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La dignità riconosciuta nei confronti del paziente incosciente

costituzionalmente garantito ma ordinariamente respinto

2.2 La dignità riconosciuta nei confronti del paziente incosciente

La dignità dell’esistenza e il diritto di vivere la propria vita alla luce delle proprie convinzioni che caratterizzano l’esperienza individuale di ognuno di noi, sono principi ben saldi all’interno del nostro ordinamento costituzionale.

Nella coscienza comune è avvertita l’esigenza di dover operare una differenziazione tra il malato “autonomo”, il malato capace ma dipendente ed il malato incosciente.

Il primo, alla luce delle sue convinzioni e della propria idea di esistenza dignitosa, ben potrà rifiutare in modo consapevole le terapie, lasciando che la malattia faccia il suo corso; si pensi ad esempio ai malati oncologici che debbano sottoporsi alla chemioterapia od ancora ai malati di fibrosi cistica che devono sottostare ad uno stretto regime antibiotico.

In tali casi vediamo che essi liberamente possono decidere di non curarsi, e danno effettività a tale libertà dato che non hanno bisogno di un intervento esterno per mettere fine alle terapie.

Il malato capace ma dipendente dalla mano esterna, è il classico esempio di Piergiorgio Welby, capace di intendere e di volere ma incapace di effettuare qualsiasi movimento; in questo caso ha dovuto avere un aiuto esterno per esprimere la propria libertà di scelta: il dissenso informato alle cure.

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Ed infine il malato incosciente, un soggetto che è caduto in un limbo oscuro privato delle proprie capacità intellettuali e nell’impossibilità di esternare le proprie convinzioni e dare voce alla propria dignità.

Emerge chiaramente da queste differenze anche la disparità di attuazione della propria volontà; è ovvio che il soggetto incosciente non potrà esprimerla verbalmente al momento della sopravvenuta incapacità, ma ben potrà, esternarla in un momento antecedente; in tal caso sembra, in prima battuta, impossibile non dare corpo ad un verbo precedentemente espresso.

Nel nostro ordinamento vi è il silenzio della disciplina del dibattuto testamento biologico, un decidere ora per allora, per poter evitare di essere in un cosiddetto “purgatorio” di transizione in attesa o di un risveglio o, nella maggioranza dei casi, di trapassare oltre.

La Corte di Cassazione invero nella celebre sentenza 21748/2007, che ha scosso il sentire giuridico comune, ha riconosciuto con determinate condizioni, la possibilità del giudice di autorizzare alla sospensione delle terapie nei confronti del paziente incosciente, dopo un’attenta e compiuta ricostruzione delle volontà presunte dello stesso; in questo modo dando rilievo e forma alla dignità della persona.

Prima di passare alla disamina del caso è opportuno muovere da alcune considerazioni, in particolare, dal compito dello Stato di assicurare la pari uguaglianza della dignità anche nei confronti dei soggetti più deboli, ovvero coloro che versano in uno stato di incapacità.

E’ stato ritenuto in dottrina che “nel caso di paziente consenziente, la doverosità dell’attività medica discende dalla subordinazione della natura intrinsecamente solidaristica dell’attività medica e della tutela della salute (art. 32 comma 1, Cost.) alla componente personalistica della volontà del paziente (art. 32, comma 2, Cost.). Diversamente, nel caso di paziente incosciente o incapace, la

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doverosità del trattamento ha un fondamento esclusivamente solidaristico, non soggetto a essere integrato dalla volontà del paziente, ma eterolimitato dal disposto dello stesso art. 32 comma primo della Costituzione”49.

Dello stesso avviso si perviene anche partendo dal presupposto che il consenso – attuale ed informato – è l’unico strumento per esercitare il diritto riconosciuto nell’art. 32 della Costituzione, portando quindi come conseguenza l’impossibilità per il malato di continuare ad autodeterminarsi, in quanto privo di capacità, e sarebbe futile ragionare intorno al principio di autodeterminazione che di fatto non può operare.

Il venire meno della capacità di agire, se mettiamo al centro del sistema che la volontà del malato deve essere espressa con un consenso esclusivamente attuale ed informato, comporta la vera e propria dissoluzione della libertà di autodeterminazione data l’impossibilità sopravvenuta di esercitare il consenso od il dissenso consapevole.

Notiamo però che “l’art. 3 secondo comma della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea stabilisce che nell’ambito della medicina e della biologia devono essere “in particolare rispettati il consenso libero ed informato della persona interessata” in base a modalità definite dalla legge, infatti, la Costituzione non fa affatto riferimento – per lo meno esplicitamente – al consenso informato ed attuale (e, invero, anche la stessa Carta di Nizza prevede che questo istituto debba essere “in particolare” rispettato, così autorizzando, per la verità, l’interprete a ritenere che esso sia uno strumento privilegiato sì, ma non già unico ed esclusivo, attraverso il quale il soggetto può esercitare la propria libertà di cura)”50.

49 Cit.Giunta F., 1997, “Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione problematica”, in Riv. It. Dir. proc. pen., p. 103.

50 Cit. Pizzetti F.G., 2014, “Diritto di morire? Considerazioni sui principale profili del quadro costituzionale tracciato dalla Corte di Cassazione nella decisione sul “caso Englaro””, Boccagna S. (a.c.d.), Diritto di morire, decisioni senza legge, leggi sulla

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Il silenzio apparente della Costituzione riguardo al

consenso/dissenso attuale ed informato alle cure dovrebbe rafforzare e non svalutare, all’idea di una concezione più aperta alla previsione degli strumenti per l’attuazione del diritto all’autodeterminazione del singolo.

Inoltre prendendo come di riferimento l’art. 2 e 3 della Costituzione vediamo che la “personalità” dell’uomo (in funzione della quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili) non è da cristallizzare in un tempo fermo ma di fatto è ritenuta suscettibile di “svolgimento e “sviluppo”.

In questa ottica gli articoli presi in considerazione accoglierebbero una visione completa del principio personalista, mettendo al centro del sistema costituzionale la persona e non solo il suo “essere attuale” ma anche in una prospettiva di sviluppo della propria personalità, dove la persona è e resta persona, anche qualora perda la capacità di agire51.

L’identità del paziente non si smarrisce nel momento in cui supera la soglia della perdita irreversibile della coscienza (tenuto in vita con il sostegno vitale delle macchine); in tal senso sembra ragionevole che l’ordinamento riconosca all’individuo di realizzare la propria “identità personale” anche in queste condizioni dove l’angoscia e la sofferenza sono le protagoniste.

Per quanto riguarda il caso Englaro la ricostruzione della volontà presunta di Eluana Englaro non si è potuta fondare su di un documento scritto e sottoscritto dalla stessa ma resta pur sempre che la Corte d’Appello, a seguito dell’esito istruttorio, ha ritenuto in maniera inequivocabile che la ragazza non avrebbe voluto condurre una vita dove il suo stato patologico le avrebbe portato ad una assoluta deficienza sensoriale, incapacità di muoversi, di sentire e di parlare e dove la sua sopravvivenza era garantita da un puro sostegno artificiale.

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