109 Cost.
Negli anni successivi, la Corte Costituzionale, operativa dal 1956, intervenne più volte per chiarire la portata applicativa dell’art. 109 Cost., in un ottica quasi sempre limitativa e senza mai dichiarare l’incostituzionalità di alcuna norma per violazione di tale precetto costituzionale.
Il 12 luglio 1962, il Pretore di Moncalieri sollevò questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del c.p.p. in riferimento agli artt. 28 e 109 della Costituzione. La norma impugnata, poiché conferiva al Ministro della Giustizia «la facoltà di sottrarre gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza o di p.g. alle conseguenze di reati da loro commessi in servizio», non solo introduceva, a parere del Pretore, una limitazione al principio della responsabilità dei funzionari dello Stato ex. art. 28 Cost. ma violava altresì l’art. 109 in quanto realizzava un «rapporto di dipendenza gerarchica degli organi di p.g. rispetto al Governo». La Consulta, tuttavia, dichiarò175 l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 del c.p.p. in riferimento al solo art. 28 Cost. in quanto la questione di legittimità non aveva fondamento, secondo i giudici, se riferita all’art. 109. Il potere dell’a.g. di disporre direttamente della p.g. non subiva infatti alcuna limitazione ad opera né dell’art. 16 c.p.p. né dei rapporti di dipendenza gerarchica fra gli organi di p.g. e il Governo. Secondo i giudici, l’art. 109 Cost. configura infatti un rapporto fra p.g. e a.g. di «subordinazione meramente funzionale», e tale da non determinare «collisione alcuna» con il rapporto organico di «dipendenza burocratica e disciplinare» della p.g. dall’Esecutivo.
Nella successiva s. 114 del 1968, la Corte176 dichiarò invece non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 349177
, ult. comma, prima parte del
175 Sentenza n. 94 del 1963. La Corte è presieduta da Gaspare Ambrosini, già deputato
dell’Assemblea Costituente con la DC, illustre docente universitario e magistrato. Fra gli altri componenti, si ricordano: N.Jaeger, B.Petrocelli, C.Mortati, A.Sandulli.
176 Presieduta dal prof. Aldo Sandulli e composta, fra gli altri, da C.Mortati e V.Crisafulli.
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c.p.p. sollevata dal giudice istruttore del Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 109 e 3 Cost. I giudici, dopo aver sostenuto che l’art. 109 risultava estraneo alla materia delle prove - e di quelle testimoniali in specie, ribadirono che tale disposizione costituzionale aveva il «preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della p.g. dalla autorità giudiziaria», escludendo così «interferenze» da parte di altri poteri nella conduzione delle indagini.
Con ordinanza 14 agosto 1969, il Pretore di Chieri lamentava l’incostituzionalità della previsione ex artt. 1,2,3 del d.P.R. 932 del 1955 secondo cui il Procuratore generale aveva il potere di direzione e di vigilanza non già dell’intera categoria di soggetti aventi qualifica di p.g., bensì dei soli appartenenti ai nuclei di p.g. istituiti dal predetto decreto. Secondo il giudice, le norme censurate violavano i limiti stabiliti dalla legge di delega e, quindi, gli artt. 76,77 e 109 della Cost. La Corte178, «tanto coraggiosa in altre occasioni [...], in questo caso si è mostrata particolarmente chiusa»: secondo i giudici, infatti, il decreto delegato non violava la legge di delega perché la legge del 1955, modificando l’art. 220 c.p.p., si riferiva ai soli nuclei. Inoltre, in relazione all’art. 109, nessuno, in seno all’Assemblea costituente, voleva estendere la disponibilità della p.g. dal p.m. «a tutto quel vasto complesso di soggetti, cui l’art. 221 del c.p.p. attribuisce la qualifica di ufficiali e agenti di p.g.». Si trattò, a ben vedere, di argomentazioni contrarie alla realtà storica. In verità, la motivazione della Corte si basava su «considerazioni generali di opportunità»179, ovvero sul fatto che le conseguenze derivanti dall’accoglimento della questione di costituzionalità sarebbero state politicamente inopportune dato che, come ricordato dalla stessa Corte, «si sarebbe inciso sull’adempimento della funzione di mantenimento dell’ordine pubblico, pure affidata alle forze medesime, della quale il Governo assume la responsabilità».
Nel 1974, con le sentenze n. 190 e 300, la Corte dichiarò non fondate due questioni di legittimità costituzionali per “estraneità” del parametro ex art. 109 Cost. alle norme censurate. Tralasciando qui l’analisi del primo caso, è opportuno
delle persone che hanno ad essi fornito notizie»
178 Si veda la s. 16 giugno 1971 n. 151 179 Vedi Zagrebelsky, Magistratura, 246
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invece riflettere sul secondo: il giudice a quo lamentava una violazione dell’art. 109 Cost. in relazione all’art. 141 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice di dare direttive alla p.g. al momento della trasmissione di delazioni anonime. La Corte, dopo aver affermato, in modo piuttosto semplicistico, che il precetto costituzionale invocato era «da ritenersi del tutto estraneo al problema […] in esame», chiarì che, in ogni caso, la norma impugnata «non menoma il potere del giudice di impartire alla p.g. le istruzioni e direttive». In questo senso, i giudici sembravano suggerire l’utilizzo di una interpretazione conforme a Costituzione: era ben vero che l’art. 141 c.p.p. non prevedeva espressamente la possibilità per il giudice di dare direttive alla p.g., ma, poiché tale potere era previsto da una disposizione di rango costituzionale, occorreva interpretare tale disposizione nel senso di prevedere l’esistenza del potere.
Nel 1976180, la Corte venne chiamata a giudicare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 226 bis, ter e quater, nelle parti in cui escludevano che il Pretore, in alcuni reati di sua competenza, potesse autorizzare la p.g. ad eseguire intercettazioni telefoniche - riservandole invece al Procuratore della Repubblica o al giudice istruttore del luogo dove sono svolte le indagini. La Corte, in relazione alla presunta violazione dell’art. 109, affermò che la norma non sottraeva affatto la p.g. dalla dipendenza del Pretore, precludendo soltanto a quest’ultimo il compimento di determinati atti.