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Diritto penale del nemico e meccanismo di controllo

Attualmente, assistiamo in Italia ad una particolare fisionomia dell’apparato preventivo, forgiato per diversi profili sulla falsariga della teoria, ritenuta forse la più esasperata, relativa al “diritto penale del nemico”, elaborata dal filosofo penalista Günther Jakobs208.

206 M. FOUCAULT, Nascita della biopolitica, cit.; M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, cit.; M. FOU-

CAULT, La strategia dell’accerchiamento. Conversazioni e interventi 1975- 1984, a cura di S. Vacca-

ro, Palermo 2009. Il testo in questione: La ridefinizione del giudiziabile, pp. 37-50.

207 E.PULCINI, La cura del mondo, paura e responsabilità nell’età globale, Torino, 2009, passim. 208 I principali argomenti a fondamento dello studio giuridico di Jakobs sono quelli inerenti alle

fondamenta del diritto penale, in particolare egli ha concentrato la propria attenzione sullo studio degli istituti della coercizione e della contraffazione. All’interno del suo libro di testo dedicato allo studio della parte generale del codice penale tedesco, all’interno delle sue monografie ed all’interno di numerosi suoi saggi, Jakobs ha dato origine ad una nuova teoria del diritto penale che può essere definita come Funzionalismo. Tale teoria parte dal presupposto che la colpevolezza penale non è giustificabile ontologicamente e non può provenire da un contratto sociale fittizio, ma è una questione sociale, dove la legge ha l’obiettivo di porre modelli di orientamento obbligatori.

Tale impostazione presenta come oggetto infatti, lo stravolgimento della pre- dominanza della tutela giuridica dell’individuo in quanto tale, qualora la vita dello Stato sia messa in pericolo da soggetti non considerati come cittadini, ma regrediti alla condizione di “nemici”. Anche Foucault riteneva ci trovassimo all’interno di un mondo formato da nemici, dove imperava la politicizzazione dei rapporti umani producendo, come chiave di volta dell’intero sistema, la necessità di individuare il nemico e di smascherarlo in ogni individuo con il quale non si sia d’accordo209.

Nell’ottica del diritto penale del nemico, il nemico è una "possibilità reale" va- le a dire che esso è innanzitutto una minaccia, e come tale è sempre presente. Ciò significa che non è importante tanto difendersi dalla presenza fisica del nemico, ma bisogna agire prima che quello si manifesti fisicamente. È un’attività di pre-emption quella messa così in atto, una sorta di prevenzione anticipata attraverso la quale si mira non già a prevenire il verificarsi di un evento rischioso, ma, prima ancora, si vuole intervenire sulla possibilità stessa che esso si verifichi, agendo quindi sui fattori di rischio. Il nemico quale minaccia, infatti, "he is always already there" e come tale va combattuto costantemente con gli strumenti propri dello stato di ecce- zione, perché gli strumenti del normale diritto penale del cittadino non sono suffi- cienti. In realtà, il diritto penale del nemico non può essere considerato un tema puramente giuridico in quanto è soprattutto l’espressione più autentica di una strate- gia di controllo e di prevenzione promanante da un centro di potere, con modalità tipicamente performativa, e poggiante la propria legittimazione sull’imperativo della sicurezza, subdolamente ancorato al concetto di liceità e di legalizzazione della legge210.

Il diritto penale del nemico fa riferimento ad un binario parallelo e separato del diritto penale. I due binari, sul piano dei diritti, esibiscono due livelli di garanzia

209 M. FOUCAULT in conversazione con COLIN GORDON e PAUL PATTON, Considerazioni sul marxi-

smo, la fenomenologia e il potere, cit., p. 126. Per un maggiore approfondimento, di particolare

rilievo: M. PAVARINI, L. STORTONI (a cura di), Pericolosità sociale e giustizia penale, 2012, Docu-

mento introduttivo.

210 Il diritto penale del nemico, in L’altro diritto, Centro di Documentazione su carcere, devianza e

diversa perché si rivolgono a due categorie differenti di soggetti: il primo vige per il cittadino ordinario, il secondo invece è uno strumento da poter utilizzare contro chi, di volta in volta, viene identificato come nemico all’interno di una data società. In altre parole, si tratta di uno “speciale” diritto penale, contemplante pene più severe per una determinata categoria di autori, quelli per l’esattezza che non offrendo suffi- ciente garanzia cognitiva si situano fuori dalla sfera della tutela giuridica. Tali sog- getti, sono considerati dei nemici e come tali qualificati come “non-persone” poiché i diritti più elementari non vengono loro riconosciuti. Gli individui predetti rappresen- tando, pertanto, un pericolo per la società, devono essere neutralizzati, al fine di potersi difendere dalla minaccia che costituiscono. A ben vedere, si tratta della me- desima dinamica attualmente riservata al “delinquente pericoloso”, considerato un delinquente “speciale” e quindi trattato con parametri diversi rispetto alla categoria della delinquenza “ordinaria”. Il doppio binario, al riguardo, riproduce in effetti, due tipologie di diritto penale, a seconda della tipologia delinquenziale211.

Secondo la teoria di Jakobs, la violazione della norma ha l’effetto di ledere i di- ritti dei membri della comunità giuridica all’interno della quale il reato viene com- piuto. Il reo, violando le norme vigenti, romperebbe il contratto sociale e si porrebbe al di fuori di esso, perdendo, come conseguenza di un atto volontario, tutti quei diritti che essere parte del contratto gli garantiva. Questo processo lo degrada a ruolo di “non persona” per il diritto. Secondo l’autore di questa teoria, il diritto fondamentale alla sicurezza della collettività può ben prevalere sui diritti fondamentali della perso- na212.

211 Non solo la collettività ma anche la giurisprudenza attuale pare attribuire molta attenzione al

cosiddetto «delinquente pericoloso» nel sistema penale; un fenomeno che si manifesta soprattutto attraverso la considerazione degli individui secondo una caratteristica personale della quale sono portatori, che assume rilievo assorbente ai fini del loro trattamento, ed oscura, per quegli stessi fini, ogni altro aspetto della loro vita e della loro condizione. Un fenomeno dunque di de-personalizza- zione, nonostante l’apparenza, fondato su logiche di stigmatizzazione che presentano, pur nella varietà (storica, culturale, razionale) dei relativi procedimenti di formazione, evidenti analogie di struttura. V. G. LEO, Gli statuti differenziali del delinquente pericoloso, in www.penalecontemporaneo.it.

212 Sulla sovranità e sulla violazione del contratto sociale v. J. HABERMAS, L’idea kantiana della pace

Il nemico con cui abbiamo a che fare nella teoria di Jakobs è innanzitutto un delinquente portante lo stigma della colpevolezza ma, a differenza del delinquente comune, si tratta di un individuo la cui stabilizzazione cognitiva rispetto alla norma non è più possibile. Contro il nemico ci si può difendere solo con la neutralizzazione che dovrà avvenire prima del compimento del fatto delittuoso o in aggiunta rispetto alla pena, approntando un apparato di sicurezza.

La critica a questo autore converge nel ritenere che una delle più grandi diffi- coltà insite nel concetto di nemico sta nel suo essere un concetto illimitato, un con- cetto dai confini indefiniti e mobili, i quali possono tendenzialmente ampliarsi all’infinito, anche solo sulla spinta di percezioni e di verità di senso comune. Queste ultime disegnano delle differenziazioni di statuti normativi su base pregiudiziale dando origine ad un sistema normativo diversificato, atto a ridimensionare la tutela dei diritti di chiunque possa rappresentare una minaccia agli occhi di chi detiene il potere politico213.

Qualificare come nemico un avversario dell’ordinamento giuridico innesca un meccanismo di semplificazione dei fattori in gioco nello scontro che permette di screditare l’avversario senza doverne giustificare su basi fattuali l’esclusione. Per- mette di avvalersi dei metodi, dei linguaggi propri della guerra, in base ai quali il nemico diventa un pericolo da annientare. Anche nell’orizzonte di senso comune qualificare un soggetto come nemico risulta ben diverso che definirlo come un cri- minale214. Il nemico infatti, richiama il male, l’Altro da Noi, quel qualcuno non considerato come appartenente alla comunità dei consociati215.

Il diritto penale del nemico, in questa ottica, consisterebbe in tecniche repressi- ve di vecchia data, giustificazioni meramente simboliche che si manifestano senza

213 Concetto dai contorni illimitati.

214 Sull’importanza delle definizioni e del linguaggio vedasi le opere di M. FOUCAULT, Le parole e le

cose, cit. Dal punto di vista linguistico usare il termine “nemico” serve a “squalificare l’avversario” –

per utilizzare una terminologia di Dal Lago – e induce ad una “degradazione preventiva” dell’Altro. Preventiva nella misura in cui non ha bisogno di dimostrazioni né di conferme per attuarsi. Al riguar- do: A. DAL LAGO, Le nostre guerre. Filosofia e sociologia dei conflitti armati, Roma, 2010.

incontrare alcun limite alla loro azione, nemmeno i limiti che dovrebbero essere insiti nel rispetto dei diritti altrui216.

Inoltre, il concetto di non-persona è pericoloso in quanto costituisce una cin- ghia di trasferimento (e di confusione), del discorso da un piano descrittivo ad uno normativo217.

La semplice descrizione iniziale, come i fatti hanno dimostrato, può divenire nel corso del tempo, uso normativo del concetto, con conseguente tendenza ad ade- guare il ciò che dovrebbe essere al ciò che è, autolegittimando pratiche identificabili come diritto penale che sono di per sé illegittime. Questo meccanismo viene definito da Ferrajoli “slittamento semantico”.

L’utilizzo simbolico del diritto penale del nemico riveste grande importanza nell’attuazione del meccanismo di marginalizzazione e di differenziazione effettiva degli statuti normativi218.

Cancio Melia vede il delinearsi negli ultimi anni di un “diritto penale del ri- schio” diretto all’espansione di un diritto penale simbolico e al risorgere del punitivi- smo. I governi attuali tendono a privilegiare una risposta di tipo repressivo alla viola- zione delle regole, basata su processi di criminalizzazione. Questa, d’altro canto, è la reazione che si aspetta l’opinione pubblica poiché è credenza di senso comune quella secondo cui misure penali più severe siano in grado di garantire maggiore sicurezza rispetto all’intervento dello stato basato sulle politiche sociali e strutturali219.

216 Vedasi al riguardo: Il diritto penale del nemico, in L’altro diritto, Centro di Documentazione su

carcere, devianza e marginalità, www.altrodiritto.unifi.it › ... › I migranti e i loro diritti › Migranti e polizia.

217 L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Prefazione di Norberto Bobbio,

Roma-Bari, 2009, puntualizza quanto problematico possa essere l’utilizzo, seppur con finalità descrit- tive, del diritto penale del nemico rischiando di incappare nella cosiddetta “fallacia realistica”. Sulla descrizione di questo pensiero: P. DI LUCIA (a cura di), Assiomatica del normativo: filosofia critica

del diritto in Luigi Ferrajoli, Milano, 2011, p. 110.

218 Il fatto di avere considerato l’11 settembre un atto di guerra e non un crimine si è rivelata una

scelta strategica che ha permesso alle compagini governative di catalizzare il favore dell’opinione pubblica intorno alle politiche di emergenza attuate nel nome della difesa da un nemico interno.

219 Al riguardo v. M. CANCIO MELIA, Diritto penale del nemico?, in M.DONINI e M.PAPA (a cura di),

Diritto penale del nemico: un dibattito internazionale, Quaderni di diritto penale comparato, interna-

Il diritto penale del nemico si rivolge soprattutto ai reati caratterizzati da una forte connotazione simbolica, collocati in posizioni strategiche nei meccanismi di creazione di idee di senso comune. Strumento privilegiato di creazione artificiosa attraverso l’esclusione dei parametri performativi dell’identità di coloro che escludo- no. In un certo senso rappresenta una forma di allontanamento da sé di un’immagine che non piace, diretta alla costruzione di una certa identità sociale220.

Chi detiene il potere di distinguere i diversi soggetti, di stabilire i confini, ha anche la capacità di definire le stesse persone, e nell’atto di definirle le sta in qualche modo creando. Questo è un uso in senso performativo del diritto penale del nemico. Tale diritto conduce verso uno scivolamento dalla logica del fatto alla logica dell’autore. Il processo penale da strumento legittimo di accertamento della colpevo- lezza si tramuta in spazio entro cui articolare una sorta di lotta contro l’autore del reato, non per ciò che ha fatto ma per ciò che è, o piuttosto per ciò che “rappresen- ta”221.

Il potenziale simbolico non si ferma alla ricerca della legittimazione politica e del consenso elettorale ma collabora alla creazione di un certo immaginario, collabo- ra a determinare il modo in cui la realtà viene letta dalla generalità delle persone e

l’unica arma contro il sentimento di insicurezza collettiva, quale portatore di una valenza simbolica impareggiabile, unico sistema in grado di raccogliere l’approvazione delle masse, come nessun’altra scelta di politica criminale. L’autore sottolinea come la percezione dei rischi rappresenti “una costru- zione sociale non relazionata con le dimensioni reali di determinate minacce”.

220 In questa teorizzazione emerge soprattutto il meccanismo dell’esercizio del potere assunto dal

diritto penale, quale strumento che più di ogni altro risponde alle domande di sicurezza dei membri della comunità giuridica. Il diritto penale del nemico in ispecie, andando a costituirsi nelle mani delle compagini governative, diventa uno strumento estremamente utile per ottenere consenso e per attuare politiche repressive lesive dei diritti di tutti, e ciò in nome della prerogativa di una non ben definita sicurezza. Sul punto, in generale, M. PAVARINI, M. DONINI (a cura di), Sicurezza e diritto penale,

Bologna, 2011, dove si evidenzia l’aspetto marcato di una “sicurezza” come orizzonte totalizzante del diritto penale.

221 L’elaborazione di un diritto penale del nemico posto a fianco alle tecnologie di sicurezza, nasce

dall’esigenza da parte degli apparati di controllo di dotarsi, ad un certo punto della storia, di strumenti repressivi sempre più stringenti. Inoltre, il concetto di “nemico” è talmente indeterminato da essere in grado di ricomprendere chiunque, in ragione di qualche particolare caratteristica, e come tale essere spogliato dei propri diritti e mettere in mostra la propria nuda vita di fronte al potere che, proprio attraverso il controllo esercitato su quel corpo si costituirà come potere sovrano. Sul tema della strategia militare come stile di vita quotidiano e come forma del pensiero e modalità di approccio verso l’altro si veda, in particolare, A. DAL LAGO, Le nostre guerre. Filosofia e sociologia dei conflitti

quindi anche il modo in cui la realtà stessa, in definitiva, esiste. Ciò contribuisce in maniera determinante alla costruzione e consolidazione dell’Altro, come altro da noi, come minaccia e come pericolo. È questo il suo lato simbolico estremamente rea- le222.

Si tratta di una mutazione strutturale del sistema punitivo che interessa l’attuale fase di sviluppo dell’intera società capitalistica occidentale. Tendenze efficientistiche e funzionalistiche vengono osservate, oltre che in Italia, anche in Germania, Olanda, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti e Colombia, dove prevale la scelta esplicita della neutralizzazione e dell’incapacitazione selettiva quale finalità dell’esecuzione peni- tenziaria223.

Superata la fase di stagnazione degli anni ottanta, assistiamo per la prima volta alla concomitanza dell’aumento del prodotto nazionale lordo e della diminuzione dei posti di lavoro. A ciò corrisponde un aumento della concentrazione della ricchezza e un aumento della povertà, tanto all’interno della società capitalistica occidentale che di quella planetaria. In questo scenario, le esigenze di disciplinamento sociale e di repressione dei conflitti non istituzionalizzabili, potenziali o reali, derivanti da questa nuova trasformazione del sistema produttivo, sono ancora più forti del passato. Ciò è confermato dal sovrappopolamento delle carceri italiane, abitate non certo da mafiosi

222 Il teorico Winfried Hassemer ha denunciato, in uno scritto recente, la perdita dell’equilibrio tra la

funzione simbolica e la funzione strumentale del diritto punitivo. Nello Stato sociale di diritto, il diritto penale non ha solamente la funzione di contenere la violenza delle aggressioni a diritti fonda- mentali, ma radicata nell’inconscio collettivo. Al contrario, il diritto penale del cittadino si trasforma in diritto penale del nemico e la tendenza autoritaria endemica nella funzione punitiva esce allo scoperto. Un segno semantico di questa trasformazione è l’uso oggi dominante della terminologia bellica per definire i compiti della giustizia penale. Al riguardo, si veda W. HASSEMER, Diritto giusto

attraverso un linguaggio corretto. Sul divieto di analogia nel diritto penale, studio pubblicato su

www.arsinterpretandi.it/upload/95/att_hassemer.pdf, facente parte di un’opera collettanea pubblicata nel 1992 dal titolo Cultura giuridica come cultura del linguaggio. Sul tema, vedasi anche C. PERINI, Il

concetto di rischio nel dibattito penale moderno, Milano, 2010.

223 Nello studiare la “nuova penologia”, Massimo Pavarini, ha evidenziato la tendenza ad abbandonare

l’obiettivo del reinserimento per accettare strategicamente l’esistenza di zone sociali ad alto rischio di emarginazione criminale. Al riguardo, M. PAVARINI, Il “grottesco” della penologia contemporanea, in U. CURI, G. PALOMBARINI (a cura di), Diritto penale minimo, Roma, 2002, p. 252, consultabile su

books.google.it/books?isbn=8879897101, con riferimento al linguaggio utilizzato da Foucault. Sullo stesso tema, M. PAVARINI, Della penologia fondamentalista, in Rivista Il Mulino, 1/01, Bologna, 2011. Vedasi anche A. BARATTA, Introduzione a S. MOCCIA, La perenne emergenza, Napoli, 1997.

o grandi trafficanti di droga o corrotti bensì da tossicodipendenti, extracomunitari, soggetti appartenenti a gruppi marginali e/o a rischio di devianza, a dispetto di quello che potrebbe pensare l’opinione pubblica224.

4. “Pericolosità attuariale”. Nuovi scenari politico-sociali

“Tutto cambia affinché nulla cambi”.

[Da Il Gattopardo]

Nonostante l’esperienza abbia dimostrato come ogni pretesa di prevedere e preconizzare gli eventi futuri risulti priva di totale fondamento scientifico, la figura simbolica del soggetto “pericoloso” sembra acquisire paradossalmente nuovi conte- nuti e rafforzamenti. Tale percezione, come sopra descritto, rientra in un fenomeno più ampio a livello macrosociale, riflettente il grado di destabilizzazione e di insicu- rezza collettiva, la paura del proprio vicino, la diffidenza verso l’altro, disagio espresso e “risolto” soprattutto attraverso l’apprestamento di sistemi di sicurezza sempre più rigidi e contenitivi225.

Il nuovo paradigma eziologico assunto a modello di studio è quello della “pre- visione/pre-venzione del pericolo, nel quale si considera un concetto di “pericolosità

224 Sul punto: Il Manifesto – 26 Giugno 2002, La società reclusa a rapporto, consultabile su

www.cestim.it/rassegna%20stampa/02/06/26/carceri.htm, intervento di M. Pavarini riguardo la penologia attuariale come modalità operativa per la selezione e classificazione dei soggetti a rischio. Per un maggiore approfondimento sul tema esposto si consulti: A. BARATTA, Introduzione a S. MOC- CIA, La perenne emergenza, cit.; M. PAVARINI, B. GUAZZALOCA, Saggi sul governo della penalità,

Letture interpretative al Corso di diritto penitenziario, Bologna, 2007. Vedere anche il saggio di G.

CAMPESI, Archeologia del “neoliberalismo penale”. Appunti sulla nascita di un nuovo paradigma

criminologico, sui nuovi illegalismi legati alla corrente, attuale, del neoliberalismo penale, in

www.academia.edu/.../Archeologia_del_neoliberalismo_penale._Appunti...

225 Non a caso, con il nuovo lemma “dangerization”, utilizzato da diversi penalisti e operatori del

settore, si esprime la tendenza a percepire ed analizzare il mondo attraverso la categoria della minac- cia. Ciò determina la volontà spesso ossessiva di pervenire alla previsione delle future avversità attraverso percezioni pessimistiche e difensive. Infatti, il concetto di pericolosità sociale, niente affatto isolato, esprime gli orientamenti di sociologia politica e le dinamiche relazionali, singole e di gruppo, determinando e/o influendo sulla percezione collettiva dell’“Altro da Sé”. Per un approfondimento sul tema si consulti: M. PAVARINI, L. STORTONI (a cura di), Pericolosità sociale e giustizia penale, cit.

attuariale”, basato su una presunzione legale di pericolosità costruita su valutazioni statistiche di rischio di appartenenza a gruppi. Tale orientamento viene definito anche approccio “tecnocratico” alla questione criminale226, dove il parametro cardine assunto come unità di misura riguarda il livello esterno della sicurezza e/o il senti- mento di sicurezza della collettività.

Secondo questo approccio, (attualmente di largo utilizzo) l’autore di qualunque tipo di reato diventa improvvisamente un bersaglio dell’opinione pubblica per ragio- ni contingenti, che non dipendono dalle sue anomalie tipologiche d’autore, ma bensì da un’estemporanea recrudescenza punitiva verso un certo tipo di fatti227.

Attraverso il fatto delittuoso si perviene all’identificazione di un certo tipo di pericolosità. Il nemico non è individuato specificamente come autore pericoloso, perché è soprattutto il tipo di fatto ad essere strumentalizzato. L’autore è simbolo dell’abnormità di un comportamento, e la sua punizione deve esprimere pubblica-