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Un io com-partecipe: l’io singolare plurale

L’uomo, secondo le teorie filosofiche contemporanee, non è più racchiuso all’interno di una dimensione monolitica, bensì nella sfera specifica della soggettività pare dischiudersi un nuovo orizzonte dove l’individuo è posizionato con un ruolo affatto diverso, nell’ambito di una visione aperta e plurale.

Il filosofo Jean Luc Nancy, ad esempio, muove dalla nozione di “essere” inteso come “singolare-plurale”, con ciò rimandando ad una originarietà dell’essere che spinge l’uomo a cercare il senso pieno della propria vita non fuori di sé, ma in sé, identificandosi interamente col senso. L’uomo non è un corpo chiuso ma è un’apertura. L’essere politico dell’uomo consiste nel suo essere un’area di circola- zione dei significati.

Secondo il predetto autore, ciò che esiste, dal momento che esiste, coesiste. La co-implicazione dell’esistere è la spartizione di un mondo. Un mondo non è niente di esterno all’esistenza, un mondo è la co-esistenza che le dispone assieme. Questo significa che l’essenza dell’essere umano è singolare plurale, e ciò al tempo stesso, indistintamente e distintamente. L’essere sarebbe singolarmente plurale e pluralmen- te singolare. Il singolare plurale forma la costituzione d’essenza dell’essere: una costituzione che disfa o che disloca ogni essenza una e sostanziale dell’essere stesso. L’essere non preesiste al suo singolare plurale270.

Questa inferenza conduce a provare un plurale d’esistenza: esiste qualcosa (al- meno “io”) e qualcos’altro, almeno quest’altro “io” che si rappresenta un possibile e al quale mi rivolgo per domandarmi se esiste qualcosa di tutto ciò che io ritengo possibile. Coesistono almeno diversi “io”. Non c’è mai stato e non ci sarà mai un solipsismo filosofico, e in un certo senso non c’è mai stata e non ci sarà mai una filosofia “del soggetto” intesa come chiusura infinita in sé di un per-sé271.

270 J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 43, cap. VI. L’essere, concepito monoliticamente

dalla metafisica occidentale, è in realtà molteplice.

Sappiamo bene che la logica dialettica esige il passaggio attraverso l’esteriorità, un passaggio essenziale all’interiorità stessa: nondimeno in questa logi- ca è pur sempre nella forma “interiore” e soggettiva dell’Io che deve finire per tro- varsi e porsi la verità dell’universale e della sua comunità. Spetta a noi, dunque, trattenere il momento dell’”esteriorità” come valevole in maniera essenziale, e tanto essenziale da non riferirsi più a nessun “io”, individuale o collettivo, senza conserva- re per ciò stesso eternamente l’esteriorità stessa e in quanto tale. Essere singolare plurale significa che l’essenza dell’essere è, ed è soltanto, una co-essenza, un essere- con. Quindi, se l’essere è essere-con, nell’essere-con è il “con” a fare l’essere. È come in un potere collegiale: il potere non è esterno ai membri del collegio, né inter- no a ciascuno di loro, ma consiste nella collegialità in quanto tale. Non si tratta dun- que dell’essere in prima battuta, cui si aggiunge il “con”, ma del “con” al cuore dell’essere272.

Quindi singolare plurale significa che la singolarità di ciascuno è indissociabile da una pluralità. Il singolare è sin da subito ogni uno, e dunque anche ogni con e tra tutti gli altri. Il singolare è plurale273.

È l’essere - a parte dell’essere stesso e nell’essere stesso: è l’essere di volta in volta che attesta il fatto che l’essere ha luogo solo di volta in volta. Ciò che si defini- sce “società”, nel senso più ampio del termine, è quindi la cifra di un’ontologia che resta ancora da mettere in luce. Nessuno finora ha teorizzato fino in fondo il “con” come tratto essenziale dell’essere, come la sua stessa essenza singolare plurale274.

Ecco qual è il significato dell’inquietudine moderna, che non ha molto a che fa- re con una “crisi della società”, ma ha molto più a che fare con una sorta di ingiun- zione che la “socialità” o la “sociazione” degli uomini rivolge a se stessa, o che essa riceve dal mondo: dover essere solo ciò che essa è, ma dover infine essere essa stessa

272 Ivi, p. 45. 273 Ivi, p. 47.

l’essere in quanto tale275. Da una parte abbiamo il dispiegarsi di un mondo, dall’altro il venir meno delle rappresentazioni del mondo. Questo implica nientemeno che un mutamento nei rapporti “filosofia-politica”. Se da una parte non si tratta più di una sola comunità, della sua essenza, della sua chiusura e della sua sovranità, dall’altra non si tratta più nemmeno di subordinare la comunità ai decreti di una sovranità. Altra, o ai fini della storia. Ma non si tratta neppure di considerare la socialità come un accidente spiacevole ma inevitabile, come un obbligo da gestire come si può. La comunità è nuda ma imperativa.

Da una parte, dunque, il concetto di comunità o di città si rifrange in ogni sen- so276, dall’altra il concetto di comunità sembra perdere ogni contenuto tranne quello del proprio prefisso, il cum, il con, sprovvisto di sostanza o di legame, spogliato di interiorità, soggettività e personalità. Insomma, la sovranità non è nient’altro che il

con e come tale sempre da completare277.

Si tratta di riflettere sulla questione seguente: se la sovranità è stata il grande termine politico per definire la comunità, senza nulla al di fuori di essa, senza altro fine o fondamento al di fuori di se stessa, come può essere considerata invece nella sua nudità del con ? La sovranità nuda presuppone che si prendano le distanze dall’ordine filosofico-politico e dalla filosofia politica classica, non per favorire un pensiero depoliticizzato, ma per favorire un pensiero che rimetta in cantiere la costi- tuzione, l’immaginazione e il significato stesso del politico, o che permetta di ritrarne il profilo nel suo stesso ritrarsi e a partire dal suo ritrarsi. Il ritrarsi del politico è lo scoprimento, il denudamento ontologico dell’essere-con278.

Non si tratta di “un’ontologia della società” nel senso di “un’ontologia regiona- le”, ma l’ontologia stessa intesa come una “socialità” o una “sociazione” più origina-

275 Una simile formula è in prima battuta un’astrazione tautologica scoraggiante, ma il compito attuale

è quello di spezzare la scorza dura della tautologia: che cos’è l’essere-con dell’essere?

276 Ed è per questo che spuntano in maniera multiforme e caotica l’infranazionale, il sovranazionale, il

paranazionale e le diverse dis-locazioni del “nazionale” in genere. J.-L. NANCY, Essere singolare

plurale, cit.

277 J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit.,p. 51 278 Ivi, pp. 52-53.

ria di qualsiasi società, “individualità” o essenza dell’essere, l’essere è con, è come con dell’essere stesso (il co-essere dell’essere). L’essere si fa evento, storia e mondo come essere singolare plurale, indistintamente e distintamente allo stesso tempo. In questa forma l’essere è simultaneo. La singolarità dell’essere è il suo plurale.

L’essere, pertanto, non si identifica come tale279.

Dunque, l’essere co-incide con se stesso solo nella misura in cui questa co- incidenza spicca subito ed essenzialmente per la co-struttura del suo evento (inciden- za, incontro, angolo di pendenza, shock, accordo discordante). L’essere co-incide con l’essere: in altri termini, l’essere è la spaziatura, è il sopraggiungere – la spaziatura sopraggiungente – del co-singolare plurale280.

Ci si potrebbe chiedere perché occorra chiamare ancora “essere” qualcosa la cui essenza si riduce a un prefisso dell’essere, ad un co- al di fuori del quale non c’è nulla, null’altro che gli essenti o gli esistenti, ma non c’è alcuna sostanza o consi- stenza propria dell’essere in quanto tale. Il co- definisce bene l’unità e l’unicità di ciò che in generale è. Quanto si deve afferrare è per l’appunto la costituzione di quest’unica unità come “co”: il singolare plurale281.

Un soggetto unico non potrebbe neppure designar-si e riferir-si a sé come sog- getto. Il con è dunque il presupposto del “sé” in generale282.

Prima dell’intenzionalità fenomenologica e prima della costituzione egologica, ma anche prima della consistenza cosale in quanto tale, c’è la co-originarietà del con. Non c’è dunque anteriorità in senso proprio: la co-originarietà è la struttura più gene- rale di ogni con-sistenza, di ogni co-stituzione e di ogni co-scienza. Per cui, è un “con” originario o trascendentale che esige ormai, con una sensibile urgenza, di

279 Per una lettura decostruttiva del “come tale” dell’essere nell’ontologia fondamentale, cfr. la disser-

tazione di Dea di Yves Dupeux, Strasbourg 1994.

280 J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 54.

281 Ivi, p. 55. “L’Uno è più dell’uno, non perché si divide, ma perché uno è uguale a più uno, perché

non si può contare uno senza contare più d’uno. È il più “dell’esposizione” = della manifestazione all’esterno. L’Uno puramente uno non può essere né esposto né contato. Mentre l’uno veramente uno è sempre più dell’uno: è il suo essere in sé co-presente”.

essere demarcato o articolato. Anche se si tratta di un concetto tra i più difficili: a questo “originario” o a questo “trascendentale”,infatti, non si “risale”, poiché esso è strettamente contemporaneo a ogni esistenza e a ogni pensiero283.

La teoria del singolare plurale di Jean-Luc Nancy, ci porta sia a rivalutare il concetto di “soggettività” classico del solipsismo, sia a rinnovare il concetto di co- munità e di politica per una nuova teorizzazione politica della comunità. Il ritrarsi del politico e del religioso – o del teologico politico – non ha altro senso che il ritrarsi di ogni spazio, istanza, o schermo di proiezione di una qualunque immagine della co- munità284.

In questi ultimi tempi la figura del nemico è presa nell’incrocio di un doppio movimento. Infatti, la visibilità del nemico, la sua presa di parola, ha una duplice voce: l’una viene dal mondo esteriore degli eventi, l’altra tenta di rispondere al loro carattere irriducibile e di ripiegare quindi nel mondo interiore della riflessività uma- na. L’una riguarda in modo deciso i molteplici conflitti che attraversano il pianeta, la loro incontrollata violenza sulla vita e sulla morte, il loro tragico mostrarsi localmen- te e globalmente. L’altra riguarda l’intensificarsi di un pensiero riparatore ossia la tendenza ad affogare il tema del nemico nella più nobile ma anche più sospetta filo- sofia sui rapporti tra Sé e l’Altro.

L’altro che si erge come diversità, la diversità che tuttavia deve essere “accol- ta” e “ospitata”. L’Altro che non si può conoscere sino a quando non si manifesti nella propria persona.

Un dire che, ispirato ai modelli più classici dell’umanesimo, mette al centro del discorso l’individuo e la sua natura umana, ma – costretto a confrontarsi con la realtà

283 Ivi, p. 57.

284 La co-esistenza o comunità husserliana si limita a essere una correlazione di ego, e l’egologia

cosiddetta solipsista resta ancora la filosofia prima. Fuori della filosofia, è notevole che non sia la teoria sociale o politica ad essersi avvicinata maggiormente all’enigma della co-ipseità, e dunque di un’etero ipseità. Ma lo hanno fatto invece: da una parte l’etnologia, posta sempre più a confronto coi fenomeni della co-appartenenza; e dall’altra il Freud della seconda topica, la cui triplice determinazio- ne è dettata, in fin dei conti, da una co-esistenza di principio, Es, super-Io, rappresentano l’essere con che costituisce l’io. Si potrebbe dire altrettanto della teoria lacaniana del significante, nella misura in cui quest’ultimo non rinvia semplicemente ad un significato, ma istituisce la mutua correlazione dei soggetti. J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit., pp. 62-63.

che quegli stessi modelli hanno socialmente costruito – si fa incline a cogliere in difetto lo statuto di individuo a sentirne la polarità negativa anziché positiva. Un Io quindi dilaniato dal terzo, cioè dalla terza persona singolare e plurale che il soggetto sente non come l’altro da sé che lo contrasta e lo smentisce, ma come figura della propria volontà di essere al mondo per essere il mondo, di essere la molteplicità in cui si esprime la totalità dell’essenza umana. Perché questo dominio universale dell’identità si possa davvero esprimere ci vorrebbero dei linguaggi adeguati, in grado di dare una lettura diversa della persona umana, dei linguaggi capaci di legare l’Io e il Tu in un patto di solidarietà senza resti né scarti, nell’ambito di un rapporto veramente dialogico dove la conflittualità viene trasformata in mediazione285.

In tema di estraneità bisogna riconoscere come la società dello spettacolo sia responsabile del pieno compimento dell’alienazione, grazie a un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva; ma la merce spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa imma- ginazione autentica. Ciò di cui si fa un commercio universale è per l’appunto una rappresentazione dell’esistenza come invenzione e come evento appropriante di sé286. Il situazionismo è giunto alla conclusione che le “scienze umane” hanno finito per costituire questa auto-simbolizzazione della società che non è, in realtà, una simbolizzazione, ma soltanto una rappresentazione di un soggetto che non possiede altra soggettività al di fuori di questa stessa rappresentazione. Le scienze umane costituiscono infatti, in modo sempre più evidente, l’autentico supporto di ciò che è stato definito lo “spettacolo” generalizzato; ciò che si pone in tutta la sua gravità nella questione dei “media”287.

285 Sul tema delle diversità sociali v. V. GIORDANO, S. MAZZELLA, Aspettando il nemico. Percorsi

dell’immaginario e del corpo, Roma, 2006, pp. 291-292. Cfr. R. MELILLO, L’Io che non c’è, Milano,

2008, passim.

286 J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 70.

Nella situazione di scarsità di potenza l’Apparato subordina a sé la felicità dell’uomo – la felicità così come essa è interpretata nelle varie forme di ideologie (visto che l’ideologia è un modo specifico di interpretare la felicità dell’uomo, ossia la liberazione dal dolore e dall’angoscia, e di proporne la realizzazione. L’individuo vuole servirsi dell’Apparato per liberarsi dal dolore (ossia dal modo in cui il dolore si presenta nelle diverse interpretazioni di esso, e finisce col subordinare questa libera- zione al potenziamento infinito dell’Apparato288

da, vivente, originaria, e sempre Altra. Cfr. J.-L.NANCY, Essere singolare plurale, cit., p. 71.

PARTE SECONDA

ASPETTI GIURIDICI, CRIMINOLOGICI

E DI PSICOPATOLOGIA FORENSE

Introduzione

La presente ricerca ha anche lo scopo di mettere in evidenza l’importanza di in- tervenire per curare le problematiche attuali con un approccio che non investa soltan- to i sintomi ma vada alla radice delle difficoltà, soprattutto per evitare, a fronte di emergenze di carattere penale, che si ricorra prioritariamente allo strumento repressi- vo.

Una politica integrata della protezione dei diritti, nella quale agiscono sinergi- camente in senso preventivo o reattivo, diverse agenzie dello Stato e della società, viene considerata la reale alternativa al monopolio delle agenzie del sistema punitivo sui problemi della sicurezza, alla legislazione simbolica, alle tendenze autoritarie del diritto penale. Bisogna intervenire per modificare variabili concettuali-simboliche, comportamentali, situazionali e sociali che influiscono o possono influire su di essi, per rispondere ai problemi della sicurezza in modo differenziato e adeguato alla complessità dello scenario attuale289.

Va innanzitutto respinto il modello di interventi giudiziari di tipo esemplare- profetico, tendente a dare un’immagine passionale, individualistica, moralistica e vendicativa della giustizia290, anche se la mancanza di equilibrio, in realtà, riguarda tutto il sistema per le ragioni che sono state ampiamente esposte nella prima parte di questa ricerca.

Altro problema riguarda la rinnovata esaltazione del carcere nella sua dimen- sione meramente afflittivo-deterrente, senza alcuna preoccupazione relativa alla risocializzazione e/o desocializzazione dell’individuo, e lo spregiudicato utilizzo della custodia cautelare, sintomo di una politica criminale fondata soprattutto sulle emozioni collettive piuttosto che su un complessivo programma socio-politico.

289 A. BARATTA, Introduzione a S. MOCCIA, La perenne emergenza, cit.

È necessario soprattutto affrontare con metodo critico il fallimento di un con- cetto come quello di pericolosità sociale rivelatosi, in tutti i suoi aspetti, un mero strumento pubblico di selezione dei soggetti ritenuti “diversi”, “estranei”, per distin- guerli dal resto della popolazione e ripensare all’individuo secondo una prospettiva rinnovata anche alla luce degli spunti proposti dai filosofi contemporanei.

C

APITOLO

P

RIMO

Il concetto giuridico di pericolosità sociale

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Struttura giuridica dell’istituto. Componente soggettiva e