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L’individuo nella società contemporanea

co-immunità. La paura dell’Altro da sé. – 3. Diritto penale del nemico e meccanismo di controllo. – 4. Pericolosità attuariale. Nuovi scenari politico sociali. – 5. Il “sospetto” nella prevenzione della pericolosità sociale. – 6. Verso una nuova soggettività. – 7. Un Io com-partecipe: I’l’Io singolare-plurale. – 8. Conclusioni. (premessa)

1. L’individuo nella società contemporanea

A parere del sociologo Robert Castel, quello che correttamente chiamiamo “si- curezza sociale”, costituisce, allo stato attuale, un vero e proprio diritto per la mag- gioranza della popolazione, garantito attraverso un insieme di istituzioni sanitarie e sociali deputate a farsi carico della salute, dell’educazione, delle incapacità connesse alla età, delle deficienze fisiche e psichiche. Tale tipologia di società viene da questo autore denominata “società assicurante”, poiché assicura, come fosse un diritto, la sicurezza dei propri membri. Detto al contrario, l’insicurezza non sarebbe l’assenza di protezioni quanto piuttosto il loro rovescio: la loro ombra proiettata in un universo sociale organizzato attorno ad una richiesta, senza fine, di protezioni o attorno ad una travolgente ricerca di sicurezza. Questo sta comportando l’apprestamento di sistemi

di sicurezza, rappresentati da costruzioni complesse, e fragili allo stesso tempo, che portano in se stessi il rischio di fallire nei loro compiti e nel deludere le aspettative dei membri in attesa di sicurezza178.

In questo sistema la nuova politica penale dissolverebbe non solo la nozione di “soggetto”, ma anche quella di “individuo” e al suo posto collocherebbe una combi- nazione di “fattori di rischio”. Questo fenomeno permette così di spostare l’attenzione dalla “pericolosità” di specifici soggetti alla generica nozione di “ri- schio”179.

Quella di pericolosità appare oggi, pertanto, una nozione superata e paradossa- le: essa infatti, come una qualità immanente al soggetto può essere provata solo dopo che il soggetto stesso ha commesso il delitto. La pratica concreta ha infatti dimostra- to l’impossibilità di addivenire ad una conoscenza scientificamente valida circa le qualità intrinseche dell’uomo. L’imputazione della pericolosità pertanto, secondo i canoni giuridici, risulta sempre ipotetica, poiché si tratta di una relazione più o meno probabile tra sintomi presenti e certi eventi dannosi futuri. Stesso discorso vale per la recidiva dei criminali, un qualcosa che non può essere previsto o può essere previsto solo con grandi margini di incertezza.

Il fulcro delle nuove politiche penali è basato, non a caso, sulla dissociazione tra la nozione di rischio e quella di pericolosità. Il rischio non è più ricondotto a specifiche persone pericolose, ma ad una serie di fattori astratti che rendono più o meno probabile la commissione di un delitto. La criminologia attuariale non si rivol- ge ad individui, ma a fattori di rischio, a correlazioni statistiche di elementi eteroge- nei. Obbiettivo delle nuove politiche criminali non è risolvere una situazione concre- ta, affrontare e contenere uno specifico soggetto "pericoloso", ma prevenire il possi- bile manifestarsi di comportamenti indesiderati. La prevenzione promuove il sospetto al rango scientifico di calcolo delle probabilità. Per essere sospettati non è più neces-

178 Al riguardo si consulti R. CASTEL, L’insicurezza sociale, Che significa essere protetti?, Torino,

2011, Introduzione.

179 Al riguardo: R. CASTEL, From Dangerous to Risk, in G. BURCHELL, C. CORDON, P. MILLER, The

sario manifestare dei sintomi particolari di pericolosità, è sufficiente avere quelle caratteristiche che i responsabili della sicurezza ritengono, in base ad induzioni stati- stiche, fattori di rischio180.

Si è in effetti delineato un modello di società duale o a due velocità. Su un bi- nario iperveloce viaggiano i soggetti che soddisfano i duri requisiti della competizio- ne economica, su un binario secondario vengono collocati i soggetti marginali che non riescono a reggere il ritmo o ad entrare nel circolo della competitività. La stessa marginalità, invece di essere un terreno selvaggio e inesplorato, diventa una zona sociale organizzata verso cui dirigere quelle persone che, per le loro caratteristiche, sembrano in astratto inadatte ad inserirsi nel circuito della competizione economica.

Questo dato non deve sorprendere più di tanto. Le nuove politiche penali non fanno infatti altro che rispecchiare la sclerosi di quella che Peter Glotz ha definito "la società dei due terzi"181 una società cioè in cui una quota rilevante di cittadini è esclusa dal benessere e dal possesso degli strumenti politici necessari per rivendicar- lo. Nei vari sistemi di Welfare i circuiti dello scambio politico ed economico hanno operato una discriminazione sistematica fra gli interessi protetti da organizzazioni dotate di un forte potere contrattuale, quelli protetti da associazioni che non occupa- no posizioni strategiche e, infine, quelli "diffusi" che non dispongono di alcuna

180 Cfr. A. DE GIORGI, Zero Tolleranza. Strategie e pratiche della società di controllo, Roma, 2000.

Le “ingiustizie” che possono derivare dal metodo attuariale sono messe in conto dal primo documento che ha proposto in Europa una politica criminale ad essa inspirata: il Floud Report, redatto in Inghil- terra nel 1981, in piena epoca thatcheriana. Dal rapporto emerge la consapevolezza che la strategia attuariale può facilmente produrre ingiustizie. Si riconosce infatti che ogni giudizio predittivo può essere errato in due sensi: si può trattare di un “falso positivo”, quando si prevede un evento che non si verifica, o di un “falso negativo”, quando si esclude preventivamente un evento che poi accade. Più “falsi negativi” si verificano meno il sistema attuariale è efficiente, meno sicurezza garantisce. I “falsi positivi” si risolvono invece inesorabilmente in un ingiusto pregiudizio per i diritti degli individui riguardo al cui comportamento la predizione è sbagliata. Infatti se si reclude una persona che non è in effetti pericolosa, si commette una grave ingiustizia senza alcun giovamento per la sicurezza pubblica. Questo rischio non è solo cinicamente messo in conto, ma anche candidamente giustificato: le nuove politiche penali devono ridistribuire un carico di rischio che lo Stato non è in grado di ridurre e il miglior modo per farlo è quello attuariale.

181 La citazione è riportata nel testo DI CATARCI, Le forme sociali dell’educazione. Servizi, territori,

società, Milano, 2013, p. 60, relativamente alla trattazione dei meccanismi di esclusione e di disugua-

glianza sociale che sembrano avere acquisito, ormai, un carattere strutturale all’interno della attuale realtà sociale.

protezione efficace. A questi fenomeni si somma, da almeno un ventennio in Europa e da molto più a lungo negli Stati Uniti, quello dell’immigrazione di masse di disere- dati, provenienti da aree continentali caratterizzate da un tasso di sviluppo scarso o nullo e da un’elevata densità demografica, alla ricerca disperata dei vantaggi offerti dall’appartenenza a "cittadinanze pregiate". Questa situazione ha finito per dar vita ad una massa di soggetti economicamente e politicamente molto deboli, esclusi dall’effettivo godimento di quasi tutti i diritti. La garanzia dei diritti a favore delle maggioranze e la parallela necessità di dover restringere le garanzie sociali per la crisi fiscale dello Stato ha trasformato, come ha sostenuto J.K. Galbraith182, le demo- crazie opulente in "dittature di una classe soddisfatta": i ricchi, gli abbienti, i bene- stanti, che sono sempre esistiti, ma che in passato erano minoranza, oggi sono diven- tati maggioranza. Queste condizioni storico-sociali hanno portato alla produzione in tutti i paesi nord-occidentali di quella che è stata definita una underclass, una sotto- classe sociale più o meno estesa, spesso connotata anche in termini etnici, cui è negato l’accesso legittimo alle risorse economiche e sociali disponibili e che viene rappresentata come pericolosa, vissuta come una minaccia per la sicurezza urbana. Cinicamente si dovrebbe probabilmente gioire perché il potere finalmente rinuncia alla maschera della retorica dell’uguaglianza dietro cui si era a lungo nascosto, ma forse quella che chiamiamo civiltà (giuridica) non è che un insieme di maschere che ognuno deve indossare, primo fra tutti il Leviatano statale183.

Per contrastare tale fenomeno di irrigidimento dell’individuo su se stesso, e di diffidenza verso l’altro da sé, bisognerebbe acquisire una visione contro-identitaria ed andare, pertanto, oltre la propria identità. In tal caso, il primo passo da compiere sarebbe quello di uscire da una logica puramente identitaria ed essere disposti a compromessi e condizioni che, inevitabilmente, indeboliscono le pretese solitarie,

182 V. J.K. GALBRAITH, La società opulenta, Milano, 2014, passim. Il predetto saggio, scritto circa 50

anni fa, possiede ancora contenuti molto attuali. Infatti, i problemi della società attuale, essenzialmen- te di carattere economico, sono radicati in scelte avvenute indietro nel tempo con la nascita del capita- lismo.

183 Cfr. M. PAVARINI, Introduzione a... La Criminologia, Firenze, 1980. Trattazione svolta anche da

tendenzialmente narcisistiche e autistiche dell’identità. Uscire dalla logica identitaria significa, inoltre, essere disposti a riconoscere il ruolo formativo, e non semplice- mente aggiuntivo o oppositivo, dell’alterità184.

“Tale principio viene posto in rilievo poiché l’esperienza ha dimostrato come a livello individuale e collettivo l’identità possa cristallizzarsi fino al punto di chiudersi e disconoscere le connessioni con lo sfondo di ogni vicenda. Questa impostazione implica l’adozione di una visione dinamica della realtà a tutti i suoi livelli. La vera realtà – fisica, psicologica, culturale – è un sistema complesso, caotico, che scorre nel tempo e rappresenta un flusso185.

Questa conclusione, già avviata sul piano della psicologia individuale – laddo- ve si riconosce che, in un certo senso, siamo tutti composti da una molteplicità di “io” e di “sé” – non è altro che la nozione di un sé intrinsecamente relazionale, discontinuo, di un “io che diventa noi”. Tale concezione registra, da tempo, varie convergenze186.

Bisognerebbe, pertanto, riprendere il dialogo con la precarietà, che è poi la li- bertà a cui si è ricondotti o a cui si è condannati tutte le volte che si depongono, sia pure per un istante, maschere e finzioni.

Non è detto che tale disponibilità sia la via portata a salvarci, ma è abbastanza certo che, l’atteggiamento opposto, ossia l’ossessione della purezza e della propria identità, ha prodotto qui come altrove, le maggiori rovine”187.

184 V. l’opera del sociologo F. REMOTTI, Contro l’identità, Saggio di antropologia culturale, Roma-

Bari, 1996, p. 99.

185 Ivi, p. 12. 186 Ivi, p. 101. 187 Ivi, pp. 103-104.

2. Pericolosità sociale e “auto-co-immunità. La paura