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2 Il dissenso del paziente cosciente: il rifiuto alle cure e la richiesta di sospensione delle stesse

Il rifiuto alle cure è la manifestazione ultima

dell’autodeterminazione del paziente; non si tratta di esternare il proprio consenso o dissenso nei confronti di determinati trattamenti sanitari ma piuttosto di prendere la decisione se essere o non essere oggetto di trattamenti sanitari, facendo valere il diritto a non essere curato27.

Il rifiuto o la richiesta di sospensione delle cure spesso si intreccia con le questioni del fine-vita; non sono espressioni del diritto di morire ma piuttosto come manifestazione del diritto alla vita intese quindi “non del diritto alla vita affidata alla tecnica, bensì del diritto alla vita vissuta con dignità fino all’ultimo istante”28

.

La richiesta di non sottoporsi alle terapie riguarda il diritto del malato di far procedere il processo biologico nel suo iter naturale, ovvero di “essere padroni delle tecnologie applicate alla nostra persona e non prigionieri di esse”29.

La persona adulta e cosciente, pienamente consapevole ed informata delle proprie scelte, ha diritto sia di consentire al trattamento medico ma anche di esprimere il proprio rifiuto, comprendendo anche il caso in cui il trattamento è necessario per la sua sopravvivenza.

Ciò è stato specificato nella nota sentenza Englaro dove è stato specificato che “deve escludersi che il diritto all’autodeterminazione

27

Cfr. Veronesi P., 2007, Il corpo e la costituzione. Concretezza dei casi e

astrattezza della norma, Giuffré, Milano, p. 249 ss.

28 Cit. Pasquino T., 2009, Autodeterminazione e dignità della morte, Cedam, Torino, p. 180.

29

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terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene alla vita”30

.

La Suprema Corte ha osservato che “il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”. Da parte del medico esiste “il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico e attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico”31

.

Le scelte di vita ed anche quelle di fine-vita attengono al rispetto della vita privata del soggetto, come ha sottolineato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dove “in ambito sanitario, il rifiuto di accettare un trattamento particolare potrebbe, inevitabilmente, condurre a un esito fatale, ma l’imposizione di un trattamento medico senza il consenso del paziente se è un adulto e sano di mente costituirebbe un attentato all’integrità fisica dell’interessato che può mettere in discussione i diritti protetti dall’art. 8, par. 1, della Convenzione”32.

Il consenso ad un determinato trattamento non può essere inteso solo come consenso iniziale, ma deve esserci nel corso di tutta la durata della terapia; in questa ottica di revocabilità del consenso emerge come principio dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo33

che trova la sua diretta applicazione nel campo della sperimentazione clinica (d. lsg. 24 giugno 2003, n. 211) e della procreazione assistita (l. 19 febbraio 2004, n. 40).

30 Cass. 16.10.2007, n. 21748 cit. 31

Ibidem.

32 Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Pretty v. UL, 29 aprile 2002, in Foro.it, 2003, IV, 57.

33

Art. 5 Convenzione di Oviedo “[…] La persona interessa può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

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Il diritto del paziente a sospendere la terapia è il principale motivo su cui si fonda la decisione del Tribunale di Roma che ha previsto l’assoluzione dell’anestetista che ha disattivato il respiratore di Welby34.

Dalla prospettiva del medico vi è una differenziazione: un conto è non intraprendere le cure altro è interromperle. Nel momento in cui il paziente decide di interrompere la terapia, il compito del medico è la prosecuzione della sua opera di assistenza, per alleviare le sofferenze per garantire al meglio la qualità della vita possibile.

Il Codice di Deontologia Medica prevede all’art. 35 “in ogni caso, in presenza di un documento rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.” Inoltre all’art. 17 si afferma che “il medico, anche su richiesta del malato non deve effettuare, né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”.

Si tratta di due situazioni diverse: un conto è sospendere il trattamento e lasciare che la malattia faccia il suo corso naturale e porti alla morte del paziente, altro è la somministrazione di un farmaco al fine di provocarne la morte del paziente, sia pure con richiesta dello stesso35.

La rinuncia del paziente non deve essere qualificata come un “diritto a morire” quanto piuttosto ad il diritto di vivere in modo dignitoso la propria vita in tutte le fasi della propria esistenza36.

Soltanto il medico può procedere all’interruzione del trattamento in corso essendo esso stesso il garante dell’alleanza terapeutica dove può constatare con rigore i requisiti di validità e di

34

Trib. Roma 23.7.-17.12 2007.

35 D’Avack L., 2009, Verso un antidestino. Biotecnologie e scelte di vita, Giappichelli, Torino, II, p. 201 ss.

36

Canestrari S., 2015, Biodiritto (diritto penale), in: Enciclopedia del diritto. Annali VIII, Milano, Giuffrè, pp. 99 - 124 [voce di enciclopedia/dizionario].

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attualità della rinuncia del malato che deve essere consapevole, informata, autentica, reale e chiaramente espressa.

Altrimenti in caso di interruzione della terapia da parte di un familiare si configurerebbe il reato previsto all’articolo 579 c.p. che disciplina l’omicidio del consenziente.

E’ opportuno infine segnalare la rilevanza di un’eventuale obiezione di coscienza da parte dell’esercente della professione sanitaria: è l’ipotesi in cui il medico manifesti il diniego nell’effettuare “condotte attive doverose immediatamente causali rispetto all’evento morte”37

.

In capo al medico deve essere riconosciuta la possibilità per lo stesso di non porre in essere tali condotte qualora queste risultino in contrasto con le proprie convinzioni etiche, deontologiche e professionali38.

In caso di diniego deve essere altresì riconosciuto il diritto al paziente di interrompere le terapie in corso; è opportuno in questo senso una disciplina di riferimento che ponga chiarezza e certezza circa “le modalità di trasferimento della posizione di garanzia del medico obiettore ad uno disposto ad attuare la volontà del malato”39.

2.1

Il

caso

di

Piergiorgio

Welby:

un

diritto