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Metodo decostruttivo del processo di individuazione o

L’analisi di alcune opere filosofiche contemporanee è risultato fondamentale nell’attività di ricostruzione genealogica del concetto di pericolosità sociale al fine di comprenderne le origini storiche e il significato sotteso alla sua evoluzione e alla sua persistenza nel tempo.

La metodologia decostruzionista adottata allo scopo ha infatti permesso non so- lo di scandire le diverse tappe storiche della nascita e dello sviluppo del concetto de

quo, ma ha altresì consentito l’emersione di contenuti sottesi, nascosti, afferenti la

concezione precostituita della natura umana, della soggettività, e ha reso possibile, altresì, rilevare l’influenza della categorie socio-politiche nella formazione del con- cetto in questione e la presa di consapevolezza che l’episteme non è una forma gene- rale di conoscenza.

I filosofi Michel Foucault e Jacques Derrida27, assunti a modello della presente ricerca, sono definiti teorici “decostruzionisti o post- strutturalisti”. In particolare, J. Derrida è universalmente e incontestabilmente, associato all’invenzione del metodo decostruttivo, ovvero a quella corrente di pensiero che a sua volta pare collocabile nell’alveo del cosiddetto postmodernismo28.

Derrida è certamente uno dei filosofi più interessanti del nostro secolo, contri- buendo ad una completa rivisitazione dei concetti e delle categorie proprie della filosofia classica occidentale. Attraverso il metodo decostruzionista Derrida esprime

27 Jacques Derrida (nato ad El Biar, Algeri, nel 1930) è certamente uno dei filosofi più interessanti del

nostro secolo: con Heidegger, Husserl, e Lacan, ha contribuito ad una completa rivisitazione dei concetti e delle categorie proprie della filosofia classica occidentale. Tale autore ha introdotto il termine “decostruzione” in De la grammatologie per tradurre e adattare le parole heideggeriane

Destruktion e Abbau, entrambe aventi il significato di evidenziare un’operazione concernente la

“struttura” e l’“architettura” tradizionale dei concetti fondatori dell’ontologia e della metafisica occidentale. J. DERRIDA, Luoghi dell’indecidibile, Soveria Mannelli, 2012. Sullo stesso piano argo-

mentativo: cfr. M. FOUCAULT, L’Archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura, Milano, 2013. Approfondimento sull’autore J. Derrida: C.A. PIGOZZO, Derrida filosofo politico, Tesi di Dottorato di ricerca in Filosofia, Filosofia politica e Storia del pensiero politico, 2011, Università di Padova, pp. 11 ss.

28 Foucault rispetto a Derrida, inizialmente adotta un primo approccio di tipo fenomenologico, succes-

una presa di posizione nei confronti del concetto di “struttura”. Tale filosofo non fa solo riferimento a strutture linguistiche, logocentriche o fonocentriche, ma anche a strutture socio-istituzionali, politiche, culturali, oltre che filosofiche. Tali strutture non vengono semplicemente demolite ma attraverso la loro decostruzione si cerca di comprendere come si sia costruito un certo “insieme”, un certo significato, tentando così di ri-costruirlo29.

Al centro del progetto filosofico di Derrida troviamo l’idea di una decostruzio- ne della metafisica della “presenza” che ha caratterizzato la tradizione filosofica occidentale. A parere di questo autore, nella tradizione occidentale la voce gode di un primato in virtù del fatto che essa è percepita e vissuta come qualcosa di presente e di immediatamente evidente: nella parola parlata è sempre immanente il logos. La scrittura, invece, è caratterizzata dall’assenza totale del soggetto che l’ha prodotta: il testo scritto gode, insomma, di vita propria. Ciò implica che il segno è differente da ciò di cui prende il posto e quindi, tra il testo e l’essere a cui esso rinvia, c’è sempre una “differenza”, uno scarto che non può mai essere definitivamente colmato, ma lascia soltanto tracce da cui si diparte la molteplicità delle letture e delle interpreta- zioni. È questa la “differance” teorizzata da Derrida, ossia un accadere indipendente dai soggetti che parlano e ascoltano. Essa è agli antipodi della identità e della presen- za: per questo nei testi la verità non è originaria né unitaria né mai totalmente data ma si trova come disseminata. Derrida quindi, propone una diversa strategia di lettu- ra dei testi, dei concetti, delle definizioni, che definisce col termine appunto di “de- costruzione”.

In generale, la decostruzione è la messa in opera della “differance” nella lettura dei testi, ossia l’atto di compiere il processo inverso rispetto a quello che ha portato alla costruzione del testo, smontandolo e rovesciandone le gerarchie di significato che la metafisica della presenza tende a privilegiare. Secondo l’autore, l’Essere si differenzia nel linguaggio, si aliena, diventa mero segno, ossia solo una traccia. Si sa ciò che il linguaggio dice, ma la verità, l’Essere, è il non detto del linguaggio. La

grammatica del testo scritto è il luogo dove “si aliena” l’Essere. Quest’ultimo non è nel testo scritto ma è tra le righe, nel “non detto”30.

Derrida definisce “la strategia generale della decostruzione” come un doppio

gesto che formalizza in due fasi: la prima è la fase del “rovesciamento”, la seconda

fase è quella della “effrazione”, della “trasgressione”. Di qui l’idea di una scrittura doppia o a due mani tipica della decostruzione. L’intento è quello di rovesciare le gerarchie che regolano le opposizioni concettuali classiche. L’apparato categoriale che ereditiamo è caratterizzato infatti dall’istituzione di precisi rapporti di subordina- zione tra un concetto e l’altro: questo è ciò che, appunto, si tratta di smascherare e di porre in discussione. Un preciso ordine gerarchico istruisce in particolare i rapporti tra la parola e la scrittura, tra il significante e il significato, tra il dentro e il fuori o meglio individua ciò che viene definito “l’alterità forclusa, l’alterità inscritta nel cuore dell’origine come un fuori interno ed esterno al dentro”31. Quest’ultima può essere infatti considerata come l’opposizione madre, cui tutte le altre infine rinviano. Il fatto che si proceda al rovesciamento non è un intervento semplicemente esteriore, accidentale o accessorio bensì è rivelativo della struttura essenziale della concettuali- tà stessa. L’interminabilità del processo di rovesciamento non è indice di provviso- rietà, di momentaneità, di passaggio di fase, bensì di una essenziale reversibilità della gerarchia: “la gerarchia dell’opposizione duale, si ricostituisce, infatti, sempre da capo”.

30 J. DERRIDA, La scrittura e la differenza, trad. G. Pozzi, Torino, 1971, passim. L’autore sottolinea

come, attraverso la decostruzione sia possibile aprire dei varchi attraverso i quali intravedere ciò che viene dopo il compimento della nostra epoca, ossia al di là dell’epoca della metafisica.

31 S. REGAZZONI, La decostruzione del politico, Genova 2006, p. 91. Il decostruzionismo ha incrociato

la tradizione europea e quella statunitense con l’ermeneutica, la semiotica, la teoria critica, lo struttu- ralismo e il post-strutturalismo. In particolare il post-strutturalismo e il decostruzionismo hanno rimesso in questione i presupposti epistemologici della filosofia, ridefinendo progressivamente lo statuto del discorso filosofico e hanno individuato in molteplici “luoghi” la soggettività (e la sua costituzione). Il soggetto, così, affiora tra il visibile e l’enunciabile (Deleuze), nei segni della scrittura e della voce (Barthes con il “grado zero”) nella differenza e nell’alterità (Derrida), nell’esperienza del corpo e della libertà (Nancy), nel dissenso rispetto ai diversi giochi di verità e agli spazi figurali (Lyotard), nella genealogia del sapere-potere e nell’ermeneutica (metodologia dell’interpretazione) del sé (Foucault).

La prima fase del rovesciamento apre in se stessa ad una seconda fase, quella dell’effrazione, in quanto si opera uno sfondamento prospettico che corrisponde ad uno sfondamento dell’origine, ad una perdita dell’origine. Questa perdita dell’origine introduce precisamente, per Derrida, alla dimensione della differance sopra citata che si traduce appunto come perdita dell’origine, come contaminazione originaria tra identità e alterità, presenza e assenza. L’origine come tale viene meno ma resta una traccia che Derrida definisce l’archi-origine, cioè un’origine che non si è mai data in quanto tale ma che comunque funge da condizione di possibilità, e quindi parados- salmente da origine della struttura di opposizione. Lo sfondamento consiste nello scoprire la “verità” dell’opposizione dei due termini, e cioè che l’opposizione stessa è strutturale, e che i termini si costituiscono in questa co-implicazione, insomma che un’origine pura, come tale, non si è mai data. Smascherare la gerarchia concettuale e rovesciarne la direzione non costituisce un’operazione tutta interna al campo in cui avviene, bensì è in grado di compiere quella che Derrida definisce appunto una tra- sgressione, ovvero uno sfondamento del campo concettuale da cui si muove, nonché un radicale approfondimento di prospettiva.

Il pensiero decostruttivo evita che un concetto si ponga in posizione regale di predominio teologico venendo a costituire una sorta di concetto dominante. È neces- sario pertanto ridefinire continuamente il legittimo detentore di questo ruolo, di questa posizione. Si tratta di sostituire continuamente il soggetto della gerarchia, in un’inversione e dislocazione continua, tale da creare una catena di concetti correlati da un rapporto di subordinazione.

La messa in questione del rapporto di subordinazione innesta non soltanto un rovesciamento, ma anche un movimento di sfondamento, di trasgressione del piano dialettico del sistema oppositivo.

La decostruzione si è sviluppata ben oltre i limiti delle consuete “uscite” filoso- fiche, espandendosi non solo nella letteratura, nell’arte e nella critica, ma anche nella teoria sociale, in quella psicoanalitica e in quella pedagogica.

Parlare di questa metodologia nella presente ricerca risulta fondamentale con- siderato che, il nodo centrale dell’attualità del decostruzionismo risiede proprio nello

studio profondamente rinnovato della “soggettività”. La decostruzione infatti, mette in primo piano i “soggetti”, intrappolati nel linguaggio e nei significati culturali: non c’è un punto di riferimento indipendente, non c’è una “presenza” non premeditata da cui possono conoscersi e crearsi.

Poiché non possono essere presenti a se stessi non si possono capire fuori dalle storie e dai racconti da cui vengono costruiti. Con una soggettività non presente a se stessa vi è la logica della supplementarietà, vi sono le sostituzioni infinite del signifi- cato, ma soprattutto troviamo il ruolo della “differance” per il differimento (il ruolo della differenza) e per il riscontro (il post-ponimento) del significato.

L’identità pertanto, non è qualcosa di dato, ma si determina in relazione ad al- tro, nel differire da sé. È a partire da questa dinamica differenziale che bisogna pen- sare le opposizioni determinate (presenti) che costituiscono il campo concettuale della metafisica, e cioè sia come loro condizione di possibilità, sia come ciò che da queste viene rimosso per assumere la configurazione stabile che è possibile osserva- re. La scrittura, esempio privilegiato, sempre pensata quale supporto esterno per la rappresentazione e comunicazione di un contenuto che sarebbe già presente nell’intimità del pensiero, è in realtà condizione della sua costituzione (rectius: della costituzione dell’identità).

Il decostruzionismo propone una soggettività che non è una descrizione di un sé unificato essenziale. Se è un testo, una struttura di segni e significati, allora non c’è alcun centro, alcun inizio o fine che lo tiene insieme. Qui, allora, ritroviamo il concetto di soggetto decentrato, un soggetto che, se preso al suo estremo, diventa anonimo, in una proliferazione di ruoli, nella progressiva dimostrazione di “superfi- ci”. Questo “io” relativamente decentrato è comunque riflessivo, sa che non è un io presente a se stesso ma semplicemente un’altra descrizione di sé. Costituisce anche un’altra storia o racconto attraverso cui costruisce se stesso.

Gran parte delle opere dei decostruzionisti riguarda la decostruzione del con- cetto di una soggettività autentica, autopresente e quindi centrata. Poiché essa non può presentare questo io in un modo che lo vuole costringere a sottostare e a trasmet-

tere il suo autentico significato essenziale se non attraverso la scrittura, si apre lo scenario della differance della scrittura.

L’Io che si vuole presentare è perduto negli imperativi strutturali del testo dove il mezzo di scrittura determina la ri-costruzione e la ri-presentazione dell’Io. Secondo la teoria decostruzionista, ciò che viene presentato non è pertanto un Io autentico in senso illuminista, bensì un Io immaginario, capace di molteplici significati.

Sulla base di ciò, il decostruzionismo, è stato spesso accusato da alcuni suoi critici di “dissolvere” o di “uccidere” il soggetto con conseguenze disastrose. Certa- mente il decentrare il soggetto minaccia la sua autonomia, che egli si crea da solo trascendendo i vincoli del sociale, della soggettività autopresente, di un soggetto conscio di sé che conosce il reale attraverso l’accesso diretto ad esso.

La ragione per cui si concentra l’attenzione sulla soggettività è dovuta al fatto che si ha l’impressione di essere, in un certo senso, intrappolati nella storia del sog- getto che procede a ruota libera, individualista sovrano della ragione illuminista, mentre, in realtà, risulta che i soggetti possano non avere autentici sé, autonomia e azione in questo senso. Ciò non significa che la nozione di azione sia qualcosa che vogliamo eliminare. Il problema risiede nella nozione del soggetto come autentica fonte originaria che conosce se stessa, dell’essere presente a sé stessa e del non esse- re toccata da altro.

Sullo stesso versante Foucault, nel ‘68, scriveva sulla rivista Esprit: “L’episteme di un’epoca non è la somma delle sue conoscenze o lo stile generale delle sue ricerche, ma lo scarto, le distanze, i rapporti che esistono tra i suoi molte- plici discorsi scientifici. L’episteme non è una fetta di storia comune a tutte le scien- ze, è il gioco simultaneo di rimandi e rimanenze specifiche, l’episteme è un processo di differenziazione”. Quindi l’episteme non è una forma generale di conoscenza ma è un fascio di relazioni, di sfasature, di scarti; non produce mai un sistema – un insie- me chiuso che sarebbe garante di un’unità statica – bensì si afferma come la prolife- razione, l’articolazione variegata di molteplici sistemi, di microsistemi localizzati che

rimandano gli uni agli altri nel gioco reciproco delle differenziazioni e per questo disegnano qualcosa come comune32.

Nelle opere di Foucault quindi, il soggetto pare scomparire completamente, dissolversi, nella trama dei discorsi e delle pratiche, diventando semplicemente un loro effetto di superficie. Per Foucault, i discorsi sono piuttosto delle pratiche che formano sistematicamente gli oggetti di cui parlano, sono complessi macchinari capaci di escludere dalla loro trama tutto ciò che non sono in grado di assimilare. Viene così posta la differenza tra soggetto ed oggetto dal momento in cui l’uomo cessa di essere soggetto di sé stesso, di essere in pari tempo oggetto e soggetto33.

Il filosofo Foucault, attraverso la sua opera di decostruzione e ricostruzione ar- cheologica, pone in evidenza come ad un certo punto la fenomenologia dell’uomo lasci il posto ad una prospettiva in cui l’uomo non è più concepito come “presenza vissuta”, nella quale soggetto ed oggetto coincidono, bensì, al contrario l’uomo risulti completamente intrappolato all’interno delle strutture sistemiche. A seguito di tale processo viene a crearsi uno spazio vuoto che verrà riempito, nell’epoca moder- na, secondo l’autore, dalla concezione dell’Uomo dell’Umanesimo, in seguito ad una frattura epistemologica, quando il quadro unitario della rappresentazione viene a sfaldarsi e tutto quello che vi rientrava inizia a disperdersi. Uno stesso movimento archeologico ha svelato la figura dell’Uomo e quella dei saperi che intorno a lui si producono. L’uomo diventa essere che parla, che vive, che produce, il fondamento di tutte le positività ma anche oggetto della loro osservazione, un soggetto “allotropo

32 J.REVEL, Michel Foucault, un’ontologia dell’attualità, 2003, p. 88. L’episteme, come si vedrà nel

prosieguo, è un concetto sviluppato da Foucault nelle sue opere, attraverso il quale l’Autore si propo- ne di portare alla luce le origini delle scienze umane (in particolare la psicologia e la sociologia), affermando che l’uomo non è altro che un prodotto delle strutture epistemiche.

33 Il problema del “soggetto” attraversa un po’ tutta la produzione di Foucault e costituisce uno dei

noccioli più densi del suo pensiero e di tutta la contemporaneità. Tale autore, partendo dalla linea direttrice del potere, in quanto griglia analitica, cerca di individuare il modo in cui degli oggetti di conoscenza possibile giungono a costituirsi e, contemporaneamente, tenta di capire come si costituisca il soggetto stesso, che è poi ciò che egli chiama “assoggettamento”, nel senso di “costituzione del soggetto” e, allo stesso tempo, analizza il modo di imporre al soggetto delle relazioni di dominio. Al riguardo, v. M. FOUCAULT in conversazione con COLIN GORDON e PAUL PATTON, Considerazioni sul

marxismo, la fenomenologia e il potere, Presentazione di ALAIN BEAULIEU, in Riv. bim. filosofica

Micromega, 2/2014, pp.129-130. Per un’analisi approfondita sul tema v. M. FOUCAULT, Sorvegliare e

empirico-trascendentale” che si forma a partire dal ritirarsi di ciò che esso non è, da uno spazio, appunto, lasciato vuoto34.

Quest’essere, insomma, diventa l’oggetto dei saperi che egli stesso pretende di fondare. L’uomo viene illuminato da una duplice luce: è soggetto ma anche oggetto, incontra l’esperienza del corpo e quella della cultura35.

L’uomo porta un’illusione, quindi, quando si ritiene soggetto sovrano dei pro- pri atti cognitivi e linguistici, padrone assoluto di sé, signore della storia di cui crede di conoscere il senso e il fine, mentre questa, in realtà, non è il risultato delle azioni coscienti dell’uomo.

A partire dalla riflessione nietzschiana e dallo strutturalismo si matura una concezione antistoricistica e antiumanistica, che nega la costituzione autonoma del soggetto. Quella di uomo come soggetto trascendentale, essere razionale fondato e fondante e cioè criterio di giudizio dell’esperienza, del sapere, della verità, è un’idea di recente invenzione, è un prodotto dell’Illuminismo e di Kant. È un a priori che, in realtà, è storico e quindi a priori non è; è in quanto forma storica, transitoria, nata lungo i concatenamenti della storia e destinata a mutare con essi. Quel soggetto è in realtà un oggetto; come “soggetto” l’uomo non esiste. Secondo tali presupposti l’individuo risulterebbe privo di autonomia, non artefice del suo destino, né fonda- mento della conoscenza.

“L’individuo diventa processo di individuazione, processo che non può essere mai adeguatamente compreso se ci si riduce alla comodità perversa di sospenderlo in una fotografia di stato e se il pensiero che lo indaga acconsente di rappresentarsi

34 G. CANGUILHEM, Il normale e il patologico, Introduzione di M. PORRO, Torino 1998, passim. 35 Foucault riconosce alla fenomenologia il merito di avere messo radicalmente in discussione il

pensiero soggettivo fondatore della rappresentazione, tuttavia riconferma il postulato del soggetto come duplicato empirico-trascendentale. La fenomenologia infatti, tenta di comprendere l’uomo (invece di superarlo), come donatore di significato. Essa pertanto fa valere l’empirico al livello del trascendentale. Secondo Foucault, e secondo il metodo strutturalista, viene cancellato il primato dell”io penso”, del cogito, e al primato della conoscenza vissuta viene sostituito quello del discorso, della “struttura”, che annulla lo scarto metafisico tra essere e linguaggio, tra le cose (il reale) e le parole. In questo contesto il Soggetto si dilegua. Il fenomeno in questione viene trattato nel dettaglio nell’opera di M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Un’archeologia delle scienze umane, Con un saggio di Georges Canguilhem, Milano 2010, p. 345.

come in sé estraneo a un percorso di individuazione ovvero a una relazione – che all’osservatore esterno apparirebbe osmotica – tra gli aspetti dell’analisi oggettiva e gli aspetti di una discussione epistemologica sugli occhiali che la rendono possibile”. Tutti i pattern concettuali dell’individuo risultano radicalmente ripensati36.

Quindi, quando parliamo di “pericolosità sociale” a quale tipologia di indivi- duo ci stiamo riferendo? L’analisi storica del concetto di pericolosità sociale eviden- zia come l’individuo oggetto di questa valutazione non sia altro che una costruzione su ciò che deve essere considerato “individuo” le cui caratteristiche, su cui si indaga, sono rappresentazioni a loro volta elaborate dalle scienze sociali secondo il loro statuto epistemologico.

La vera soggettività oggetto di indagine sfugge alla conoscenza precostituita dalle tradizionali scienze dell’uomo, essendo un fenomeno tanto complesso da mette- re in discussione il fondamento stesso dell’indagine psicologica sull’individuo e il preteso carattere di scientificità.

L’uomo pericoloso nasce nel momento in cui si inizia a parlare di questa tipo- logia di soggetto attribuendogli determinate caratteristiche. Non a caso, il concetto di pericolosità sociale nasce per la prima volta con valenza giuridico-amministrativa, si colloca in pieno liberismo economico e ha riguardo soprattutto ai profili legati alla difesa sociale. È importante inoltre considerare come sulla nascita del concetto in questione viene parallelamente ad innestarsi la nascita di saperi nuovi per quel tempo