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Influenza delle categorie disciplinari sul fondamento del

A partire da una certa idea del fondamento del diritto di punire, che si può tro- vare nei penalisti o nei filosofi del XVIII secolo, benché fossero disponibili diversi mezzi di punizione, accade che in qualche modo venga privilegiata la prigione. Essa non è stata il solo mezzo per punire ma è diventata il mezzo principale. Perché si è scelto questo mezzo?71.

La modalità di punizione insita nel sistema penitenziario infatti, non solo ha modificato la pratica giudiziaria ma ha influito su varie problematiche attinenti al diritto penale. Così l’importanza data agli aspetti psicologici o psicopatologici della personalità del criminale, che si afferma lungo tutto il XIX secolo, è stata, fino ad un certo punto indotta da una pratica punitiva che si dava come fine la correzione e che non riscontrava nient’altro che l’impossibilità di correggere72.

Vediamo il discorso penale e il discorso psichiatrico incrociare le loro frontie- re. Chi governa la giustizia non governa più la sua verità.

Detto sistema sembra permanere anche ai giorni nostri: il giudice, infatti, risul- ta sempre più interessato a conoscere le patologie e i disturbi di personalità dell’artefice di un’infrazione penale. A ciò consegue la tendenza a far ricadere il giudizio penale su un insieme di qualità tendenti a definire un’esistenza e un modo di essere dell’autore di reato, più che a riferirsi ad un atto ben preciso. Il meccanismo della medicalizzazione della giustizia conduce a non riconoscere la giusta rilevanza al diritto penale del fatto. Il soggetto di diritto cede sempre di più lo spazio al nevro- tico o allo psicopatico, più o meno irresponsabile, la cui condotta sarebbe determina- ta da fattori psico-biologici73.

71 M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., par. “Cos’è che chiamiamo punire?”, p. 272. 72 Ancora Ivi, p. 273.

73 Proseguendo con M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., “Intervista a M. Foucault”, pp.

276, 279. Secondo Foucault viviamo in una società del pensiero politico dove non vi è nessuna rifles- sione d’insieme che permetta di articolare dei progetti riguardo la penalità, la medicina e la sicurezza sociale.

Il delinquente infatti, viene considerato affetto da una diversità somatica che riprende il tradizionale discorso lombrosiano. Attraverso il “sistema correzionale” e il “sistema della riabilitazione” le frange marginali possono diventare nuovamente “utili” e quindi recuperabili, reinseribili all’interno di una struttura di subordinazione (che è poi la forma perenne delle politiche riabilitative sin dall’origine)74.

Nel XIX secolo a questo gruppo di marginali si dava il nome di “classi perico- lose”. (Attualmente si assiste ad un fenomeno similare.) Si distinguevano infatti, le “società dell’esilio” (es. quelle greche), “le società dell’assassinio”, della tortura e della purificazione; e infine, le “società della reclusione”, diventato il nostro model- lo penale a partire dai secoli XVI e XVII. In quest’ultimo caso, l’internamento mira non solamente a punire, ma anche ad imporre attraverso la costrizione un certo mo- dello di comportamento per acquisire un consenso forzato dei valori insiti nella società75.

Il problema a cui Foucault risulta interessato riguarda il sistema penale, il mo- do in cui una società definisce il bene e il male, ciò che è permesso e ciò che non lo è, il legale e l’illegale, il modo in cui essa definisce le infrazioni e tutte le trasgres- sioni alla sua legge. L’autore è interessato alle istituzioni e alle pratiche, alle cose in qualche modo al di sotto del dicibile76.

L’idea che la prigione fosse in sé una punizione era totalmente estranea al Me- dioevo, e le pratiche di questo genere non esistevano in quella società. Solamente quando il capitalismo nella sua fase iniziale si trovò ad avere a che fare con problemi nuovi, soprattutto quello della manodopera, dei disoccupati, e quando la società del XVII secolo conobbe grandi insurrezioni popolari, in Francia, in Germania e anche

74 M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Nascita della prigione, traduzione di A. Tarchetti, cap. III, Il

Panoptismo, Einaudi, Torino, 1975, pp. 213 ss. In quest’opera viene dettagliatamente illustrato il

ruolo giocato dalla “delinquenza”, il modo in cui la società del “panottismo” descrive e classifica gli illegalismi e la criminalità. Dalle argomentazioni riportate si evince come la delinquenza costituisca il dispositivo pratico-discorsivo che permette alla società dell’ottocento e del Novecento di dire, di leggere, interpretare e costruire la criminalità.

75 M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., titolo del tema specifico: “Io scorgo

l’intollerabile”, pp. 39, 51, 52.

76 M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., titolo del tema: “Un problema m’interessa da

in Inghilterra, si cominciò a fare ricorso alla reclusione. Le prigioni permettevano di eliminare come pericolosa solo una certa parte della popolazione, senza che questa eliminazione avesse conseguenze economiche catastrofiche, come accadeva invece quando si invadevano le regioni insorte. In un certo senso si trattava di una forma di profilassi77.

Se nel sec. XVII prese corpo una sorta di reclusione generale, alla fine del XVIII sec. e all’inizio del XIX sec., all’epoca, quindi, della Rivoluzione francese, si cominciò a fare delle distinzioni: i malati mentali in manicomio, i giovani negli istituti di rieducazione, i delinquenti in prigione. Attualmente, per ragioni che non si comprendono ancora molto bene, si sta ritornando ad una sorta di reclusione genera- le, indifferenziata, che si delinea in una forma discreta, più velata, secondo una mo- dalità apparentemente scientifica. Tutte le istituzioni che appaiono “umanitarie” hanno come funzione comune la sorveglianza, il mantenimento sotto controllo delle esigenze marginali che non sono né veramente criminali né veramente patologiche78.

La grande reclusione è stata generalmente praticata nella società capitalista. E sintomo di capitalismo è anche la misura della confisca dei beni. Il controllo di una gran parte delle ricchezze nazionali da parte del potere regio nel passato è stato un processo compiuto attraverso il sistema penale. Significativo risulta il fatto che l’attuale sistema penale sia sempre più orientato verso la confisca dei beni come modulo di gestione della “pericolosità” dell’individuo.

Aspetto di rilievo è costituito dall’interiorizzazione dell’ideologia borghese ad opera del proletariato. Al riguardo, si distingue tra proletariato integrato (buona parte in quest’opera l’hanno avuta i sindacati dei lavoratori) e proletariato rimasto margi- nale. Oggi viviamo un primo ricongiungimento, una riconciliazione tra una parte del proletariato e la parte non integrata della popolazione marginale. Quel che è in di-

77 Ivi, pp. 76-77. 78 Ivi, p. 78.

scussione è lo statuto del plebeo marginale nella società capitalista; lo statuto delle persone che si sono perdute79.

D’altro canto, il tribunale non sarebbe l’espressione naturale della giustizia po- polare ma piuttosto rivestirebbe la funzione storica di recuperarla, controllarla, stroz- zarla, riscrivendola all’interno di istituzioni caratteristiche dell’apparato di stato.

Dopo lo smembramento dello stato carolingio, la giustizia quale strumento nel- le mani dei signori è divenuta uno strumento d’appropriazione, un mezzo di coerci- zione, e nel contempo una risorsa poiché produceva un reddito unitamente alla rendita feudale.

Tra l’altro, la giustizia venne accostata, come strumento di potere, alla forza armata. Sostituire alle guerre private una giustizia obbligatoria e lucrativa, imporre una giustizia in cui si è contemporaneamente giudice, parte e fisco, al posto delle transazioni e delle composizioni, imporre una giustizia che assicura, garantisce e aumenta in notevoli proporzioni il prelievo sul prodotto del lavoro, implica che si disponga di una forza di costrizione. È su uno sfondo di guerra sociale, di prelievo fiscale e di concentrazione delle forze armate che si è stabilito l’apparato giudizia- rio80.

Per quanto concerne i rimedi, la rivoluzione viene considerata uno strumento utile per l’eliminazione radicale dell’apparato della giustizia e di tutto ciò che può rievocarne l’ideologia e permettere alla stessa di insinuarsi surrettiziamente nelle pratiche popolari.

Infatti, la colonizzazione non è più possibile in forma diretta e l’esercito non può più svolgere lo stesso ruolo di un tempo. Di conseguenza vi è un rafforzamento delle forze di polizia, un “sovraccarico” del sistema penitenziario che deve da solo svolgere tutte quelle funzioni istituzionali. Il controllo capillare e quotidiano della polizia, i commissariati, i tribunali (e in modo particolare quelli della flagranza nel

79 Ivi, pp. 79, 81, 85.

80 M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., titolo del tema affrontato: “Sulla giustizia popola-

re”, pp. 86, 88-89. Da tali riflessioni si deduce il perché in Francia e nell’Europa occidentale l’atto di

delitto), le prigioni, la sorveglianza post-penale, tutta la serie dei controlli che costi- tuiscono l’educazione sorvegliata, l’assistenza sociale, devono svolgere uno dei ruoli che svolgevano l’esercito e la colonizzazione, estromettendo gli individui e facendoli espatriare. Ciò corrisponde al modello fascista: polizia, controllo capillare interno, reclusione81.

La giustizia penale non è stata introdotta né dalla plebe, né dai contadini, né dal proletariato, ma proprio dalla borghesia, come strumento tattico importante nel gioco di divisioni che quest’ultima voleva introdurre. Siffatto apparato giudiziario ha avuto effetti ideologici specifici su ciascuna delle classi dominanti e vi è in particolare un’ideologia del proletariato che è stata resa permeabile ad un certo numero d’idee borghesi relative al giusto e all’ingiusto, al furto, alla proprietà, al crimine, al crimi- nale.

Queste sono armi di cui si è servita la borghesia per esercitare il suo potere. Molto spesso è proprio attraverso gli intellettuali, che svolgono il ruolo di procurato- re o di giudice, che la borghesia ha avuto la possibilità di diffondere tale ideologia. Ossia l’ideologia morale – perché che cosa è la nostra morale se non ciò che non ha mai cessato di essere rinnovato e riconfermato attraverso le sentenze dei tribunali.

Tutto il sistema penale è in fondo orientato verso la morte e retto da quella. La prigione non è l’alternativa alla morte. Essa porta la morte con sé. In carcere si tratta di una questione di vita o di morte, non certo di correzione. In prigione viene punito chi cerca di uccidersi e quando la prigione si stanca di punire, uccide82.

Non è la pratica ma la teoria del crimine ad essere completamente censurata. Ed è precisamente nello spazio bianco di questo discorso esplicitamente vietato (e non rimosso) che la criminologia, la sociologia e la psicologia del crimine si sono collocate: esse si sono incaricate di fare esistere a loro volta la criminalità come fenomeno d’insieme, e in modo che questa si esprimesse solo come oggetto di sape-

81 M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., titolo del tema affrontato: “Sulla giustizia popola-

re”, pp. 96-98, 100. A parere di Foucault, l’apparato giudiziario e l’intero sistema penale hanno

sempre funzionato in modo da introdurre contraddizioni in seno al popolo.

re, come un campo d’analisi, come un tema di riflessione, condotta da altri e per altri. “Partner abile e docile la criminologia risponde come si deve ai racconti d’avventura. Essa riconduce tutte le irregolarità dell’avventura individuale a un profilo generale che precisamente porta il nome di devianza”83.

Si rammenta come in occasione di tutte le rivoluzioni politiche del XIX secolo – quelle del 1830, 1848, 1870 – si verificarono sempre anche rivolte nelle prigioni. Benché la stampa non abbia praticamente mai parlato di rivolte nelle prigioni, la- sciando credere che per settanta anni vi avesse regnato calma, la realtà era ben diffe- rente.

Viviamo all’interno di un sistema punitivo dove la prigione non è che una parte del sistema penale, il quale a sua volta è solo una parte del sistema punitivo. La società capitalistica poggia su tutta la rete di pressione punitiva che si esercita sugli individui. Il sistema penale è un sistema di potere che penetra in profondità nella vita degli individui e che verte sul loro rapporto con l’apparato produttivo. Affinché gli individui siano una forza lavoro disponibile per l’apparato produttivo occorre un sistema di costrizioni, di coercizione e di punizione, un sistema penale e un sistema penitenziario. E tutto ciò riguarda soprattutto la quotidianità dell’individuo, la sua sfera di relazioni fino al rapporto che intrattiene con se stesso84.

Dall’inizio del XIX sec. è esistita tutta una serie di istituzioni che hanno fun- zionato sulla base dello stesso modello, quello del “panottico”: istituzioni di sorve- glianza in cui gli individui erano fissati sia a un apparato produttivo, ad una macchi- na, a un mestiere, ad un laboratorio, ad un apparato scolastico, punitivo, correttivo, sanitario. Gli individui erano legati ad un determinato apparato, costretti a obbedire

83 Ivi, p. 119.

84 Foucault non è d’accordo sul concetto di “contenuto politico”. Secondo il suo punto di vista è

decisamente politico tutto ciò che riguarda il modo di mangiare, di nutrirsi, i rapporti tra un operaio e il suo padrone, il modo di amare, la sessualità, i vincoli familiari, il divieto di abortire ecc.; v. M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., p. 123.

Sul tema della repressione e della limitazione nella vita quotidiana si veda anche M.FOUCAULT, La

volontà di sapere. Storia della sessualità 1, cit., dove si afferma quanto segue: “Il carattere specifico

del potere – ed in particolare di un potere come quello che funziona nella nostra società – è di essere repressivo e di reprimere con una particolare attenzione le energie inutili, le intensità dei piaceri ed i comportamenti irregolari”, p. 15.

un certo numero di regole di esistenza inquadranti tutta la loro vita. Così, affinché l’uomo potesse trasformare il suo corpo, la sua esistenza e il suo tempo in forza lavoro e la potesse mettere a disposizione dell’apparato produttivo è stato necessario tutto un sistema di costrizioni. Difatti oggi le persone non sono più inquadrate dalla miseria ma dal consumo.

La prigione è coerente col sistema, salvo il fatto che il sistema penale non ha ancora individuato le forme insidiose e duttili che la pedagogia, la psichiatria, la disciplina generale della società hanno invece già trovato85.

Oggi c’è una specie di sorveglianza a coefficiente medico piuttosto forte. Il po- tere politico, ancor prima di agire sull’ideologia, sulla coscienza delle persone, si esercita in modo molto più fisico sul loro corpo. Il modo in cui si impongono dei gesti, degli atteggiamenti, degli usi, delle ripartizioni dello spazio, delle modalità di alloggiamento, e insomma tutta una distribuzione fisica e spaziale delle persone appartengono ad una tecnologia politica del corpo. La stessa modalità la ritroviamo nel metodo rieducativo, nel trattamento penitenziario, quale sistema “positivo” di eliminazione86.

Quanto al ruolo sociale dell’internamento, bisogna ricercarlo sul versante del personaggio che comincia a definirsi nel XIX sec.: il delinquente. La costituzione dell’ambiente criminale è senz’altro il correlato dell’esistenza della prigione. Si è cercato di costituire all’interno delle masse popolari un piccolo nucleo di persone che fossero considerate titolari privilegiate ed esclusive dei comportamenti illegali. Dei reietti, persone disprezzate e temute da tutti. Più delinquenti ci sono più la popola- zione accetta i controlli polizieschi creando il fenomeno della “contrapposizione” fra gli individui. Secondo l’analisi sociologica finora condotta, la classe al potere si servirebbe della minaccia della criminalità come di un alibi continuo per inasprire il controllo sulla società. La delinquenza fa paura, e si coltiva questa paura. Purtroppo

85 Sul punto si consulti M. FOUCAULT, L’emergenza delle prigioni, cit., pp. 125-127; ne è riprova la

pervasività del concetto di pericolosità sociale, di interesse per tutti i campi di esplicazione della restrizione della libertà personale: dalla fase di prevenzione, a quella cautelare ed infine quella esecu- tiva e penitenziaria.

come la paura del nemico fa “amare” l’esercito, così la paura dei delinquenti fa “amare” il potere poliziesco87.

Bisogna domandarsi se, in questo scenario culturale, l’inflizione delle pene av- venga al fine di reprimere i delitti o se piuttosto l’erogazione delle misure punitive abbia il ruolo negativo della repressione e quello “positivo” di legittimare il potere che emana le regole. Se così fosse, il meccanismo in questione esprimerebbe non tanto l’esigenza di punire quanto quella di operare una “sorveglianza” sugli indivi- dui. Non a caso, la forma “prigione” nasce molto prima della sua introduzione nel sistema penale. La troviamo in embrione in tutta quella scienza del corpo, della sua correzione, del suo addestramento che era acquisita nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali, nelle caserme.

L’apparato pubblico di polizia, invece, tipica invenzione francese che affascinò subito tutti i governi europei, viene ritenuto il supporto del sistema “panottico”, il cui binomio tende a produrre conseguenze importanti nella definizione e nel significato del ruolo assunto dalla delinquenza.

Oggi c’è la penalità dell’incorporeo. La nuova penalità oggi piuttosto che puni- re corregge e cura. Il giudice assume anche le funzioni di un medico. La società della sorveglianza vuole fondare il suo diritto sulla scienza. Si percepisce “il diverso” secondo una logica di “anormalità indifferenziata”.

A partire dal XVIII sec. s’impone una punizione a qualcuno non per punirlo per quello che ha fatto ma per trasformare la sua natura. Di qui la necessità di cedere il passo a persone che faranno sul crimine e sui criminali un discorso che potrà giu- stificare le misure in questione. Ciò evidenzia il legame stretto tra sapere e potere, e le incidenze di uno sull’altro88.

Non è possibile che il potere si eserciti senza sapere, non è possibile che il sa- pere non generi potere. Quest’ultimo consiste essenzialmente in un rapporto di forza, quindi, un rapporto di guerra, conseguentemente gli schemi che si devono utilizzare

87 Ivi, pp. 158-159, 166. Non bisogna dimenticare che l’apparato della polizia costituisce

un’invenzione recente, precisamente della fine del XVIII sec. e dell’inizio del XIX sec.

non devono essere presi in prestito dalla psicologia o dalla sociologia ma dalla stra- tegia. E dall’arte della guerra89.

La società cerca, per mezzo del sistema penale, di organizzare, disporre, rende- re politicamente ed economicamente vantaggiosa tutta una serie di relazioni tra legalità e illegalismi, e la società suona molto bene questo doppio spartito.

L’appello alla paura, rilanciato senza tregua dalla letteratura poliziesca, dai giornali e dai film, è l’appello alla paura del delinquente, tutta la formidabile mitolo- gia, apparentemente carica di gloria, ma nei fatti spaventosa, questa enorme mitolo- gia che si è costruita attorno al personaggio del delinquente, del gran criminale, ha reso in qualche modo naturale, ha naturalizzato la presenza della polizia in seno alla popolazione.

La prigione permette la recidiva, assicura la costituzione di un gruppo di delin- quenti professionalizzato e chiuso su se stesso. Ciò avviene per mezzo del casellario giudiziario, delle misure di sorveglianza, grazie alla presenza di informatori negli ambienti della delinquenza, con la conoscenza dettagliata che la prigione assicura di questo ambiente90.

Quando la gente è stanca di sapere cosa accade sul versante del crimine, accetta anche di non sapere cosa accade su quello della giustizia, che è amministrata in suo nome.

Se la giustizia si preoccupa di correggere un individuo, di conoscerlo nel fondo dell’anima per trasformarlo, tutto è diverso. Abbiamo a che fare con un uomo che ne giudica un altro. È sconvolgente vedere che presso i nostri giuristi o i moderni crimi- nologi, la nozione “retributiva” della pena è trattata con disprezzo91.

Se si ha a che fare con un criminale punire non ha un gran senso, a meno che la punizione non si inscriva in una tecnologia del comportamento umano. Ed ecco che i

89 Ivi, pp. 184 ss.

90 A parere di Foucault, la prigione è sorta perché sarebbe servita da strumento all’illegalismo della

classe al potere nei confronti dell’operaio la cui “moralità” era assolutamente indispensabile nel momento in cui si affacciava un’economia di tipo industriale.

criminologi degli anni 1880-1900 hanno cominciato a formulare degli enunciati stranamente moderni secondo i quali il crimine per il criminale non può che essere una condotta anormale, perturbata. Se disturba la società è perché egli stesso è di- sturbato. Bisogna dunque curarlo. Bisogna quindi sostituire all’apparato giudiziario