La legge, e quindi le maggioranze politiche, avrebbero codificato il quando, il come e il perché del “dialogo” fra la Magistratura e la polizia. In sostanza, si sarebbe registrato, insieme alla proposta di modifica del c.p.p. analizzata supra, «un significativo temperamento della dipendenza funzionale dal p.m. della p.g., con conseguente “valorizzazione”182 della dipendenza gerarchica di quest’ultima dal potere esecutivo, il quale avrebbe potuto dunque esercitare una maggiore influenza183 sulle attività di indagine da essa condotte»184. Fra l’altro, il d.d.l. modificava anche l’art. 112 Cost. nel senso di prevedere sì l’obbligatorietà dell’azione, ma di subordinarne l’esercizio ai «criteri stabiliti dalla legge».
La riforma costituzionale proteggeva così l’eventuale approvazione delle modifiche al c.p.p. dalla “scure” della Corte costituzionale, come a dire che il Governo, dopo aver presentato il progetto di riforma del c.p.p., ben si era accorto della sua incostituzionalità ed era “corso ai ripari” – e che ripari!, proponendo la contestuale modifica del Titolo IV.
182 L’autrice richiama L. Ferrarella, Se i poliziotti indagano senza dirlo ai pm, in Corriere della
Sera, 11 marzo 2011, p. 56.
183 Si vedano le dichiarazioni, nel quotidiano La Repubblica del 12 marzo 2011, di Claudio
Giardullo, Segretario generale del sindacato di Polizia Silp-Cgil secondo il quale «..questa modifica sposterebbe il baricentro delle indagini dalla magistratura all’esecutivo. E con l’indicazione da parte del Parlamento dei reati che dovrebbero essere perseguiti prioritariamente, si completerebbe il disegno del controllo politico delle indagini.. E’ un controllo di legalità addomesticato quello che il disegno di legge di riforma propone, e la posta in gioco, dietro le questioni di ingegneria costituzionale, è la difesa della libertà e dei diritti dei cittadini»
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APITOLOIII
I RAPPORTI TRA P.M. E P.G. NEL DIRITTO VIGENTE
1. Premessa
Non si può negare che lo studio dei rapporti tra il p.m. e la p.g., soprattutto a livello operativo, sia piuttosto problematico. Da un lato, c’è infatti il rischio che il p.m. agisca da investigatore più che da responsabile delle indagini, distorcendo inevitabilmente il suo ruolo all’interno del procedimento; dall’altro, invece, c’è il pericolo che la polizia perda interesse nell’attività di p.g. o che, all’opposto, agisca “di testa propria” facendo perdere al p.m. il controllo delle indagini.
“Sulla carta”, invece, la definizione di tali rapporti appare sicuramente più semplice. Per questi motivi, sembra opportuno partire proprio da un’analisi di tipo teorico delle disposizioni del codice di procedura (art. 55 e ss.), lasciando al prosieguo dello studio la discussione di quanto avviene nella prassi degli uffici.
Per quanto riguarda, innanzitutto, l’organizzazione della p.g., la disciplina di base è contenuta nel codice di procedura penale all’art. 56 il quale prevede, richiamando così l’art. 109 della Costituzione, che «le funzioni di p.g. sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria», da parte di tre diversi soggetti, ovvero: i servizi di p.g. previsti dalla legge; le sezioni di p.g. istituite presso ogni Procura della Repubblica e composte con personale dei servizi e gli ufficiali e gli agenti di p.g. appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato.
In questo capitolo, si analizzeranno i diversi rapporti tra il p.m. e la p.g. cercando di individuare, per ogni soggetto che svolge funzioni di p.g., il grado di dipendenza dalla magistratura requirente.