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4.3 Il difensore civico e il diritto di accesso.

Tra le funzioni del difensore civico, meritano una menzione quelle in materia di accesso ai documenti amministrativi. La legge n. 340 del 2000 (art. 15), che ha sostituito il comma 4 dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990, ha previsto, infatti, una tutela extragiudiziale del diritto di accesso ai documenti amministrativi. La norma ha introdotto in sostanza un rimedio amministrativo. La riforma della legge sul procedimento amministrativo ha previsto che, «In caso di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento ai sensi dell'art. 24, comma 6, dell'accesso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale […] ovvero chiedere, nello stesso termine, al difensore civico competente che sia riesaminata la suddetta determinazione». Il difensore civico, interpellato dall’interessato, se «ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l'ha disposto. Se questi non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito». La possibilità di adire il

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Sulla storia e sullo sviluppo del sistema dei controlli sugli enti locali, sia consentito il rinvio a NASSIS C., “I controlli sugli enti locali dopo la riforma costituzionale del titolo V”, in Nella P. A. che cambia … note e commenti a margine del 3° Corso di Diritto Pubblico (a cura di Alfonso De Stefano), Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale – Scuola Interregionale di Campania e Basilicata, 2005.

giudice amministrativo è stata salvaguardata, prevedendo che qualora «il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico, il termine [per proporre ricorso al tribunale amministrativo regionale] decorre dalla data del ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico». Si è previsto in sostanza un potere di

remand all’autorità amministrativa ai fini di un riesame dell’istanza di

accesso, che si sviluppa nell’ambito di un procedimento giustiziale vero e proprio, avente natura sostanziale di ricorso amministrativo (v. parag. successivo). Pertanto, quantunque privo di effetti vincolanti, l’intervento del difensore civico può svolgere una utile funzione di stimolo istruttorio, costringendo l’amministrazione interessata a valutare funditus la questione ostensoria e a motivare meglio l’eventuale (reiterato) rifiuto. Un altro profilo interessante di questa particolare procedura di ricorso è il fatto che essa sembra porre le basi per la creazione di un rapporto privilegiato fra il difensore civico e ed il giudice amministrativo in materia di accesso, in virtù del quale il primo può assumere le vesti di una sorta di amicus curiae. Lo sviluppo di questa possibile collaborazione istituzionale è tuttavia seriamente compromessa dall’assenza di un difensore civico nazionale e, soprattutto, dalla non sempre eccellente qualificazione giuridica di molti difensori civici locali.

Il meccanismo giustiziale appena descritto è stato successivamente riformato dalla legge n. 15 del 2005, che ha tentato di porre rimedio ad alcune imperfezioni procedurali emerse nella pratica ed ha colmato alcune lacune sostanziali. Sono state, infatti, specificate le competenze tra i vari livelli di governo, precisando che è possibile «chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione [di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento]. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è

inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 nonché presso l’amministrazione» (quest’ultimo onere di comunicare la richiesta anche alla amministrazione è stato introdotto dall’articolo 8, comma 1, legge n. 69 del 2009). Sotto un profilo procedurale ed a fini evidentemente acceleratori, si è anche previsto che «Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto». La disposizione configura evidentemente una ipotesi di silenzio-rifiuto testuale, con l’intento di abbreviare i tempi di accesso alla tutela giurisdizionale. Dal punto di vista sostanziale, la legge n. 15 del 2005 ha introdotto un meccanismo di coinvolgimento (nel procedimento di riesame giustiziale) della autorità posta a presidio dei dati personali. Sicché, «Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione [ma la norma sembra pacificamente riferibile anche al difensore civico regionale o locale] provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso».

IV.4.4. La natura giuridica dell’intervento del difensore civico in tema di accesso ai documenti amministrativi.

La finalità (solo parzialmente raggiunta) del descritto procedimento, obiettivamente farraginoso e complicato, sembra essere quella di scongiurare, ove possibile, il ricorso al giudice amministrativo, per evitare, nell’interesse del ricorrente, i costi della tutela giudiziaria e per smaltire più agevolmente, nell’interesse dell’amministrazione della giustizia, il contenzioso sull’accesso, che spesso ha ad oggetto interessi strumentali indiretti. Non è pacifica la natura del rimedio amministrativo introdotto dall’art. 25, della legge 241 del 1990. Secondo la tesi maggiormente accreditata, esso sarebbe un ricorso gerarchico improprio. Tale opinione è stata autorevolmente enunciata in un’articolata decisione del Consiglio di Stato (sez. VI, 27

maggio 2003, n. 2938, peraltro risalente ad epoca anteriore alla riforma della legge n. 241/90), nella quale si affermava l’ammissibilità, nella materia dell’accesso, di «un ricorso di tipo amministrativo, comunque configurato o denominato (riesame, ricorso gerarchico proprio, ricorso gerarchico improprio, ecc.)», tale essendo «sicuramente l’intenzione del legislatore, che [….] ha previsto un ricorso amministrativo al difensore civico (che si configura come una sorta di ricorso gerarchico improprio) e che nell’Atto Senato n. 1281 ha previsto anche un analogo ricorso amministrativo alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi […] (anch’esso configurabile come ricorso gerarchico improprio)» (l’A.S. n. 1281 è poi divenuto la l. n. 15 del 2005). A tale qualificazione sembrerebbe ostare il rilievo che nei procedimenti giustiziali si ha di norma una completa devoluzione della res controversa all’autorità decidente293, caratteristica non ravvisabile nel «ricorso» ex art. 25 cit., il cui accoglimento comporterebbe un mero invito, rivolto all’«autorità disponente», a riesaminare la propria determinazione negativa (ovvero, nel caso di inerzia, a provvedere sull’istanza del privato), con conseguente apertura di un nuovo segmento procedimentale suscettibile di concludersi con la motivata conferma del diniego (si tratterebbe in altre parole di una richiesta di riesame del diniego “mediata” dall’intervento della Commissione o del difensore civico).

Rilevanti dati letterali e sistematici hanno tuttavia indotto buona

parte della giurisprudenza294 a preferire la prima opinione, dal

momento che le norme di legge e regolamentari che delineano il procedimento innanzi al difensore civico o alla Commissione nazionale configurano in modo chiaro un iter di tipo giustiziale (si

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Nel senso che all’accoglimento del gravame consegue l’annullamento o la riforma, laddove siano dedotti vizi di merito, dell’atto impugnato, che per tale via viene eliminato dall’ordinamento giuridico ovvero modificato.

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Per tutte, Sentenza, T.A.R. Roma Lazio, sez. I, 5 maggio 2008, n. 3675, in http://www.giustizia-amministrativa.it .

pensi alle disposizioni sui termini, sui presupposti di ammissibilità, sul contraddittorio, sull’istruttoria, sulla decisione). Il rapporto tra la decisione sul ricorso ex art. 25 e la successiva azione giurisdizionale risulta perciò definito dai principi generali della materia. Ne consegue innanzitutto che il trasferimento in sede giurisdizionale di una controversia instaurata in sede gerarchica può avvenire solo quando il procedimento giustiziale sia stato correttamente instaurato, ciò discendendo dalla necessità di evitare facili elusioni del termine decadenziale previsto per l’esercizio dell’azione innanzi al giudice amministrativo. Tale principio è applicabile anche all’actio ad

exhibendum in quanto, come chiarito da Cons. Stato, Ad. plen., 18

aprile 2006, n. 6, la natura impugnatoria del relativo ricorso prescinde dalla natura della situazione giuridica soggettiva sottostante295.

In secondo luogo, verificata la rituale introduzione del rimedio amministrativo, non sembrano sussistere ostacoli alla cognizione diretta da parte del giudice anche dell’originario provvedimento impeditivo dell’accesso. Ciò si può agevolmente desumere: a) dal tenore dei ridetti commi 4 e 5 dell’art. 25, dai quali risulta che l’azione giurisdizionale ha ad oggetto le «determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso» ancorché siano stati previamente aditi il difensore civico o la Commissione; b) in via sistematica, dalle finalità di semplificazione e di favor perseguite dalla normativa in esame, dovendosi altresì tener conto della circostanza che l’accesso ai documenti amministrativi attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ex art. 117, secondo comma, lettera

m, della Costituzione296.

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Non sembra infirmare tale ragionamento l’art. 12, comma 8, del d.P.R. n. 184/06, ai sensi del quale «la decisione di irricevibilità o di inammissibilità del ricorso non preclude la facoltà di riproporre la richiesta d’accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento del soggetto che detiene il documento», occorrendo apprezzare la portata della norma alla luce del sistema di preclusioni individuato dalla citata Ad. plen., n. 6/2006 (in D&G - Dir. e giust., 2006, 22, p. 121) e in particolare della regola secondo cui è inammissibile un’istanza di accesso che reiteri puramente e semplicemente quella respinta.

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Cfr. Corte cost., 1 dicembre 2006, n. 399, in Giur. cost., 2006, 6; Diritto &