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La sentenza 21748/2007 della Suprema Corte: il cambiamento del sentire comune giuridico

costituzionalmente garantito ma ordinariamente respinto

2.4 La sentenza 21748/2007 della Suprema Corte: il cambiamento del sentire comune giuridico

La sentenza 21748/2007 ha enunciato il principio di diritto per il quale “ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre i

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V. Becchi P., 2011, Il testamento biologico, Morcelliana, Brescia, p. 12. “Il progetto di disegno di legge presentato dall’on. Calabrò viene adottato come testo base in Commissione Igiene e Sanità il 19 febbraio, approvato in Assemblea al Senato con alcune modifiche il 26 marzo e trasmesso alla Camera il 31 marzo 2009 (atto della Camera n. 2350 recante titolo di “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”). La sua discussione è stata affidata alla XII Commissione Affari Sociali, dove nell’ottobre del 2009 l’atto n. 2350 è stato adottato come testo base. L’esame degli emendamenti (in sede referente) si è concluso il 12 maggio 2010, il testo è stato trasmesso ad altre Commissioni della Camera che hanno espresso, in sede consultiva, il proprio parere favorevole. La discussione del progetto di legge in Assemblea alla Camera è iniziata il 7 marzo 2011 e si è conclusa con l’approvazione del testo il 12 luglio 2011. Il progetto è quindi stato ritrasmesso in seconda lettura al Senato per via degli emendamenti apportati alla Camera”.

62 www.associazionelucacoscioni.it dove vengono riportate le parole di Beppino Englaro: “Questa è la fine dell’inizio”.

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Testo della sentenza ripreso dall’articolo di Piero Colaprico, giornalista in repubblica.it Milano, in www.milano.repubblica.it

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quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario […]”64

.

La Suprema Corte, nell’affermazione di tale principio, ha riconosciuto la possibilità di sospendere i trattamenti sanitari “salva- vita” tramite autorizzazione del giudice, su istanza del tutore, solo però in compresenza di due condizioni imprescindibili.

La prima condizione si basa su due presupposti: l’accertamento dello stato vegetativo e del suo carattere di irreversibilità, inteso nel senso di impossibilità di un recupero di coscienza; ed inoltre deve essere univocamente accertata la volontà dell’interessato sulla base di elementi che devono essere chiari, precisi ed univoci, ovvero convincenti e che rispecchiano la sua personalità e concezione di dignità.

Con tale pronuncia la Suprema Corte scalfisce l’esigenza di salvaguardare le volontà manifestate dall’individuo sia in forma espressa o attraverso la ricostruzione di queste traendole dal suo complessivo stile di vita, antecedente alla caduta in uno stato totale od assoluto di incapacità65.

La seconda condizione rappresenta il fulcro del ragionamento della Corte di Cassazione dove viene chiesto al tutore di decidere “non al posto dell’incapace né per l’incapace ma con l’incapace”, ricostruendo in questo modo la volontà del soggetto, desumendola esclusivamente dalla sua concezione di vita e di dignità66.

64 Cit. Corte di Cassazione, sentenza n. 21748/2007.

65 Cfr. Campione R., 2008, “Stato vegetativo permanente e diritto all’identità personale in un’importante pronuncia della Suprema Corte”, in Famiglia e diritto, n. 2, p. 2.

66 Romboli R., 2009, “Il caso Englaro: la Costituzione come fonte immediatamente applicabile dal giudice”, in Quaderni Costituzionali, p. 98.

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Venuta meno la capacità di agire dell’interessato, è impossibile l’immediata espressione della sua volontà ed è per tale motivo che la Corte di Cassazione ha inciso sulla ricostruzione della volontà passata per poterla proiettare nel futuro: il legale rappresentante è chiamato a conformarsi a quella che sarebbe stata la scelta del soggetto nel caso non fosse stato nell’impossibilità di esprimerlo e spetterà al giudice valutarne la correttezza e la coerenza sulla base degli elementi probatori.

In questa prospettiva i giudici hanno riscostruito in ambito terapeutico un concetto costituzionale di dignità in termini plurali e soggettivi: bisogna prendere di riferimento le più profonde convinzioni, i progetti di vita e la sua personalissima concezione dell’esistenza.

Inevitabilmente si tratterà di una decisione presa da altri, in qualità di legittimato, ma quest’ultimo dovrà calarsi nei panni del malato per assumere una decisione che rifletterà la sua posizione di “porta-voce” dell’incapace67

.

La Suprema Corte ha così in questo modo tutelato anche coloro che a dispetto di altri non vogliano un sostentamento artificiale per vivere più a lungo possibile, in particolare “c’è chi, legando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Uno Stato, come il nostro, organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta costituzionale, sul pluralismo dei valori, e che mette al centro del rapporto tra paziente e medico il principio di autodeterminazione e la libertà di scelta, non può che rispettare anche quest’ultima scelta”68

.

Il principio personalistico, nell’ambito delle scelte terapeutiche, è uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana, e porta con

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Cfr. D’Onofrio P., opera citata, p. 126. 68

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sé la non imposizione di una definizione ottusa e chiusa del concetto di dignità che sia valido nei confronti di tutti i consociati.

Secondo la Suprema Corte il principio del consenso “ha come correlato la facoltà anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l’intervento solidaristico e sociale in funzione della persone e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del rispetto della persona umana in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive”69

.

Il Supremo Collegio riconosce in forma chiara che, pur si palesi la situazione per cui il paziente non presti il proprio consenso alle cure indispensabili per la sopravvivenza in virtù della dignità della propria persona, il diritto all’autodeterminazione deve essere rispettato70

. La Corte di Cassazione riconosce nei confronti del tutore il compito di ricostruire la volontà ipotetica dell’individuo che lo guiderà nella scelta della terapia, basandosi sui precedenti desideri e dichiarazioni del rappresentato, dal suo stile di vita e soprattutto dalla personale concezione della dignità umana71.

69 Ibidem.

70 R. Campione, opera citata, p. 3.

71 “La ricerca della presunta volontà della persona in stato di incoscienza, ricostruita alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri espressi dell’interessato, ma anche sulla base dello stile di vita, del carattere della sua vita, del suo senso di integrità e dei suoi interessi critici e di esperienza assicura che la scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante, e che non sia in alcun modo condizionata dalla gravità della situazione, ma sia rivolta, esclusivamente, a dare sostanza e coerenza all’identità complessiva del paziente e al suo modo di concepire, prima di cadere in uno stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona”. Cit. Corte di Cassazione, sentenza n. 27148/2007.

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L’istituto del tutore è disciplinato dall’articolo 357 del Codice Civile che statuisce le sue funzioni: “Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni”72

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Il ragionamento della Suprema Corte, dove riconosce in capo al tutore la possibilità di dare voce all’incapace,(precisando che lo deve fare agendo nell’esclusivo interesse dell’incapace e con quest’ultimo) è un dato che evidenza la necessità del rispetto del principio di uguaglianza nei confronti di chi, purtroppo, non può più esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione.

La vicenda Englaro ha posto l’attenzione sulla necessità di una legislazione chiara da parte del Legislatore per poter garantire una piena libertà di scelta quando la sofferenza ed il processo della morte, ormai da non più intendersi in un evento istantaneo, concretizzano uno svuotamento della dignità della persona.

Non è oggetto di discussione solo la fede del malato ma anche la serena consapevolezza di aver vissuto nel migliore modo possibile la propria esistenza73 e che, il tempo finale della stessa, non venga meccanicamente ridotto ad un nulla74.

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Art. 347 Codice Civile. 73

Kung H., 2007, La dignità della morte. Tesi sull’eutanasia, Roma, Datanews, Collana Alcazar, p. 66. Venne privato del titolo di teologo cattolico per via delle sua tesi progressive non in linea con la dottrina ufficiale della Chiesa Cattolica. Cit: “Dover interrompere una volta per tutte ogni relazione con gli altri uomini e con le cose, certamente sostenuti e aiutati da tutte le tecniche dei medici, consolati ( quelli che lo desiderano) dai sacramenti della chiesa, significa per l’uomo credente un congedo dalla comunità umana, un ritorno alla propria vera patria: un congedo forse non privo di dolore e angoscia, ma tuttavia reso fiducioso, comunque senza lamenti e senza imprecazioni, senza amarezza e disperazione, in un’attesa piena di speranza e di quieta certezza e (quando finalmente tutto è stato disposto) in umile gratitudine per tutto il bene e per ciò che è andato meno bene che ora sta definitivamente dentro di noi grazie a Dio. Questo morire in Dio, nella consapevolezza della propria umiltà e della gratitudine verso di Lui, questo mi pare essere ciò che è lecito fiduciosamente sperare: una morte davvero degna dell’uomo”.

74 Goldoni L., Difendo quel diritto a staccare la spina, in Corriere della Sera, 21 febbraio 2000, p. 19: cit. “Rivendico il diritto di andarmene appena viene il buio, decidendo ora, quando la luce è ancora accesa”.

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III

IL TESTAMENTO BIOLOGICO: