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Il diritto a non essere curat

3 Le dimensioni del diritto alla salute: diritto all’integrità psico-fisica

3.4 Il diritto a non essere curat

Il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente nella sua accezione positiva configura quindi la scelta di curarsi, per il raggiungimento di quello che è stato definito, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come concetto di salute, ovvero “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”.

Vediamo che il diritto all’autodeterminazione può avere un’accezione negativa, in riferimento alla scelta del paziente di non curarsi, in particolare per quanto riguarda le cure salvavita, entrando in campo “il difficile bilanciamento con il diritto alla vita ed il fisiologico coinvolgimento di questioni etiche ed esistenziali che riflettono concezioni personali della salute, della vita e della qualità della vita”95

. L’art. 32, comma secondo della Costituzione recita: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”96.

Il diritto del paziente a non sottoporsi alle cure mediche può comportare, in alcuni casi, ad una diretta conseguenza, riconducendolo ad un diritto a morire, o meglio, al diritto di lasciarsi morire97.

L’art. 32 in origine non perseguiva tale fine. Probabilmente i padri costituenti non arrivarono a supporre, che dalla lettura costituzionale della disposizione, potesse configurarsi una sorta di diritto negativo in capo all’individuo, di far sopraggiungere la morte per malattia, esigendo dai medici il rispetto della propria scelta98.

La giurisprudenza è da tempo pressoché unanime nel ritenere che in caso di paziente capace e, quindi, in pieno possesso delle proprie capacità mentali, nessuna cura, nemmeno nel caso in cui si

95 Sesta M., opera citata, cit. p. 218. 96

Costituzione Italiana, art. 32, comma secondo. 97 D’Onofrio P., opera citata, p. 82.

98 Salvino T., 2013, “Il diritto a rifiutare le cure mediche nell’ordinamento italiano con particolare riferimento ai casi Welby ed Englaro: un tacito riconoscimento?”, www.diritticomparati.it.

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ritenga indispensabile alla sopravvivenza, possa essere cominciata o proseguita in presenza di espresso dissenso (purché informato, autentico ed attuale)99.

Il principio di autodeterminazione in ambito sanitario deve essere considerato lo strumento attraverso il quale il soggetto esterna le sue più intime convinzioni, ovvero la sua concezione in merito alla qualità della vita e della salute, per cui non può non ritenersi che all’interno di tale principio sia “ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso fino alle estreme conseguenze”100

.

Se dovessimo analizzare tale prospettiva intorno all’art. 5 del Codice Civile che vieta atti di disposizione del proprio corpo che “cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”, vediamo che, secondo l’interpretazione dominante, esso potrebbe vietare solo gli atti di disposizione del proprio corpo “positivi” ma non anche quelli “negativi” , dove va ricompreso il rifiuto alle cure mediche.

Cosicché l’art. 5 del Codice Civile non potrà essere punto di riferimento per poter invalidare un eventuale dissenso del paziente e neppure legittimare un intervento autonomo del medico101.

Ogni soggetto ha dunque il diritto al rispetto del proprio rifiuto di atti terapeutici: non solo in tema di accanimento terapeutico ma avverso qualsiasi atto compiuto su di esso, contro la sua volontà, costituisce offesa alla sua libertà, anche se è diretto alla salvaguardia del suo benessere102.

In questo modo non viene messo in ombra il reale titolare del bene, ossia il malato, che è portatore di un’autonomia che può essere

99 Cfr. giurisprudenza di legittimità penale: Cass. Pen. 13 maggio 1992, n. 5639,in cass. pen. 1993,p.33; Cass.pen. 29 maggio 2002, n. 26556, in Cass. Pen., 2003,p.2659.

100

Cass.pen., 13 maggio 1992, n.5639, cit.

101 Romboli R., 1994, La libertà di disporre del proprio corpo, art. 5 estratto dal

volume delle persone fisiche, art. 1-10, commentario del codice Scialoja- Branca,

Zanichelli, Bologna. 102

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soppressa, e quindi limitata, solo in determinati casi che sono previsti dal legislatore103.

In presenza di un rifiuto alle cure, l’astensione del medico è da ritenersi oltre che legittima anche doverosa; così in tale prospettiva il Tribunale di Roma104 ha dichiarato il non luogo a procedere per la sussistenza dell’esimente dell’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) nei confronti del medico che ha proceduto all’interruzione della ventilazione artificiale che teneva in vita il paziente105.

La condotta del sanitario che si determini in contrasto con la volontà del paziente è da ritenersi inaccettabile sia sotto il profilo costituzionale, andando a ledere il principio di autodeterminazione e della libertà personale, ma anche sotto il profilo deontologico.

Il Codice di Deontologia Medica all’art. 35 prevede che “in presenza di documento rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”106

.

Ciononostante, l’eventuale rifiuto della persona assistita deve essere consapevole e rilasciato previa “informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle conseguenze dei suoi rischi”107

.

La Corte di Cassazione, chiamata ad effettuare un bilanciamento tra il dovere di intervento medico e libertà di autodeterminazione del paziente, ha riconosciuto, nell’ambito dell’alleanza terapeutica, l’esistenza di un compito di persuasione del

103 Pezzini B., 2003, “La scelta terapeutica tra esercizio di potere e assunzione di responsabilità (profili costituzionali del caso Di Bella)”, in E. Bruti Liberati (cur.),

Diritto alla salute e terapie alternative: le scelte dell’amministrazione sanitaria e il controllo dei giudici, Giuffré, Milano 2003.

104 Tribunale di Roma, 23 luglio-17 ottobre 2007, n. 2049. 105 Caso Welby.

106

In tal senso cfr. Cassazione civile n. 21748/2007. 107

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medico e di un corrispondente dovere di ricerca delle ragioni che hanno portato il paziente ad esprimere il proprio dissenso.

In merito, la fattispecie aveva ad oggetto un paziente che, lamentando un dolore retrosternale che si estendeva lungo il braccio sinistro, si rivolse presso il proprio medico di fiducia, il quale, diagnosticò un infarto grave in atto ed invitava il paziente all’immediato ricovero ospedaliero. Tale ricovero non avvenne a causa del fermo rifiuto da parte del paziente, portando lo stesso alla morte dopo circa un’ora dal rientro presso la propria dimora.

Nel ricorso in Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone rilevava la violazione degli obblighi del medico nei confronti del proprio paziente. La Corte ha respinto tale posizione, ritenendo di escludere che il medico avesse adottato una condotta tale da mancare ai propri doveri assistenziali perché, di fatto, dinnanzi ad un reiterato e fermo rifiuto solo una violenta azione di costringimento avrebbe sortito l’effetto richiesto.

Nel caso di specie, vediamo che non potevano essere imposte in maniera coattiva né le cure, né il trasporto alla clinica, visto il divieto dei trattamenti sanitari obbligatori se non quelli previsti dalla legge108.