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Struttura giuridica dell’istituto Componente soggettiva e

1. Premessa

La nozione giuridica di “pericolosità sociale” riferita al soggetto autore di un reato, fa ingresso nell’ordinamento giuridico italiano nel 1930, attraverso il Codice penale Rocco, come compromesso storico-ideologico risultato dalla giustapposizione tra le elaborazioni teoriche della Scuola Positiva e quelle della Scuola Classica. Il requisito della pericolosità sociale viene introdotto, in primis, quale presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza, considerate una delle più significative novità apportate dalla predetta codificazione291.

Le misure predette nascono come risposta all’aumento dei tassi di criminalità e di recidiva. L’intento originario del legislatore dell’epoca era, infatti, quello di rifor- mare il sistema penale in conformità alle tendenze politico-criminali del tempo,

291 Per ciò che concerne le misure di sicurezza v. infra, cap. 2. Le Misure di Sicurezza sono state

introdotte nel nostro ordinamento penale con il Codice Rocco del 1930. Esse si distinguono in detenti-

ve e non detentive. Le prime, a loro volta, si distinguono in psichiatriche (ricovero in Casa di cura e

custodia o in Ospedale pschiatrico giudiziario) e non psichiatriche (assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro per i delinquenti abituali, professionali e per tendenza; ricovero in un riformatorio giudiziario per il minore di anni 18, imputabile o no secondo l’art. 98 c.p.). Le misure non detentive sono invece la libertà vigilata, il divieto di soggiorno in uno o più Comuni, o in una o più Province; il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche; l’espulsione dello straniero dallo Stat.

favorevoli al potenziamento delle esigenze di “difesa sociale” mediante l’introduzione, in aggiunta alle tradizionali “pene”, di nuove misure sanzionatorie destinate a neutralizzare la pericolosità sociale di determinate categorie delinquenzia- li, a prescindere dal grado di imputabilità. Tale sistema, denominato “doppio bina- rio”, viene fatto proprio sia dal codice Rocco, sia dalla legislazione nazionalsocialista del 1933 in cui le esigenze di difesa sociale, sposandosi con la politica criminale autoritaria, potevano avvantaggiarsi di una legittimazione teorica più che trentennale e, in particolar modo in Italia, di una rispettabile veste formale fornita dal rigore scientifico del tecnicismo giuridico292.

Nel dettaglio, per la Scuola Positiva, assertrice dell’idea preventiva e correzio- nalista della pena, la pericolosità sociale non poteva prescindere dagli aspetti crimi- nologici, psicologici, antropologici e sociali attribuiti in maniera deterministica all’autore di reato, destinato a delinquere non per libera scelta ma a causa delle pro- prie anomalie genetiche. Secondo questa impostazione, la logica della sanzione penale piuttosto che costituire un giudizio di disvalore sull’azione delittuosa, doveva tendere a neutralizzare il rischio della commissione di nuovi illeciti e impedirne la recidiva, in contraddizione con le garanzie di libertà tutelate dal pensiero classico. L’intento della Scuola classica, invero, approcciato ad un metodo scientifico del diritto penale, si appalesava quale alternativa atta a concepire una giustizia perfetta- mente plasmata su criteri razionali e logici ove i capisaldi della teoria liberale, im- perniati sul principio di legalità, irretroattività, tassatività e certezza del diritto, avrebbero incentrato la nozione di pericolosità sociale, non tanto su fattori trascen- dentali, quanto sul concetto di libero arbitrio, ovverosia sulla presenza di un elemen- to psicologico doloso o colposo con cui il delinquente avrebbe deliberatamente opta- to per la commissione del reato, e quindi sarebbe stato punito in misura proporziona- le all’illecito commesso293.

292 M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., p. XIV.

293 Per tutti v. G.F. GROSSO,G.NEPPI MODONA,L.VIOLANTE, Giustizia penale e poteri dello Stato,

Se la visione deterministica dell’uomo professata dalla Scuola positiva portava a considerare l’individuo come un essere completamente sottomesso alle proprie strutture bio-psichiche, d’altro canto, il postulato del libero arbitrio, ossia di un uomo incondizionatamente libero nella scelta delle proprie azioni, portava a non riconosce- re gli innegabili condizionamenti dell’agire umano per effetto di fattori esterni di tipo socio-ambientale, scollegando così completamente il reato dalla dimensione pubbli- co-collettiva per elevarlo ad un piano ideale del tutto astratto, a tratti artificioso.

Al fine di contemperare entrambe le impostazioni, il legislatore del 1930 intro- dusse un concetto di pericolosità sociale imperniandolo al sistema del doppio binario. Attraverso tale meccanismo, la pericolosità sociale avrebbe dovuto costituire uno strumento in grado di soddisfare tanto le esigenze retributive quanto quelle special- preventive. Accanto alla pena destinata a colpire la colpevolezza dell’agente, vi erano le “misure di sicurezza” atte, nella loro funzione preventivo-rieducativa, all’incapacitazione di tutti i soggetti prognosticamente dediti alla delinquenza294.

In coerenza con le vedute dominanti al momento dell’emanazione del codice penale, le quali tendevano a sottolineare il differente carattere della funzione repres- siva ancorata al concetto di “reato” e di “colpevolezza”, e di quella preventiva anco- rata, invece, al concetto di “pericolosità sociale”, alle misure di sicurezza venne originariamente attribuita “natura amministrativa”. Infatti, la misura di sicurezza nasce come strumento di profilassi avente lo scopo di tutelare la collettività mediante la neutralizzazione dell’individuo pericoloso, dal che l’inquadramento nell’ambito dell’attività di polizia, ossia in un’attività amministrativa tipicamente finalizzata alla difesa preventiva della società295.

294 B. BOCCHINI, L’accertamento della pericolosità (misure di prevenzione e sorveglianza e misure

alternative alla detenzione), cit., pp. 765 ss.

295 G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Zanichelli, Bologna, 2014, pp. 765 ss.

Nell’attuale momento storico, invece, quasi tutta la dottrina – come ad es. Fiandaca-Musco – respinge la tesi della natura amministrativa e considera la misura di sicurezza una sanzione criminale di compe- tenza del diritto penale; in tal senso si è osservato, in particolare, che la misura di sicurezza è di fatto afflittiva forse anche più della sanzione detentiva e viene applicata a conclusione di un procedimento giurisdizionale. Così C. BRUNETTI,M.ZICCONE, Manuale di Diritto penitenziario, cit., parte VIII, Le

La pericolosità sociale dell’autore di reato venne individuata in primis come capacità del reo di commettere altri reati, da valutare sulla base di un giudizio pro- gnostico che tenesse conto delle costanti ambientali e biologiche alla base del pro- cesso criminogenetico, ciò sul presupposto che la pericolosità sociale avesse una base bio-psicologica e che il reato fosse una manifestazione di devianza patologi- ca296.

La personalità del delinquente trova particolare risalto nell’iniziale progetto “Ferri” del 1921,297 per il quale la classificazione e distinzione dei delinquenti, in base alla loro maggiore o minore pericolosità, avrebbe permesso di realizzare il duplice intento del legislatore di difesa sociale e di correzione dei condannati, obiet- tivo non conseguito nelle precedenti codificazioni perché volte a commisurare la sanzione esclusivamente in base alla gravità del delitto, anziché sulle diverse condi- zioni personali del delinquente.

In seguito al riconoscimento costituzionale del finalismo rieducativo della pena

ex art. 27, comma 3 Cost., è venuta meno la distinzione di scopi che in origine giusti-

ficava lo sdoppiamento del sistema sanzionatorio nell’assetto codicistico del 1930. Attraverso il processo di rieducazione del condannato anche la pena diventa una sede privilegiata per la neutralizzazione o attenuazione della pericolosità sociale del reo, al fine di soddisfare l’esigenza di difesa sociale volta ad impedirne la ricaduta nel delitto. Per tale motivo si è registrata nel tempo una compenetrazione delle due for- me sanzionatorie, repressive e curative, tale da mettere in crisi il sistema del doppio binario. Al riguardo, la dottrina si interroga sullo stato attuale delle misure di sicu- rezza, sullo spazio residuo che ad esse possa legittimamente essere riservato all’interno di un diritto penale costituzionalmente orientato298. Esiste, allo stato attua-

296 Cfr. M.T. COLLICA, La crisi del concetto di autore non imputabile “pericoloso”, in

www.penalecontemporaneo.it.

297 Si tratta del Progetto Ferri “per la riforma delle leggi penali in armonia ai principi e ai metodi

razionali della difesa della società contro il delitto in genere e per un più efficace e sicuro presidio contro la delinquenza abituale”, di cui al r.d. 14 settembre 1919, n. 1724. La presidenza della commis- sione di studio venne affidata a Enrico Ferri. v. P.MAZZA, Pericolosità sociale e legalità, cit., p. 18.

le, una certa similitudine tra le esigenze storiche dell’epoca, che avevano sollecitato la riflessione sul doppio binario, e l’odierna richiesta inoltrata al diritto penale di recuperare soluzioni al bisogno collettivo di maggiore sicurezza. Al tempo, l’introduzione di sanzioni a contenuto esclusivamente preventivo costituì una novità assoluta, portando la pena ad inglobare in se anche la funzione di utilità sociale, in tal modo erigendola a pena di scopo299.

Nell’ambito dell’opera statale di prevenzione sociale dell’epoca, la Scuola po- sitiva si è orientata nell’esaltazione del ruolo di un diritto premiale, strategia punitiva che ritornerà in voga, quasi un secolo dopo, allorché lo Stato italiano dovrà far fronte alle emergenze del terrorismo e della criminalità organizzata di stampo mafioso300.

La stessa conformazione originaria della pericolosità sociale, quale giudizio prognostico, effettuato sul reo, di commissione futura di fatti configuranti reato, ha subìto nel tempo estensioni considerevoli: il concetto è attualmente espressione di multiformi significati a seconda della specifica sfera di applicazione, andando ad incidere non solo sulle misure di sicurezza ma anche sulle misure di prevenzione, sulle misure cautelari, e, in maniera particolare, sulle misure alternative alla deten- zione. È soprattutto nella fase penitenziaria che si determina l’effettivo peso della sanzione, attraverso una “commisurazione di secondo grado”, del tutto sganciata dai criteri dettati dall’art. 133 c.p., previsti per la commisurazione e l’accertamento tipici della fase del giudizio di cognizione301.

Il giudizio sulla pericolosità sociale assume un’importanza predominante nella fase esecutiva della pena, dove risulta essersi progressivamente stratificata una plura- lità di specifici binari, reclusivi e non reclusivi, ciascuno retto da una logica di scopo che ne fonda la legittimazione. In particolare, nell’orizzonte della pena detentiva, la pericolosità sociale finisce col trovare ambiti di operatività che non le erano ricono-

299 Al riguardo v. M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., pp. 5 ss.

300 La strategia “premiale” costituita dall’induzione di certi comportamenti dei condannati in cambio

dell’ottenimento di benefici penitenziari è tipica di una concezione deterministica e correzionalistica dell’uomo. Sul punto v. P.MAZZA, Pericolosità sociale e legalità, cit., p. 15.

sciuti, se non in termini controversi e limitati dal confronto dialettico con la colpevo- lezza, come emerge in sede di commisurazione della pena dall’art. 133 c.p. Nella fase penitenziaria continua a dominare una tipologia di pericolosità sociale basata su criteri di tipo presuntivo, di stampo prevalentemente “soggettivistico”. Infatti, attra- verso la cosiddetta “osservazione scientifica della personalità” disciplinata dall’art. 13 dell’ordinamento penitenziario, gli operatori del trattamento e della rieducazione valutano il contegno (esteriore) manifestato dal detenuto, al fine di fornire al magi- strato di sorveglianza elementi utili per la valutazione della pericolosità sociale, nella prospettiva della concessione delle misure alternative alla detenzione302.

D’altro canto, e paradossalmente, la tendenza attuale, rispetto al passato, è quella di considerare l’autore pericoloso nella sua “parvenza”, privandolo del relativo substrato psichico a cui lo aveva ancorato la Scuola positiva; ciò in quanto la progno- si criminale si colloca, sempre più, su un confine che appare rifiutato sia dalla giusti- zia che dalla psichiatria. Infatti, relativamente all’accertamento della pericolosità sociale, inevitabilmente lo sguardo tende a ricadere sull’incerto campo dei giudizi prognostici, le cui carenze, a livello normativo, risultano accentuate dalla presenza di gravi lacune culturali, sia a livello sostanziale che a livello processuale, in grado di sostenere un impegno così gravoso come quello del giudizio sull’uomo.

Il concetto di pericolosità sociale si rifà ad un pensiero giuridico riscontrabile in numerose legislazioni penali di diversi Paesi. In Italia, l’art. 203 c.p. offre un’unica definizione, onnicomprensiva, di cosa debba intendersi per pericolosità sociale, limitandosi ad accennare ad alcune problematiche inerenti il rapporto tra pericolosità e reato. Ci si domanda se pericolosità e reato costituiscano due entità ontologicamente distinte: la pericolosità, infatti, riguarda una situazione soggettiva durevole, anche se non necessariamente permanente; il reato, invece, è costituito, da un accadimento storicamente circoscritto. Secondo una parte della dottrina, la perico- losità, in sé e per sé, non avrebbe alcun necessario riferimento al fatto concreto, potendo concettualmente esistere anche ante delictum o sine delicto: la stessa pertan-

to non eserciterebbe alcuna influenza sul reato, restando quest’ultimo lieve o grave indipendentemente dalla pericolosità sociale del suo autore303.

Sicuramente il reato, se anche non esprime tutte le potenzialità del soggetto, rappresenta una chiara ed oggettiva esternazione della personalità del reo, il cui dato dovrebbe portare a restringere la possibilità di interpretazione differente sulla perico- losità del soggetto, rispetto a quanto avverrebbe, invece, in un’analisi psicologica non supportata da dati di manifestazione esteriore.

Il legislatore nell’abrogare le presunzioni di pericolosità,304 non si è premurato di sostituire al sistema presuntivo un valido metodo di accertamento della pericolosi- tà, che continuerà così a restare affidato all’intuizionismo del giudice con il conse- guente ampliamento della sua discrezionalità. Sarebbe stato il caso, invece, di prede- terminare legislativamente “indici sintomatici di pericolosità”, che contemperassero un certo grado di oggettività statistica unita ai dati soggettivi di manifestazione este- riore, cercando di realizzare un coordinamento fra criminologia e diritto penale, di modo che il giudice possa disporre di una base verosimile circa la probabilità di reiterazioni criminose. In tal modo, verrebbe anche garantita l’esigenza di certezza e di eguaglianza giuridica, assicurando nel contempo l’attuazione del diritto di difesa sociale tanto caro ai positivisti305.

Alla luce di tale riflessione, ci si domanda se la pericolosità sociale dell’azione oggettiva possa essere separata dalla pericolosità del suo autore. Al riguardo, nell’ambito della pericolosità sociale la “capacità a delinquere” (che poi costituisce il presupposto su cui si basa il giudizio prognostico sul soggetto), rappresenta sia un criterio di commisurazione della pena, sia il parametro della misurazione della peri- colosità sociale ex art. 203 c.p., disposizione nella quale si prescrive di desumere la pericolosità sociale dagli elementi indicati nell’art. 133 c.p. inerenti, da un lato, la

303 Sulla tematica v. G. LATTANZI, E. LUPO, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina,

vol. V, Milano, 2010, passim.

304 Art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 con il suo primo comma ha abrogato l’art. 204 c.p.

stabilendo l’accertamento in concreto della pericolosità.

personalità del soggetto – quindi la sfera “interna” al soggetto – dall’altro, fattori oggettivi e fenomenici della realtà esterna collegati al reato commesso. Ebbene, solo una parte della dottrina306 ritiene che i concetti predetti abbiano valenza unitaria e siano sintomatici dell’attitudine del soggetto a compiere reati in futuro, differenzian- dosi solo in relazione all’intensità di tale attitudine. Pertanto, la capacità a delinquere sarebbe presente in chiunque commetta un reato, consistendo nella semplice attitudi- ne all’azione criminosa, desumibile proprio dal fatto che il reo abbia già posto in essere un reato. La pericolosità sociale, invece, dovrebbe corrispondere alla rilevante tendenza a commettere un reato e deve essere accertata ulteriormente sulla base degli stessi criteri che orientano il giudice nella commisurazione della pena.

È soprattutto in ordine alla fattispecie “soggettiva” di pericolosità che si riscon- trano le maggiori perplessità, dovute all’assenza di scientificità dei presupposti ba- santi i sistemi del suo accertamento. Mentre appare più utilizzata, perché maggior- mente accertabile, la fattispecie “oggettiva” della pericolosità che basa i propri ele- menti principalmente in riferimento alla specifica tipologia di reato.

A margine del predetto aspetto, l’attuale panorama penalistico offre un volto della pericolosità sociale, come probabilità di reiterazione di reati, che travalica i confini stabiliti dalla tradizione codicistica, implicanti la fattispecie della pericolosità sociale nella sua funzione (principale) di presupposto per l’applicazione della misura di sicurezza307.

In questa espansione, la pericolosità, già di per sé concetto generico, in quanto non ancorato ai parametri oggettivi della gravità e della tipologia del reato presuppo- sto o di quelli di cui si teme la futura commissione308, diventa sempre più una quali-

306 Così F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2007, passim; G. FIANDACA,E. MUSCO, Diritto

penale, Parte generale, cit., passim; cfr. E. PALMIERI, La struttura probabilistica del concetto di

“fattispecie soggettiva di pericolosità sociale”, in Studi Nuvolone, I, 1991, p. 451.

307 tamente presente come ratio

BERTOLINO, Il reo e

la persona offesa. Il diritto penale minorile, in Trattato di diritto penale, diretto da G.GROSSO,T.

PADOVANI,A.PAGLIARO, Milano, 2009, pp. 137 ss.

308 Non così per la pericolosità sociale con riferimento ai minori, cfr. art. 35 L. 24 novembre 1981, n.

fica di natura strettamente soggettiva attribuita in modo arbitrario, determinata cioè dalla “costruzione” di una certa tipologia d’autore sulla base dell’allarme sociale suscitato dalla specifica figura delittuosa.

L’autore di reato che si descrive, ai fini dell’attribuzione della pericolosità so- ciale, non è certo che corrisponda all’essenza soggettiva dello stesso, trattandosi di un modello di autore di specifico reato costruito dal legislatore sulla base di parame- tri presuntivi infondati a livello criminologico.

Della grave incertezza in cui versa il concetto di pericolosità sociale ne è ripro- va il mutamento, esistente da qualche tempo, dello stesso profilo terminologico: al pericolo e alla pericolosità si è sostituita la nozione di “rischio”, apparentemente più dotato di rigore scientifico, ossia di una oggettività che vale ad eliminare l’alea che il concetto di pericolo comporta309.

Il legislatore moderno ha rivitalizzato e arricchito la prospettiva teleologica- mente orientata al controllo sociale, alla difesa sociale dai delinquenti, prospettiva che in Italia ha accompagnato il pensiero della Scuola positiva, nella richiesta di introdurre la categoria dogmatica della pericolosità sociale in funzione principale di legittimazione del sistema delle misure di sicurezza, per fronteggiare la criminalità dei soggetti proclivi, in quanto ritenuti determinati, alla commissione di reati. Quel pensiero non escludeva però che la misura di sicurezza potesse esplicarsi con modali- tà di approccio al fenomeno criminale in grado di contrastarlo anche attraverso la soddisfazione di istanze inquadrabili nel paradigma della risocializzazione310.

A ben vedere questa conformazione della pericolosità social

all’orizzonte attuale della pena per i soggetti non solo responsabili ma anche perico- losi. Svuotata di qualsiasi aspirazione trattamentale, la pena è divenuta così una

PAVARINI,L.STORTONI (a cura di), Pericolosità e giustizia penale, Bologna, 2013, pp. 117 ss.

309 M.PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., p. 6.

310 Ricorda T. PADOVANI, Fatto e pericolosità, cit., p. 120 a proposito dell’introduzione del sistema

del doppio binario nel codice Rocco come alla misura di sicurezza fosse affidata «una funzione di prevenzione speciale chiamata a neutralizzare o a risocializzare in forma di “bonifica umana” (un’espressione cara al guardasigilli Dino Grandi ed evocatrice di una corrispondente “palude uma- na”) tutti coloro che risultassero (per lo più, appunto, in chiave presuntiva) non sufficientemente terrorizzati dall’esecuzione della pena».

sanzione della pericolosità, mentre sul fronte delle misure di sicurezza la probabilità di reiterazioni di reati sembra offrire aperture per una risposta penale ancora capace di guardare alle istanze di prevenzione speciale positiva. Gli sviluppi della moderna politica criminale, e non solo italiana, in tema di pericolosità sociale sembrano dun- que seguire percorsi differenziati, a seconda che si tratti di fattispecie generiche di pericolosità individuale, ovvero di forme più specifiche di pericolosità, come quella del soggetto imputabile affetto da un disturbo psichico e quella del non imputabile per infermità di mente311.

Rispetto alle misure di sicurezza si riscontra l’indeterminatezza dello stesso presupposto della “pericolosità sociale”, che viene anche a coniugarsi, non solo con le resistenze dell’“esperto” di turno a farsi carico delle connesse valutazioni, ma anche con le difficoltà incontrate dall’autorità giudiziaria nel seguire percorsi suffi- cientemente univoci a livello tecnico-scientifico e in sede di apprezzamento delle