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La vita come diritto indisponibile

1 Premessa: le domande da pors

1.4 La vita come diritto indisponibile

Nel mondo odierno, dove si muovono e si scontrano diversi diritti e doveri fondamentali, non è più concepibile un silenzio da parte del legislatore in merito alle questioni della vita.

Un silenzio, che comunque, ha cercato di trovare una risposta sonora con le iniziative promosse dai Comuni attraverso la predisposizione di registri dove depositare il proprio testamento biologico, seguendo modelli di riferimenti differenziati.

Parte della dottrina ritiene necessario, non un intervento ordinario, ma una copertura costituzionale in merito, muovendo dal sentimento di fondo che, affidare ad una disciplina comune il compito di vuotare tale silenzio, nient’altro sarebbe che un tragico errore.

Questa considerazione è fondata su motivazioni forti: si vuole dare un peso maggiore alla normativa che rischierebbe di essere modificata successivamente a colpi di maggioranza con una nuova legislatura17; ed inoltre, in questo modo, sarà necessaria una maggiore ponderazione in materia, dato il criterio della doppia votazione ex art. 138 Cost.

17Ruggeri A., 2009, “Il testamento biologico e la cornice istituzionale”, in www.forumquadernicostituzionali.it, cit.: “E, d’altro canto, al di là di ogni altra considerazione, ha senso – mi chiedo – che all’eventuale cambio di maggioranza possa essere anche integralmente rifatta una legge che discorre di morte e di vita, di volontà dei soggetti e, in ultima istanza, della dignità dell’uomo?.

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Le questioni sulla vita hanno bisogno di una compiuta e dettagliata normativa che si deve basare anche su una continuità, datasi la delicatezza.

Il rischio, pertanto, che potrebbe emergere, è quello di dilatare ancora di più i tempi di una risposta e di appesantire, addossando sulle spalle dei pratici, una responsabilità pressante, come è avvenuto per il noto caso Englaro.

Ma altrettanto rischioso sarebbe un’emanazione ordinaria di una legge troppo veloce, dettata da sentimenti contrastanti e di emozioni che possono, in qualche modo, alterare e non rendere obiettive, per non dire discordanti, le linee della legislazione.

Compiere delle scelte, prescindendo dalle proprie convinzioni ideologie, etiche, religiose di come la normativa debba essere formulata è difficile: perché in ogni legge ci sono dei principi alla base, ed alla base dei principi ci sono i valori di riferimento.

I valori di riferimento nient’altro devono essere che i dettati costituzionali, nella loro naturale portata18; ed è qui che si inserisce l’interpretazione, che si fa da porta-voce e traduttore del dettato costituzionale, che estrapola dalla carta costituzionale principi per calarli nella realtà dove viviamo.

Il costituzionalista Antonio Ruggeri sostiene l’ipotesi che l’etica ed il diritto, tuttavia, non possono godere di una netta separazione altrimenti verrebbe meno la stessa “costituzionalità della Costituzione”19

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18 Ancora Ruggeri A., opera citata.

19 Ruggeri A., opera citata, continua l’autore dicendo: “[…] i principi, che sono norme( di un certo tipo o di una certa “qualità” ma pur sempre norme), se, per un verso, valorizzano i valori, col fatto stesso di trasporli dal mondo del pregiuridico ( degli ideali) al mondo del giuridico ( delle esperienze giuridicamente significanti), per un altro verso però li impoveriscono, nessun enunciato essendo comunque in grado di rendere in tutta la sua purezza e pienezza un valore. Una volta fatto ingresso nel mondo del diritto e ancorché ospitati dalla sua massima espressione giuridica, la Costituzione, i valori subiscono pur sempre riduzioni ed anche deformazioni di senso: l’effetto inevitabile di uno strumento, quello giuridico appunto, comunque imperfetto, storicamente datato, non paragonabile con l’assiologia e l’etica, che si

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Tuttavia il godimento dei diritti presuppone la vita20: questa a certe condizioni è “ragionevolmente disponibile”21, la dignità no22.

Tale impostazione vede nell’art. 32 il proprio fondamento: la salute intesa come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” deve essere garantita dal singolo al cospetto anche degli altri, dato che, è un bene non appartiene solo a lui ma a tutti i consociati.

“Fin quando dunque ciascuno di noi è “utile” alla collettività, deve (dico: deve) tenersi in vita: per sé e, appunto, per gli altri”23.

L’utilità, in detti termini, deve essere assunta nella sua più aulica concezione, connaturata quindi non solo ad un aspetto materiale ma, soprattutto, spirituale; dato che questo è riconosciuto anche al secondo comma art. 4 della Costituzione secondo cui: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”24

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Secondo questa ottica, quindi, che disconosce un diritto a morire dentro il nostro comune pensare di uomo, ed inoltre lo ritiene come bandito dal nostro ordinamento, la disciplina del testamento

distende lungo il tempo, attraversando luoghi anche i più disparati e segnando le vicende che in essi prendono variamente corpo.”

20 Cit. Ruggeri Antonio: “E’ un dato di comune evidenza quello per cui la rivendica di un diritto, in tanto ha un senso, in quanto vi sia la vita; con il che è provato che un diritto alla morte è una contradctio in adiecto. L’intera Carta costituzionale è un inno alla vita, alla promozione sotto ogni riguardo della personalità dell’uomo, non già un invita alla sua distruzione o autodistruzione. Solo una “logica” perversa, portata ad esasperate ( ma contraddittorie) applicazioni, può indurre a qualificare come “diritto” una scelta suicida del soggetto”.

21 Precisazione formulata daFaggioni M., 2007, intervento al forum su “L’eutanasia tra bioetica e diritto”, a cura di Passaglia P. e Romboli R., in Riv. Dir. Cost., 366, fatta con riguardo a casi in cui la vita è spesa per salvare altre vite o, più in genere, per la salvaguardia di beni ancora superiori ( un esempio è anche a riguardo alla donna che mette a rischio la propria vita per portare avanti la gravidanza).

22 Gemma G., 2008, “Dignità umana: un disvalore costituzionale?”, in Quaderni

Costituzionali, 2, p. 379 ss., che fa notare l’impossibilità di proteggere in modo

coattivo la dignità contro lo stesso soggetto, dal momento che “ciò sarebbe in contraddizione insanabile con il principio della sua autodeterminazione e la dignità, in siffatta ipotesi, si convertirebbe in un disvalore costituzionale”.

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Cit. Ruggeri A., opera citata. 24

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biologico non dovrebbe essere improntata ad un’affermazione piena del principio di autodeterminazione del soggetto, dato che entrano in gioco variabili demologiche e morali, anche dal punto di vista della posizione del medico.

Il medico, in questo modo, sarebbe privato di avere un vero e proprio rapporto dialettico con il paziente e mal potrà andare incontro ai suoi desideri in virtù della propria coscienza, qualora essa stessa sia contraria a detti trattamenti.