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Origini delle scienze umane

È bene considerare l’idea principale secondo la quale tutti i periodi della storia hanno posseduto certe sottese “condizioni di verità”, fondative di ciò che poteva essere ritenuto accettabile, come ad esempio il discorso scientifico. Le condizioni del discorso scientifico non sono rimaste immutate ma sono cambiate nel tempo, dall’episteme di un periodo ad un altro, in modo più o meno progressivo. Dei paralle- lismi degni di nota si riscontrano nei tre campi della linguistica, della biologia e dell’economia. E significativa risulta l’analisi delle trasformazioni avvenute nelle predette scienze: per quanto concerne il linguaggio si appura che la grammatica evolve in linguistica; nelle scienze della vita, la storia naturale si orienta verso la biologia; la scienza delle ricchezze muta la propria episteme convertendosi in eco- nomia. Anche l’uomo è una creatura recente che la demiurgia del sapere ha fabbrica- to con le proprie mani, nel corso di duecento anni. Nell’episteme classica, invece, l’uomo “non esiste” (“non c’è potenza di vita, né fecondità del lavoro, né spessore storico del linguaggio).

49 Per alcune problematiche strutturaliste, v. F.JAMERSON, La prigione del linguaggio, Interpretazione

critica dello strutturalismo e del formalismo russo, traduzione di G. Franci, Bologna, 1982, passim,

che pone il problema del classico rapporto fra infrastruttura e sovrastruttura; anche U.ECO, La struttu-

Si parla certamente dell’uomo nell’età classica, ma non c’è “coscienza episte- mologica dell’uomo”. Di converso, Foucault, pensa che siamo entrati, a partire dal 1955, in una nuova episteme chiamata ipermodernità50.

Per percepire l’episteme è stato necessario “uscire da una scienza e da una sto- ria della scienza, sfidare la specializzazione degli specialisti e tentare di divenire non uno specialista della generalità, ma uno specialista dell’inter-regionalità”.

Non si tratta semplicemente di categorizzare periodi storici. L’episteme non è una sorta di grande teoria sottesa, non è “la somma delle sue conoscenze o lo stile delle sue ricerche”, bensì “lo scarto, le distanze, le opposizioni, le differenze … è uno spazio della dispersione, è un campo aperto e senza dubbio indefinitamente descrivibile di relazioni” (ciò che per Derrida rappresenta la “difference”) L’oggetto è ciò che ci dice chi ci parla.

L’episteme foucaultiana si confronta con la storia delle idee, con la storia delle scienze, è l’oggetto e il risultato di un’elaborazione concettuale dove “l’archeologia” rimpiazza la Storia.

Foucault prefigura che l’originalità della sua analisi indisponga “quelli che pre- feriscono negare che il discorso sia una pratica complessa e differenziata, obbediente a delle regole e a delle trasformazioni analizzabili, piuttosto che essere privati di quella comoda certezza, di poter cambiare se non il mondo, se non la vita, almeno il loro “significato” grazie alla freschezza di una parola che non verrà se non da loro stessi”51.

La critica di Foucault ha avuto rilevante influenza nel campo della storia cultu- rale. I vari cambi di consapevolezza che egli delinea nei primi capitoli hanno condot- to gli studiosi a scandagliare le basi della conoscenza del nostro tempo ed anche a

50 M. FOUCAULT nel libro Le parole e le cose si impegna nel portare alla luce le origini delle scienze

umane, in particolare della psicologia e della sociologia. Nella prefazione del testo “le parole e le cose”, definisce il lavoro archeologico ed il progetto che egli persegue: “ciò che si offre all’analisi archeologica è tutto il sapere classico, o piuttosto questa soglia che ci separa dal pensiero classico e costituisce la nostra modernità”. È su questa soglia che è apparsa per la prima volta questa strana figura di sapere chiamata “uomo”, che ha aperto uno spazio proprio alle scienze umane. Il sottotitolo de Le parole e le cose rappresenta l’archeologia delle scienze umane.

criticare la proiezione di categorie di conoscenza moderna su argomenti che riman- gono intrinsecamente inintelligibili, a dispetto della conoscenza storica.

L’episteme è intesa da Foucault come tutti i rapporti che sono esistiti in una certa epoca nei diversi domini della scienza.

L’identificazione dell’episteme di un’epoca non è una categorizzazione storica e progressiva degli oggetti di un sapere di un dato periodo, ma la messa in prospetti- va “archeologica” (e critica) del divario stesso che si è potuto assegnare, nelle pro- prie strutture di pensiero, prese esse stesse in una rete impercettibile di vincoli legata all’episteme alla quale noi apparteniamo, con un’episteme anteriore (l’episteme classica) in cui ci è impossibile riconoscere come la disposizione generale dei saperi ha subito “discontinuità enigmatiche”, che Foucault non ha la pretesa di spiegare, ma che egli qualifica come “mutazione”, “evento radicale”, “ritardo infimo ma essenzia- le”52.

È denominata “sonno antropologico” la tranquilla sicurezza con cui i promotori attuali delle scienze umane assumono che sia concesso come oggetto ciò che non è stato in principio che il loro progetto costitutivo. In altre parole, si è prima creata la scienza dell’uomo e poi la si è proiettata sullo stesso uomo costituendolo quale og- getto del sapere. Lo stesso processo si è prodotto nella costituzione del concetto di pericolosità sociale: è nato prima il concetto di “pericolosità” e solo successivamente il concetto di “individuo pericoloso”, divenuto tale, quindi, solo dopo la proiezione sullo stesso del concetto di pericolosità53.

52 Ivi, passim.

5. Dal concetto di anormalità al concetto di pericolosità