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La logica autoimmunitaria e le conseguenze di un eccesso d

Nel nostro tentativo di dominare i rischi presenti a livello potenziale, spesso scegliamo mezzi peggiori del problema che servono a combattere133.

Ad un livello puramente fenomenologico di discorso la categoria dell’immu- nizzazione si riconduce al meccanismo protettivo nei confronti di un rischio. Che ad essere insidiato sia il corpo individuale da parte di una malattia diffusa, il corpo politico da parte di un’intrusione violenta o il corpo elettronico da parte di un mes- saggio deviante, ciò che resta costante è il luogo in cui si situa la minaccia: che è sempre quello del confine tra l’interno e l’esterno, il proprio e l’estraneo, l’individuale e il comune, il Sé e l’Altro. Qualcuno o qualcosa penetra in un corpo, singolare o collettivo, e lo altera, lo trasforma, lo corrompe. Il termine che meglio si presta a rappresentare questa dinamica dissolutiva è quella di “contagio”. Ciò che prima era sano, sicuro, identico a se stesso, è ora esposto ad una contaminazione che rischia di devastarlo. Ciò che conferisce un particolare rilievo all’esigenza di immu- nizzazione è il carattere, insieme di accelerazione e di generalizzazione, che da qual- che tempo ha assunto tale deriva contagiosa134.

Quanto più il pericolo da cui la vita è incalzata circola indistintamente in tutte le sue pratiche, tanto più la risposta converge negli ingranaggi di un unico dispositi- vo: al rischio sempre più diffuso del comune risponde la difesa sempre più serrata dell’immune135.

Quello di “immunità”, oltre che privativo, è un concetto essenzialmente com- parativo: è la diversità rispetto alla condizione altrui – più che l’esenzione in sé stessa – il suo fuoco semantico. Al punto che si potrebbe ipotizzare che il vero anto- nimo di immunitas non sia il munus assente, bensì la communitas di coloro che, viceversa, se ne fanno portatori. Viene in primo piano il carattere antisociale e più

133 L. SVENDSEN, Filosofia della paura. Come, quando e perché la sicurezza è diventata nemica della

libertà, Roma, 2010, p. 60.

134 R. ESPOSITO, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Biblioteca Einaudi, Torino, 2002, p. 4. 135 Ivi, p. 7.

precisamente anticomunitario del concetto: l’immunitas non è solo la dispensa da un ufficio o l’esenzione da un tributo, ma qualcosa che interrompe il circuito sociale della donazione reciproca cui rimanda invece il significato originario ed impegnativo della communitas136.

Da un punto di vista biologico, la considerazione più generale sugli effetti di senso che tale fenomeno produce, in relazione al paradigma immunitario nel suo complesso, riguarda il fatto che lo stesso si presenta non come azione bensì come reazione. Più che di una forza propria si tratta dunque di un contraccolpo, di una controforza, che impedisce a un’altra forza di manifestarsi. Ciò significa che il mec- canismo dell’immunità presuppone la presenza del male che deve contrastare. È il rischio dell’infezione a giustificare la misura profilattica che riproduce in forma controllata il male da cui deve proteggere. Già qui comincia a profilarsi il rapporto tra protezione e negazione della vita poiché attraverso la protezione immunitaria la vita combatte ciò che la nega, ma secondo una strategia che non è quella della con- trapposizione frontale, bensì dell’aggiramento e della neutralizzazione. Il male va contrastato ma non tenendolo lontano dai propri confini. Al contrario, includendolo all’interno di essi. La figura dialettica che così si delinea è quella di un’inclusione escludente o di un’esclusione mediante inclusione137.

Questo meccanismo giustappone e collega, contemporaneamente, immunità e comunità facendo dell’una non soltanto lo sfondo contrastivo, ma anche l’oggetto e il contenuto dell’altra. Da questo punto di vista non va persa di vista la circostanza che l’immunità, in quanto categoria privativa, non assume rilievo che come modalità, appunto negativa, della comunità. Allo stesso modo in cui, da un angolo visuale specularmente rovesciato, la comunità appare oggi interamente immunizzata, attratta e risucchiata nella forma del proprio opposto. L’immunità è il limite interno che

136 Ivi, pp. 8-9.

137 Ivi, p. 10, dove si afferma che, il negativo non soltanto sopravvive alla sua cura, ma ne costituisce

la condizione di efficacia. Da qui il carattere strutturalmente aporetico della procedura immunitaria: non potendo raggiungere direttamente il proprio obiettivo, è costretta a perseguirlo rovesciato. Ma così facendo lo trattiene nell’orizzonte di senso del proprio opposto: può prolungare la vita solo facendole di continuo assaggiare la morte. Si può dire che questa antinomia attraversi tutti i linguaggi della modernità portandoli al loro esito autodissolutivo. Ivi, p. 11.

taglia la comunità ripiegandola su di sé in una forma che risulta insieme costitutiva e destitutiva: che la costituisce o ricostituisce, precisamente, destituendola138.

A parere di Simone Weil, la riduzione della vita a semplice materia vivente è attribuibile al carattere di per sé privato, e privativo, di ogni diritto, compreso quello che si definisce pubblico. Il diritto, infatti, nella sua forma storicamente costituita, è sempre di qualcuno, mai di tutti. È questo l’elemento che ne determina il contrasto di principio con quella comunità alla cui salvaguardia pure è ordinato: ad essere comu- ne, nell’ordine giuridico moderno, è solo la rivendicazione di ciò che è proprio139.

Perché possa resistere al rischio entropico che la minaccia la vita va preventi- vamente sterilizzata nei confronti del medesimo contenuto relazionale. Immunizzata dal munus che la espone al contagio con ciò che dal suo stesso interno la eccede. Ciò che resta in comune non è altro che la reciproca separazione140.

È come se la vita, per mantenersi tale, debba essere compresa e custodita nei confini del corpo. Inoltre, è proprio il rischio a mettere in moto i meccanismi di allarme, e dunque di difesa, destinati alla sua protezione141.

138 Ivi, p. 12. Secondo il sociologo tedesco Niklas Luhmann, la semantica dell’immunità si è progres-

sivamente estesa a tutti i settori della società moderna. Ciò significa, ad esempio, che non è più il meccanismo immunitario ad essere funzione del diritto, ma il diritto funzione del meccanismo immu- nitario. E questo va posto soprattutto in relazione al rapporto tra legge e violenza. Tale relazione piuttosto che limitarsi al ruolo, svolto dalla legge, di immunizzazione della comunità dalla violenza che la minaccia, caratterizza le stesse procedure immunitarie: più che eliminata, la violenza risulta inglobata nell’apparato destinato a reprimerla, ancora più violentemente. N. Luhmann si trova in posizione contraria rispetto a J. Derrida poiché ritiene la relazione un “non-concetto”, una “non esistenza” all’interno della intersistematicità. Al riguardo, sul pensiero di N. Luhmann v. A. PASTU- GLIA, Immunità segreto stato di eccezione. Prospettive sistemico-normative, Giappichelli, Torino, 2012, par. “La teoria dell’ibridazione”, p. 28. Sui rapporti tra diritto e comunità, diritto e immunità, v. anche AA.VV., Nuove frontiere del diritto. Dialoghi su giustizia e verità, Introduzione di P. BARCEL- LONA, Bari, 2001.

139 R. ESPOSITO, Immunitas, cit., p. 13. L’individualismo, insomma, diventa il contenuto del legame

sociale e rovescia il meccanismo di immunizzazione su sé stesso. Sul punto, in particolare, M. BOR- TOLINI, L’immunità necessaria. Talcott Parsons e la sociologia della modernità, Roma, 2005, p. 62.

140 R. ESPOSITO, Immunitas, cit., p. 17. Per conservarsi la vita umana deve trascendersi, non più in una

sfera esterna, come vuole la teologia, ma all’interno di se stessa. Essa deve oggettivarsi, e dunque esteriorizzarsi, in forme ulteriori al suo semplice darsi.

141 In questo senso è condivisibile quanto sostenuto da M. Foucault, che il vivente comincia ad entrare

nell’orizzonte di visibilità del sapere moderno nel momento in cui emerge il suo rapporto costitutivo con ciò che minaccia continuamente di estinguerlo. È la malattia – e la morte – il cono d’ombra entro cui si ritaglia la scienza della vita. M. FOUCAULT, L’Archeologia del sapere. Una metodologia per la

Attualmente, nella percezione soggettiva della criminalità il pericolo più impel- lente non proviene dallo sviluppo incontrollato delle tecnologie, ma dagli stessi membri della collettività. Ad essere giudicato “pericoloso” è l’Altro da sé, il poten- ziale autore di reato, con il quale si deve necessariamente convivere. Quanto più aumenta, per effetto di tali meccanismi, l’insicurezza soggettiva, tanto più l’Altro diverrà oggetto di attenzione quale possibile fonte di pericolo142.

Inoltre, spesso, la figura minacciosa dell’Altro si incarna in maniera del tutto inedita in un volto familiare. Infatti,con riferimento ai reati di violenza e di pedopor- nografia va evidenziato che l’Altro, con cui si identifica l’autore del reato, non corri- sponde necessariamente ad un soggetto percepito come lontano ma si trova, molto spesso, all’interno della cerchia ristretta dei familiari143.

La soglia di passaggio dal paradigma di sovranità a quello di biopolitica quindi, va situata nel momento in cui non è più il potere il centro di imputazione della vita ma la vita stessa quale criterio di legittimazione del potere. Ciò spiega il processo di medicalizzazione che negli ultimi due secoli ha investito l’intero prisma dell’interazione sociale e l’ipertrofia degli apparati di sicurezza che caratterizza sempre più diffusamente le società contemporanee.

Si può vedere proprio in essa il punto cieco in cui sembra pervenire il loro svi- luppo, dal momento che tale sindrome autoprotettiva non soltanto finisce per relegare sullo sfondo ogni altro interesse, ma produce addirittura l’effetto opposto rispetto a quello desiderato. Quindi, anziché adeguare la protezione all’effettivo livello del rischio si tende, a livello politico-criminale, ad adeguare la percezione del rischio al crescente bisogno di protezione, facendo così della stessa protezione uno dei maggio- ri rischi144.

storia della cultura, cit.; M. FOUCAULT, Nascita della biopolitica, cit.; M. FOUCAULT, Il coraggio

della verità, Il governo di sé e degli altri II, Corso al Collège de France (1984), Milano, 2011, pp.

160 ss. Anche R. ESPOSITO, Immunitas, cit., p. 18.

142 M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, Torino, 2008, p. 26. 143 Ivi, p. 27.

144 R. ESPOSITO, Immunitas, cit., p. 19. Per un approfondimento si rimanda a L. BAZZICALUPO (a cura

Ma il quesito fondamentale è: la vita può essere conservata in una forma diver- sa da quella della sua protezione negativa prevista dal paradigma dell’immunizzazione? La via da percorrere non può passare che per lo stesso oggetto che si intende decostruire non negandone la contraddizione interna.

Il rapporto tra l’Io e l’Altro, tra l’immune e il comune, è rappresentato nei ter- mini di una distruzione che alla fine tende a coinvolgere entrambi i termini del con- trasto. Un impulso autodissolutivo che sembra trovare riscontro più che metaforico in quelle malattie, dette appunto autoimmuni, in cui il potenziale bellico del sistema immunitario è talmente elevato da rivolgersi ad un certo punto contro se stesso in una catastrofe, simbolica e reale, che determina l’implosione dell’intero organismo.

Il tempo moderno con le sue caratteristiche e crisi intrinseche ha inciso molto sul sistema penale e sulle relative strategie di controllo. Nella società del rischio il diritto penale è sottoposto a varie ondulazioni che mostrano chiaramente la difficoltà ad affrontare in modo adeguato le nuove esigenze di tutela richieste dalla collettività. Lo stesso sistema sanzionatorio risulta in bilico tra la necessità di una riforma e il crollo definitivo della capacità di prevenzione generale e difesa sociale145.

La crescente insicurezza sociale, la paura dell’Altro da sé, ha inevitabilmente prodotto, in Italia e nel resto dell’Europa, linee di politica criminale di risposta agli autori di reato “pericolosi”. Di conseguenza, la visione del soggetto pericoloso e soprattuto la sua percezione a livello sociale essendo condizionate dal contesto socia- le ove risultano inserite, provocano degli effetti sullo stesso futuro del sistema san- zionatorio a doppio binario. La logica del doppio binario, infatti, dipende dai mecca- nismi che il sistema penale mette in campo per soddisfare la risposta alla pericolosità sociale146.

quest’opera, J. Derrida, ritiene l’adozione di dispositivi giuridici eccezionali, una vera e propria malattia autoimmune che affligge le democrazie liberali contemporanee. Tale malattia ha l’effetto di condurre – secondo J. Derrida – ad un destino suicidario della democrazia stessa, impedendole di realizzarsi completamente.

145 M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., p. 31. 146 Ivi, p. 32.

Per modificare questa rigida impostazione bisogna adottare una concezione dell’identità individuale nettamente alternativa a quella, chiusa e monolitica, finora imperante. Questo è reso inoltre inevitabile dagli stessi sviluppi tecnologici di tipo genetico e bionico: il corpo, tutt’altro che un dato definitivo e immodificabile, è un costrutto operativo aperto ad uno scambio continuo con l’ambiente circostante. Biso- gna entrare nell’ottica che la diversità, la differenza, ci coinvolge e ci attraversa in quanto tale. Sottratto alla sua potenza negativa, l’immune non è il nemico del comu- ne ma qualcosa di più complesso che lo implica e lo sollecita147.

L’uomo per custodire una parte di sé, è costretto a mettere letteralmente in gio- co l’altra. La sopravvivenza non è garantibile in maniera immediata e diretta ma richiede la presenza di una mediazione che tagli la soggettività lungo linee di fuga destinate a non incontrarsi. O ad incontrarsi solo in negativo: per realizzarsi sul piano dell’apparenza, l’uomo è costretto a “irrealizzarsi” su quello della sostanza. Tutto ciò che è psichico ha bisogno di questa digressione per pervenire a se stesso: esso con- quista se stesso solo perdendosi148.

Per Gehlen, l’altro, più che un alter ego, un diverso soggetto, è prima di tutto ed essenzialmente un “non io”: il “non” che consente all’io di autoidentificarsi come colui che è appunto altro dal proprio altro, un qualcosa di diverso dall’umano. Perché possa davvero esonerarsi l’individuo deve farlo innanzitutto rispetto a se stesso, esonerarsi dalla propria soggettività individuale. L’esonero dell’individuo è anche

147 R. ESPOSITO, Immunitas, cit., pp. 21-22, 116. Attualmente, richiamandoci all’antropologia di H.

Plessner che evidenzia la dialettica tra proprio ed estraneo, troviamo l’uomo che tende a salvaguardare la propria identità solo scindendosi nella bipolarità tra interiore ed esteriore, privato e pubblico, invisibile e visibile, ordinando ciascun polo alla salvaguardia dell’altro. Come è proprio l’esteriorità della vita pubblica a ritagliare, dall’altro lato dello specchio, la possibilità di una dimensione privata, com’è appunto la visibilità degli atteggiamenti esterni a celare l’intenzione interna che li muove: a rendere l’uomo il più possibile visibile e nascosto al tempo stesso. Per un maggiore approfondimento: H. PLESSNER, I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, a cura di Vallori-Rasini, traduzione di U. Fadini, Milano, 2006.

148 Secondo H. Plessner, questi sono gli effetti immunizzanti del legame organico, con gli altri e con

se stessi, destinato a rovesciarsi in un conflitto reciprocamente distruttivo. A governarlo è ordinata la rappresentazione sociale, che l’autore ricostruisce in termini teatrali – impersonificazione, incorpora- zione, travestimento - in cui ciascuno diventa il sosia di se stesso. Sul punto, in particolare, si rimanda a H. PLESSNER, Corporeità, natura e storia nell’antropologia filosofica, a cura di A. Borsari, M.

Russo, Università degli Studi di Salerno, Collana Scientifica, 2005, p. 83. Anche R. ESPOSITO, Immu-

sempre esonero dall’individuo. Solo scaricando su un sistema oggettivo di controllo e di riproduzione il carico di decisioni cui egli è continuamente sollecitato da parte dell’ambiente, l’individuo può liberare l’energia per prestazioni superiori. La libertà cresce al crescere dell’apparato istituzionale rendendo il soggetto legato e dipendente da tutta una serie di abitudini, ruoli, riti, che stabiliscono soprattutto cosa non deve fare149.

È il classico meccanismo riflessivo del totemismo, che inaugura nella sua for- ma archetipica la dialettica negativa di incorporamento dell’altro poi assunta affer- mativamente dall’antropologia filosofica. Identificandosi con un non-io, il singolo perviene per contrasto a un senso di sé cui può tener fermo nella rappresentazione, più o meno permanente, di un altro essere. Ciò che l’istituzione giuridico-politica eredita dal suo antecedente rituale è esattamente questa modalità di autoidentifica- zione negativa che gli individui compiono riconoscendosi nella comune alterità di ciò che li rappresenta appunto perché non coincide con essi ma sta letteralmente “al loro posto” (come uno sdoppiamento) esonerandoli dal peso di una soggettività altrimenti insostenibile. Come gli sguardi dell’imitazione rituale convergono in un medesimo punto vuoto che si sottrae nel momento stesso in cui è fissato, così agisce l’istituzione stessa che collega coloro che si riconoscono in essa nella condivisione di una stessa estraneità (vale a dire, risultano immunizzati rispetto a quello che hanno in comune)150. Nell’istituzione gli uomini sono accomunati dalla loro estraneità, cioè

149 R. ESPOSITO, Immunitas, cit., pp. 127-128; A. GEHLEN (1904-1976), L’uomo. La sua natura e il

suo posto nel mondo, (Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, Junker und Dünn-

haupt, Berlin 1940), introd. di Karl-Siegbert Rehberg, trad. di Carlo Mainoldi, Milano 1983, Parte seconda, “Percezione, movimento, linguaggio”, 30; “Effetti retroattivi: assimilazione di mondo

interno e mondo esterno”, pp. 297-299.

150 Così per tutelare la comunità si esalta in modo contradditorio l’aspetto della estraneità negativa

dell’altro dando corso ad una vera e propria aporìa. Al riguardo v. R. ESPOSITO, Immunitas, Protezio-

ne e negazione della vita, cit., p. 128. Se la communitas implica nel suo significato più originario ed

intrinseco la rottura delle barriere protettive dell’identità soggettiva, l’immunitas è il tentativo di ricostruirle in forma difensiva ed offensiva contro ogni elemento estraneo che venga ad insidiarla. Come ci ricorda Canetti, nulla spaventa più l’individuo come l’essere toccato da ciò che minaccia di attraversare i propri confini individuali. La categoria di immunità è riportata sia all’interno della antropologia filosofica di H. Plessner e di H. Gehlen, che in rapporto al funzionalismo sistemico di N. Luhmann. Il presupposto di tale analisi è che esista un rapporto sempre più stretto tra filosofia, antro- pologia e biopolitica definito appunto dal rifiuto e dalla opposizione nei confronti dell’esperienza

immunizzati rispetto a ciò che hanno in comune. Il carattere intrinsecamente aporeti- co e compensativo di simile conclusione viene definito da Gehlen col termine di

posthistoire, alludendo ad una sorta di stabilizzazione definitiva dei processi di com-

pensazione che caratterizzano le società tardo-moderne. Peraltro, nel raggiungimento di tale equilibrio l’autore individua anche dei controeffetti di “primitivizzazione” o di “reistintivizzazione”, intendendo con essi una sorta di ritorno artificiale alla natura determinato per contrasto dall’eccesso di soggettività liberato dal progresso tecni- co151.

Sottoposte alla spinta disgregativa di tale ipertrofia soggettiva, le istituzioni ri- sultano prima indebolite e poi travolte da un profluvio di richieste cui non possono far fronte. Per questo motivo tutti gli ambiti di vita rischiano di esplodere quanto più appaiono protetti da un artificio ormai coincidente con una nuova natura. Si contrap- pone così, da un lato un atteggiamento di ascesi rispetto al consumo individuale, e dall’altro un rafforzamento delle barriere istituzionali. Vi è una moltiplicazione delle istituzioni che non a caso vengono definite da Gehlen “le grandi fatalità preservanti e insieme divoranti”, nel senso che è proprio l’irrefrenabile tendenza alla sovradeter- minazione a determinare controfattualmente nuova indeterminazione, così come è il rafforzamento delle norme a creare crescente anormalità152.

Qui si riconosce in tutta la sua potenza distruttiva ed autodistruttiva un mecca- nismo immunitario sfuggito di mano a causa del suo potenziamento interno. La

comunitaria. Per un approfondimento sul tema dell’immunità si consulti A. GEHLEN, L’uomo: la sua

natura e il suo posto nel mondo, cit.; anche E. CANETTI, Massa e potere, traduzione di F. Jesi, Milano, 1981; R. ESPOSITO, Communitas, Torino 1998, pp. 3-91.

151 Non più sottoposto all’obbligo del lavoro materiale (e al potenziale freno inibitore che esso com-

portava), l’uomo risulta sempre più esposto ad una crescita abnorme dell’interiorità psichica e dunque ad una decrescita proporzionale del principio di realtà. Anche R. ESPOSITO, Immunitas, Protezione e

negazione della vita, cit., p. 129.

152 Per Gehlen, la sfera privata è “sottoistituzionalizzata” nel senso che l’individuo è abbandonato alle

proprie inclinazioni in un largo settore di attività che possono essere cruciali per la definizione della sua identità. La crisi dell’uomo urbano è forse una crisi antropologica, nel senso che il soggetto urbano continua ad avere esigenza di una propria individualità in termini concreti, forse anche a causa di una socializzazione incongrua; mentre la città e il sociale complesso, rappresentano sempre più un sistema che richiede nelle sue funzioni impersonali e soggettive, una “dimensione umana” capace di