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5.2 La funzione di custode del trattato della Commissione.

La rule of law è il principio fondante dell’Unione europea. Uno dei compiti più importanti della Commissione è quello di garantire il

rispetto e l’applicazione del Trattato197. L’articolo 226 del TCE

introduce una procedura generale in base alla quale la Commissione può contestare e sottoporre alla Corte di giustizia eventuali infrazioni del diritto comunitario da parte degli Stati membri. La Commissione può avviare indagini di propria iniziativa, sulla base di denunce o a seguito delle richieste del Parlamento europeo di trattare le denuncie recate nelle petizioni presentate a norma dell’articolo 194 del TCE. Altre procedure si applicano in relazione a questioni specifiche, come gli aiuti di Stato illegali. L’Ombudsman riceve e si occupa dei reclami contro la Commissione nel suo ruolo di custode del

trattato198. Per quanto riguarda gli obblighi procedurali della

Commissione nei confronti dei denuncianti, il principale punto di

riferimento dell’Ombudsman è una Comunicazione199 pubblicata dalla

197

L’art. 211 del TEC assegna alla Commissione il compito di «vigila[re] sull'applicazione delle disposizioni del presente trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del trattato stesso».

198

Quando l’Ombudsman apre un’inchiesta su tale tipo di denuncie, è sempre attento a rendere chiaro al reclamante che l’indagine non esaminerà se vi sia stata una infrazione delle norme comunitarie ai sensi dell’art. 226 TCE, perché l’Ombudsman europeo non ha un mandato per investigare le azioni delle autorità degli Stati membri.

199

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Mediatore europeo relativa ai rapporti con gli autori di denunce in materia di violazioni del diritto comunitario (COM/2002/0141 def.), in GuUE 2002, C 244, pag 5. La Comunicazione prevede che, come regola generale, «i servizi della Commissione possono proporre al collegio dei Commissari di decidere la costituzione in mora dello Stato membro interessato e quindi l'avvio del procedimento per infrazione, oppure l'archiviazione della pratica», entro il

Commissione stessa nel 2002, in risposta ai rilievi critici formulati dell’Ombudsman all'atto dell'archiviazione del reclamo P.S.

Emfietzoglou - Macedonian Metro Joint Venture (Rif. 995/98/OV).

Nel caso 3453/2005/GG200, un medico tedesco aveva denunciato,

nel 2001, alla Commissione europea presunte violazioni della Germania nel conformarsi alla normativa dell'Unione in materia di orario di lavoro, in particolare per quel che concerneva il tempo di

‘guardia’ dei medici negli ospedali. A seguito di un reclamo

presentato nel 2003, l'Ombudsman europeo aveva ritenuto fondate le contestazioni del denunciante. Aveva osservato, tuttavia, che la Germania aveva recentemente introdotto una nuova normativa in quel settore e che la Commissione doveva ancora esaminarla. Partendo dal presupposto che la Commissione non sarebbe dovuta incorrere in ulteriori ritardi nel trattare la denuncia d'infrazione del reclamante, l’Ombudsman ha quindi chiuso la sua indagine. Nel 2005, il medico tedesco si rivolgeva nuovamente all’Ombudsman. Nel suo nuovo reclamo, il denunciante, in sostanza, ha ribadito che la Commissione non aveva trattato la sua denuncia di infrazione entro un congruo periodo di tempo. L’Ombudsman europeo ha dunque avviato una nuova indagine. Nel suo parere di replica, la Commissione ha posto in rilievo che, nel settembre del 2004, aveva presentato al legislatore comunitario una proposta di modifica della direttiva pertinente. La Commissione ha quindi sottolineato che avrebbe esaminato il reclamo di denuncia dell’infrazione alla luce di quella proposta e delle discussioni in corso con le altre istituzioni comunitarie. L’Ombudsman ha ritenuto che la mera presentazione di una proposta di modifica della direttiva non consentiva alla Commissione di eludere

termine di «un anno a decorrere dalla registrazione della denuncia ad opera del segretariato generale». Il Punto 3 della Comunicazione definisce i casi in cui le informative «non possano essere esaminate come denunce e non vengono quindi iscritte nel registro centrale delle denunce», in tali circostanze il Segretariato generale informa l’autore della informativa, con lettera semplice, che «i servizi della Commissione [hanno deciso] di non registrare la comunicazione scritta come denuncia,… precisando il o i motivi di cui al punto 3, secondo comma».

200

il suo obbligo di garantire che la direttiva in vigore fosse rispettata da parte di tutti Stati membri. Ha inoltre ritenuto che l’indubbio potere discrezionale della Commissione in materia di presunte violazioni del diritto comunitario da parte degli Stati membri non la abilita a rinviare a tempo indeterminato la definizione di una procedura di infrazione sulla base del fatto che la normativa applicabile potrebbe essere modificata nel futuro. L’Ombudsman europeo ha, pertanto, formulato un progetto di raccomandazione, invitando la Commissione a trattare la denuncia di infrazione del medico tedesco rapidamente e con la massima diligenza. Nel suo parere circostanziato, la Commissione ha

però mantenuto la sua posizione iniziale. Di conseguenza,

l’Ombudsman ha presentato una relazione speciale al Parlamento riguardo a questo caso.

Nel caso in cui 1166/2006/WP201, il reclamante, un cittadino

tedesco, era stato condannato per possesso illegale di armi da un tribunale tedesco nel 1997. Ciò nonostante, nel 1998, il reclamante, per il medesimo episodio, era stato condannato in contumacia a sedici anni di carcere anche da un tribunale italiano. Nel 2002, fu arrestato sulla base di un mandato di cattura internazionale e fu posto in stato di detenzione. Nel 2003, l’avvocato del reclamante ha esposto alla Commissione questo caso, affermando che il giudice italiano aveva violato il principio del ne bis in idem, che impedisce di essere giudicati due volte per lo stesso reato (in tedesco: «nicht zweimal in

derselben Sache»). La Commissione ha replicato che non era competente ad esaminare le decisioni delle autorità giudiziarie e che non era possibile avviare una procedura di infrazione contro uno Stato membro in materia penale. La Commissione ha inoltre soggiunto che l’unica condotta attuabile in tali casi sarebbe quella di proporre, ai sensi dell'articolo 35 (7) del TUE, una controversia dinanzi alla Corte di giustizia europea sull’interpretazione di un accordo come, per esempio, la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen,

che ha introdotto il principio del ne bis in idem a livello

201

europeo. Tuttavia, dato che mancavano alcuni dati rilevanti, la Commissione ha consigliato all'avvocato denunciante di portare avanti la difesa del suo assistito a livello nazionale. Nel 2005, dopo la decisione sfavorevole di una corte d'appello italiana, la Commissione ha infine concluso che non sussistevano ragioni sufficienti per intervenire. Nella sua denuncia all’Ombudsman europeo, il reclamante ha sostenuto invece che la Commissione avrebbe dovuto agire. La Commissione, nel successivo parere, ha spiegato che aveva menzionato l’articolo 35 (7) del TUE perché il giudice italiano aveva dichiarato, nella sentenza del 1998, che il principio del ne bis in idem

internazionale non era applicabile in Italia. Tuttavia, questa

dichiarazione non era stata confermata dalle successive decisioni dei giudici italiani. Pertanto, non vi era alcun sintomo di un generale contrasto interpretativo tra la Commissione ed il sistema giudiziario italiano. In merito a questo caso, l’Ombudsman ha ricordato che l’area del diritto europeo relativa alla cooperazione giudiziaria in materia penale è ancora prevalentemente decisa attraverso procedure intergovernative, di tal che le possibilità di intervento della Commissione sono piuttosto limitate. Inoltre, a parere dell’Ombudsman, la scelta della Commissione di non dare ulteriore seguito alla questione, posto che i tribunali italiani avevano ormai generalmente recepito il principio del ne bis in idem internazionale, è parsa ragionevole. Pertanto, l’Ombudsman ha chiuso il caso senza riscontrare ipotesi di maladministration.