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La persistenza delle presunzioni di pericolosità

Attualmente si assiste ad una sorto di “ritorno” delle presunzioni di pericolosi- tà. A determinare la crisi del concetto di pericolosità sociale ha contribuito la sempre più crescente presa d’atto delle incertezze e difficoltà connesse al suo accertamento concreto in sede giudiziale: per cui alla crisi del fondamento teorico si affianca una crisi dei metodi di accertamento.

La valutazione della pericolosità sociale di un individuo è parte integrante del procedimento penale: essa viene accertata dal giudice nel caso in cui il soggetto sia ritenuto imputabile; da un perito incaricato dal giudice, nel corso della perizia psi- chiatrica, se e solo se, il soggetto presenta delle alterazioni psichiche tali da essere riconosciuto non imputabile, in quanto affetto da vizio parziale o vizio totale di mente. In altri termini, la valutazione della pericolosità sociale con conseguente applicazione di una misura di sicurezza, non sempre è ammessa e non sempre viene eseguita: nella stragrande maggioranza dei casi la valutazione di detta pericolosità avviene soltanto all’interno di una perizia psichiatrica, dunque soltanto nel caso in cui ci si trovi di fronte al “sospetto” circa la presenza di una patologia mentale in capo all’autore di reato. Non solo, ma l’individuazione e la conseguente valutazione della pericolosità sociale avvengono “quasi in automatico”: nel momento in cui la perizia psichiatrica evidenzia delle infermità di mente tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere, viene in rilievo anche il “conse- guente” accertamento della pericolosità sociale. In caso di piena imputabilità, per contro, la valutazione della pericolosità sociale “svanisce”375.

374 V. infra, cap. secondo, par. 5.

Stante il divieto di perizia psicologica ex art. 220 c.p.p. stabilito per la valuta- zione in sede di cognizione, la possibilità di compiere una perizia criminologica riguarda solo la fase di esecuzione di un’eventuale misura di sicurezza, così come previsto dall’art. 220 c.p.p., ma non riguarda la sua applicabilità; dunque tale previ- sione normativa solo apparentemente rappresenta un’ulteriore possibilità, oltre alle altre previste dalla legge di applicazione di una misura di sicurezza; in realtà essa consente soltanto di provvedere a perizia criminologica al fine di individuare ed eseguire la misura di sicurezza ritenuta più idonea, ma solo dopo che essa sia stata applicata attraverso una disposizione di legge a ciò deputata376.

Sicché, paradossalmente, nonostante l’abolizione del sistema presuntivo si con- tinua a versare in una situazione di incertezza per il vasto potere attribuito al giudice, sconfinante quasi nell’arbitrio, tanto che, si è giunti finanche a mettere in discussione lo stesso concetto di pericolosità sociale, in conseguenza delle difficoltà di accerta- mento della medesima. Venuti meno i parametri valutativi che consideravano la pericolosità come inscindibile dal fatto commesso o da uno stato dell’agente e che orientavano il giudice anche quando la pericolosità doveva essere accertata in con- creto, si è creata una confusione di due piani: quello relativo all’accertamento in concreto della pericolosità e quello afferente alla stessa possibilità di esistenza di soggetti socialmente pericolosi377.

L’analisi della pericolosità pertanto, presenta modalità di accertamento diffe- renti, a seconda che il giudice decida autonomamente, nel caso di soggetto imputabi- le, o ritenga utile acquisire una perizia, perché presuppone una situazione di “non imputabilità” del reo.

Caduto il dogma dell’onnipotenza della scienza, negli ultimi anni, si è animato un intenso dibattito che ha messo in dubbio, non tanto la scientificità della psichiatria e della psicologia relativamente all’impegno circa l’analisi sull’individuo, quanto la possibilità di controllare dall’esterno la correttezza dell’impostazione delle stesse. Ad

Padova, 2011, pp. 162-163.

376 Ibidem.

essere criticata è, in altri termini, la metodologia dell’indagine compiuta dai periti forensi, per cui diventa fondamentale cercare di individuare procedure standardizza- te, così da consentire quel controllo di affidabilità dall’esterno, indispensabile per fare assurgere la perizia psichiatrica al rango di prova scientifica378.

Il legame tra psichiatria e diritto penale è durato per circa un secolo, ma è anda- to disgregandosi negli ultimi decenni parallelamente all’entrata in crisi del concetto medico della malattia mentale e dei vecchi sillogismi positivisti, attorno ai quali si reggeva. È accaduto che di fronte ai nuovi paradigmi dell’infermità mentale proposti dalle scienze psicopatologiche, di tipo psicologico prima e sociologico poi, i giudici siano rimasti disorientati dando vita ad applicazioni alquanto eterogenee degli artt. 88 e 89 c.p., di fronte alle quali occorre capire se abbia ancora un senso porre esperti al servizio del diritto in questa delicata materia. Per sciogliere i nodi della questione la risposta che qui si prospetta muove, innanzitutto dal rifiuto delle posizioni radicali e ideologicamente antitetiche in tema di perizia psichiatrica: una di carattere deter- ministico-positivistico, che vorrebbe estendere obbligatoriamente l’intervento del perito addirittura ai sottoposti a processi penali, attraverso l’utilizzazione della cosid- detta “perizia criminologica” o “psicologica”379 – oggi vietata ex art. 220 c.p.p. – sulla premessa che il delinquente sia, di per sé, un “malato”; l’altra riconducibile all’antipsichiatria380 che vorrebbe invece escludere completamente il ricorso alla psichiatria forense e alla non imputabilità, negando in radice l’esistenza stessa della malattia mentale381.

378 M.T. COLLICA, Ruolo del giudice e del perito nell’accertamento del vizio di mente, in G.DE

FRANCESCO,CARMELA PIEMONTESE e E.VENAFRO (a cura di), La prova dei fatti psichici, Quaderni

del Dipartimento di diritto Pubblico, Università di Pisa, Torino, 2010, p. 2.

379 Si ritiene, infatti, auspicabile un maggior utilizzo dello strumento della perizia criminologica, già

dalla fase di cognizione, previa abolizione del divieto ex art. 220 c.p.p., al fine della valutazione della pericolosità sociale e della conseguente applicazione della misura di sicurezza. In tal senso v. M. MONZANI, Percorsi di criminologia, Padova, 2011, p. 170.

380 Tra gli psichiatri forensi favorevoli a questa soluzione v. A. MANACORDA, Malattia mentale,

imputabilità e pericolosità sociale: dalla rilettura dei contributi alla proposta di rilettura dei proble- mi, inG.CANEPA,G.I.MARUGO (a cura di), Imputabilità e trattamento del malato di mente autore di

reato, Padova, 2005, passim.

La rigidità che caratterizza le suddette posizioni suscita, invero, molte perples- sità. Quanto alla proposta di adottare una perizia criminologica o psicologica per tutti gli imputati, si suole contestare che l’eventuale disposizione della suddetta forma di perizia, prima dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, potrebbe spingere l’accusa a trarre dal contenuto di questa elementi o indizi di reità. Circa l’opposta opinione volta a limitare, se non addirittura ad eliminare, il ruolo del perito dal si- stema giudiziario, occorre ricercarne le radici nella crisi dei concetti base che sorreg- gono la perizia: la pericolosità sociale ed il trattamento riservato agli infermi di mente autori di reato.

Tra le suddette opzioni estremiste richiamate (abolizione perizia psichiatrica e abolizione del concetto di imputabilità da un lato, estensione della perizia crimino- logica a tutti dall’altro) sembra imporsi una via intermedia e più ragionata, che pur non rinunciando alla perizia psichiatrica nel giudizio di imputabilità, ne subordina la legittimazione a godere della “patente” di scientificità al miglioramento della meto- dologia di accertamento382.

In una prospettiva de iure condendo, relativamente al momento in cui viene ef- fettuata la perizia, si è proposta l’idea del processo bifasico, anche se si tratta di una soluzione non esente da complicazioni, per cui si potrebbe, più semplicemente, in ogni caso, mantenere una perizia nella fase iniziale del processo, così da evitare indagini retrospettive che rischiano di non garantire la fedeltà di osservazione, ma stabilendo che i fatti da essa emersi non possano essere utilizzati dal giudice nella

getto di diritto, agli altri soggetti imputabili, sfociato in precisi progetti di legge. Nello stesso filone antipsichiatrico si inserisce la legge n. 180 del 1978 che ha abolito i manicomi comuni, e nella quale si tende a riconoscere uno spazio di responsabilità anche all’infermo di mente. Nel medesimo ambito si collocano il d.d.l. 29.3.1983, n. 177, presentato dai senatori Grossi, Gozzini e altri, il 29.9.1983 e poi ritirato dagli stessi proponenti, cui hanno fatto seguito il p.d.l. 4.11.1985, n. 3260; il progetto dell’on. Corleone 4.7.1996, n. 151; il d.d.l. 15.12.1998, n. 3668, di iniziativa del sen. Milio; il p.d.l. 1.2.1999, n. 5503 dell’on. Biondi; il d.d.l., del 4.6.2001, n. 845 di iniziativa dell’on. Cento, ripresentato alla Camera col n. 335 il 3.5.2006, tutti a favore dell’abolizione della distinzione tra soggetti imputabili e non imputabili. Al riguardo v. A.GABOARDI,A.GARGANI,G.MORGANTE,A.PRESOTTO,M.SERRAI- NO (a cura di), Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della legalità nella

restrizione della libertà personale, Torino, 2013, pp. 305-306.

motivazione allo scopo di attribuire il fatto criminoso all’imputato, così come preve- de il codice di procedura penale francese383.

Al di là delle critiche rivolte nei confronti della definizione della pericolosità sociale, di cui la letteratura italiana è piena, è stato riscontrato che non esiste una chiara specificazione di quali siano gli indici da tenere in considerazione ai fini di una accurata valutazione della pericolosità sociale; la scelta dei criteri da utilizzare rientra nell’ambito di discrezionalità di ciascun perito, lasciando il dubbio che tale scelta sia basata più sul buon senso piuttosto che su indici di cui sia stata comprovata l’efficacia predittiva384.

Le ricerche esistenti nel panorama italiano, in tema di pericolosità sociale, si limitano alla descrizione a posteriori degli indici utilizzati dai giudici nel disporre la perizia psichiatrica e da differenti periti nell’emissione del giudizio di pericolosità sociale nei confronti di un individuo. Il panorama anglosassone, al contrario, offre sicuramente un maggior numero di ricerche e soprattutto una differente prospetti- va385.

383 In Francia è previsto un “Dossier de personnalitè”, nella fase istruttoria del processo, con

l’obiettivo di fornire un profilo completo dell’imputato. L’art. 81 del codice di procedura penale francese prevede che “il giudice istruttore proceda o faccia procedere, a cura della polizia giudiziaria o a cura di soggetti abilitati dal Ministero di giustizia, ad un’indagine sulla personalità dell’imputato, nonché sulla sua situazione materiale, familiare o sociale. Al riguardo v. Juris Classer, De Procédure

Pénale, 1996. Per le differenze con il sistema italiano v. C.SERRA, Psicologia penitenziaria, Milano, 2003, pp. 53 ss.; C.SERRA, Proposte di criminologia applicata 2003, Milano, 2003, pp. 79 ss.; G. DISNAN,G.FAVA VIZZIELLO, La consulenza clinica psicologica, Milano, 1999, pp. 119 ss.; G.SAR- TARELLI, Pedagogia penitenziaria e della devianza. Osservazione della personalità ed elementi del

trattamento, Roma, 2005, pp. 19 ss.; G.DE LEO,P.PATRIZI, Psicologia giuridica, Bologna, 2002, pp. 161 ss.; F.GIBERTI,R.ROSSI, Manuale di psichiatria, Padova, 2009, pp. 1 ss.

384 Spesso la prassi suggerisce d’indirizzarsi all’uso stereotipato di strumenti accettati per tradizione,

in una ripetitività che elude e ignora il problema della pertinenza, della pregnanza e della coerenza tra i criteri, le teorie, gli assunti, i metodi e gli strumenti cui è opportuno ricorrere in funzione del pro- blema. L’impiego diffuso di test personologici, anche prestigiosi, spesso non appare né pertinente né coerente con le valutazioni che l’esperto è incaricato di compiere. Diversi autori hanno evidenziato come test psicologici clinici strutturati per indagare la personalità nel suo complesso, alcune sue dimensioni psicologiche particolari o quadri psicopatologici, non siano sufficientemente affidabili né discriminanti per comprendere ciò che può interessare al giudice e agli altri committenti. Al riguardo v. A.SALVINI,A.RAVASIO,T.DA ROS, Psicologia clinica giuridica, cit., p. 48.

385 Infatti, nel processo statunitense, ormai da tempo, si propende verso un’analisi interdisciplinare,

cercando tuttavia di limitare quelle indagini che potrebbero ledere la libertà morale del soggetto. Gli Stati Uniti, già nel 1921, avevano previsto con la “Briggs Law” (indagine sullo stato di mente del

La gran parte delle attuali conoscenze nei vari settori della psicologia, per esempio quella dello sviluppo e del ciclo di vita, dimostra l’impossibilità di fare previsioni certe laddove la staticità e la replicazione dei ruoli e delle situazioni lasci- no intravedere un’elevata probabilità che le persone “ritrovando il medesimo arma- dio indossino i medesimi vestito”386.

Il nostro codice di rito, in merito alle perizie, privilegia il ricorso a una teoria deterministico-lineare, naturalistica, astorica, acontestuale e individualistica ricondu- cibile al modello psichiatrico, secondo un criterio che equipara ogni devianza alla malattia mentale, di cui sarebbe al tempo stesso prova e causa387.

A partire dall’analisi di precedenti perizie e della loro effettiva correttezza, si iniziano a raccogliere gli elementi maggiormente in grado di predire la possibile recidiva dei soggetti, portando infine alla nascita dei primi strumenti di valutazio- ne388.

La personalità delinquenziale per i più non esiste, anche perché il delinquere è concetto giuridico non omogeneo a quello biologico di personalità e di malattia. La

soggetto), promulgata nel Massachussetts, e poi in altri paesi, un’indagine sullo stato mentale della persona accusata di un crimine capitale o nei casi di recidiva di reati gravi. La giuria deve essere informata delle conclusioni delle indagini effettuate dai periti psichiatri per ciò che concerne la malat- tia mentale, o un “difetto” che può attaccare anche in modo sostanziale il “controllo del comportamen- to”. Secondo il parere del magistrato Bazelon, uno dei principali promotori dell’introduzione di un’indagine interdisciplinare nel processo, la perizia deve tenere conto dello sviluppo, adattamento e funzionamento del comportamento nella realtà sociale. Inoltre, l’ammissibilità di tale indagine fa capo all’esperienza del perito e al valore probatorio del suo giudizio. Nel sistema penale statunitense agli psicologi-periti è affidato il compito di fornire informazioni circa la diagnosi, la prognosi e le cause dei “disturbi” che esulano dal campo di indagine psichiatrico. Nel processo statunitense, dunque, non si parla di una vera e propria perizia criminologica, ma l’apporto psico-criminologico è relativo alla valutazione delle condizioni mentali dell’imputato che non rientri nella nosologia psichiatrica. Non sono, invece, previste indagini di carattere prettamente ambientale e/o sociali o quelle relative ai precedenti penali. Questi elementi, difatti, se ritenuti utili per orientare le indagini, non possono essere utilizzate come prove oggettive su cui fondare un eventuale giudizio. Pertanto, se anche non può parlarsi di una vera e propria perizia criminologica nel processo statunitense, l’apporto psicologico e criminologico appare, comunque, rilevante. Al riguardo v. S.L.BROSDKY, Lo psicologo nella giustizia

penale, Milano, 1978, passim; M. ANCEL, La nuova difesa sociale, Milano, 1966, passim; C.MACRÌ,

Criminologia applicata, in www.associazionelios.org.

386 Al riguardo v. A.SALVINI,A.RAVASIO,T.DA ROS, Psicologia clinica giuridica, cit., p. 46. 387 Al riguardo v. Ivi, p. 47.

388 Sull’ambiguità teorica di uno strumento operativo in ambito giudiziario, relativamente

all’accertamento della pericolosità sociale” v. www.psy.unipd.it/~forense/a_areddi.htm.; V. altresì F. GIBERTI,R.ROSSI, Manuale, di psichiatria, cit., pp. 1 ss.

commissione di reati non è sintomo di patologia o di abnormità ma costituisce sem- plicemente una possibilità di vita, una scelta dettata anche, ma non solo, da motiva- zioni di contesto. Secondo Karl Popper “il criterio di demarcazione inerente alla logica induttiva – cioè il dogma positivistico del significato – è equivalente alla richiesta che tutte le asserzioni della scienza empirica (ovvero tutte le asserzioni «significanti») debbano essere passibili di una decisione conclusiva riguardo la loro verità e falsità; diremo che devono essere decidibili in modo conclusivo. Ciò signifi- ca che la loro forma dev’essere tale che sia il verificarle sia il falsificarle debbano essere logicamente possibili”389.

Qui viene in rilievo la domanda se i comportamenti umani siano scientifica- mente prevedibili390. Infatti, il nodo problematico sul quale si gioca la stessa legitti- mazione sostanziale delle misure di sicurezza è rappresentato dal giudizio di perico- losità e dai criteri utilizzati per il suo accertamento.

Bisognerebbe indagare sui rapporti tra determinismo e prevedibilità dei com- portamenti umani, considerato che le variabili condizionanti l’agire degli uomini risultano troppo numerose e troppo varie perché sia possibile fondare il ragionamento prognostico su tutte le premesse rilevanti nel campo specifico391.

Secondo parte della dottrina, la fondatezza del giudizio di pericolosità dipende- rebbe da due fattori: dalla rilevanza dei fattori indizianti da un lato, dai criteri utiliz- zati nel procedimento di inferenza probabilistica dall’altro392.

Nell’accertamento del giudizio di pericolosità, oltre al reato commesso, entrano in gioco una serie di elementi indizianti distinti in elementi sintomatici reali ed ele- menti sintomatici personali393.

389 K. POPPER, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1995, p. 21.

390 M.PAVARINI,L.STORTONI (a cura di), Pericolosità e giustizia penale, cit., p. 24. 391 F.CAPRIOLI, Pericolosità sociale e processo penale, cit., p. 25.

392 T.PADOVANI, Fatto e pericolosità, cit., p. 118.

393 Gli elementi sintomatici reali gravitano intorno al reato o perché ne implicano la reiterazione, come

si verifica nella abitualità o professionalità ex artt. 102 e 105 c.p., o perché ne presuppongono una particolare gravità: in astratto, come accade nell’art. 222, comma 1 e 2 c.p. per il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario; o in concreto, nelle ipotesi in cui viene richiamata l’entità della condotta

Nella valutazione criminologica dei fattori indizianti, gli elementi sintomatici reali assumono un peso dominante rispetto agli elementi sintomatici personali. Tali elementi, spesso, sono assunti in una dimensione fortemente astratta, connessa a valutazioni di mera gravità edittale del reato commesso, senza alcuna considerazione per il concreto atteggiarsi dell’episodio criminoso nella personalità del soggetto.

Questa accentuata propensione ad affermare il primato di valutazioni puramen- te legali nelle fattispecie sintomatiche di pericolosità, deve considerarsi positiva in rapporto al fatto che gli elementi indizianti reali servono a circoscrivere le situazioni tipo in presenza delle quali il giudice deve poi procedere all’ulteriore accertamento della pericolosità in concreto. Il rischio è che attraverso una troppo rigida predeter- minazione di limiti normativi astratti, finiscano con l’essere sottratti al vaglio di pericolosità soggetti in effetti pericolosi. È un rischio che consiste in sostanza nella formazione implicita di presunzioni di “non pericolosità”. Basti pensare in proposito alle ipotesi del prosciolto per infermità psichica da una contravvenzione, da un delit- to colposo o da un altro delitto punibile con la sola pena pecuniaria o con la reclusio- ne non superiore nel massimo a due anni394. Un tale rischio, secondo Padovani, può essere considerato il prezzo inevitabile che l’ordinamento deve corrispondere alla esigenza di tutela della libertà personale, quando la sua restrizione si prospetta come conseguenza di un giudizio prognostico inevitabilmente incerto.

inflitta, ad esempio nell’art. 229, n. 1 e nell’art. 230, comma 1 n. 1 c.p., ai fini della sottoposizione alla libertà vigilata; oppure infine perché si individua un particolare tipo criminoso a rilevanza sintomatica “privilegiata” come nell’ipotesi dell’art. 538 c.p. che autorizza, e in alcuni casi impone, l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva a chi sia stato condannato per i delitti in materia di prostituzione. Gli elementi sintomatici personali sono invece connessi alla peculiarità del soggetto, considerato in rapporto a dati caratteriali, come ad esempio l’essere dedito al delitto ai fini dell’abitualità ritenuta dal giudice ex art. 103 c.p.; a condizioni incidenti sull’imputabilità, come ad esempio nelle ipotesi dell’art. 222 c.p., per quanto riguarda l’infermità psichica, e dell’art. 224 c.p. per quanto concerne l’età; o dalla condotta di vita, come nel caso dell’ubriaco abituale o della persona dedita all’uso di sostanze stupefa- centi ex art. 221 c.p.

394 Art. 222, comma 1, c.p. per il quale è in pratica preclusa ogni forma di intervento preventivo, anche

se il reato commesso, pur nella sua ridotta gravità legale, consenta di evidenziare in rapporto alla infermità che lo ha determinato, una pericolosità molto elevata.

Ma l’incertezza dei giudizi di pericolosità sociale non sembra tuttavia ascrivibi- le esclusivamente alla loro struttura prognostica395.

Sul piano contenutistico, un primo elemento che contribuisce a rendere scar- samente attendibili i giudizi di pericolosità è rappresentato dalla troppa generica descrizione normativa dell’evento che deve essere previsto dal giudice come proba- bile396.

Di regola, infatti, tale evento è costituito dalla futura commissione di reati di qualunque natura da parte del soggetto la cui pericolosità deve essere valutata397.

Norme “vaghe” o “aperte” di questo tipo consentirebbero di esercitare “un po- tere discrezionale molto ampio”, richiedendo al giudice operazioni di “fantasia crea-