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Il disagio di fronte alla disabilità, un tema misconosciuto

Nel documento Professionalità studi (pagine 154-157)

La lunga presenza di alunni con disabilità all’interno dell’ordinario per-corso scolastico; la loro gestione attraverso figure specifiche come inse-gnanti di sostegno, educatori, assistenti; processi educativi e quotidianità scolastica che si dipanano tra strumenti, modalità, contesti relazionali che sappiamo essere articolati, complessi e contradditori ci hanno fatto dimenticare qualcosa che è continuamente presente: la disabilità pone problema. In sostanza, la gestione di queste presenze ormai ordinarie nel mondo scolastico ha portato a misconoscere il disagio psicologico, so-ciale e relazionale che ci assale, quando siamo di fronte alla disabilità, tanto più se questa è di tipo complesso. Funzionamenti, linguaggi, modi di relazionarsi, comunicare e apprendere non ordinari, situazioni diffi-coltose, dolorose, di cui si hanno talora pochi strumenti di decifrazione ci pongono problema e, in fondo, ci inquietano. Anche se non ce lo di-ciamo apertamente.

Questo disagio ha radici profonde ed effetti decisivi sulle relazioni e sui processi educativi, anche se raramente la letteratura didattica, socio-edu-cativa pone tali questioni. L’innegabile affinamento della riflessione sui

* Ricercatore, Università degli Studi Milano-Bicocca, matteo.schianchi@unimib.it.

modelli da seguire (classificazione ICF, modello sociale, universal de-sign); l’attenzione sul piano normativo a centrare la collegialità dell’in-clusione scolastica non relegandola solo al docente specializzato (d.m.

182/2020) continuano a confrontarsi con un senso comune e scolastico pervicace che continua a considerare chi ha una disabilità come un sog-getto inferiore. Lo scetticismo sull’inclusione scolastica a base scienti-fica non solo serpeggia nella scuola, ma continua a basarsi su idee e pra-tiche basate su «una cultura giuridica individuale-medica [che] indeboli-sce quella pedagogica e il lavoro della scuola, delegittima gli insegnanti curricolari e delega quelli speciali, dà fiato a sirene specialistiche e iper-terapeutiche» (1).

All’interno di queste dimensioni complesse, critiche, contraddittorie tra loro si muovono non solo la quotidianità scolastica, ma anche la forma-zione degli insegnanti e la ricerca scientifica. Continuano tuttavia a man-care una più compiuta riflessione e formazione sulle dinamiche di infe-riorizzazione delle persone con disabilità, un’attenzione alle radici so-ciali, psicologiche e relazionali che istituiscono continuamente, in modo violento, classista e del tutto arbitrario, un’identità sminuita di chi ha al-cune menomazioni, specie se complesse o di tipo intellettivo. Manca una più compiuta messa a tema del disagio profondo che provoca la presenza della disabilità, un disagio che né le norme, né strumentazioni didattiche affinate, né la condivisione e la continua frequentazione possono cancel-lare. Le dinamiche e i sacrosanti principi di inclusione basati sull’idea che attraverso la quotidiana frequentazione, la condivisione di luoghi, relazioni, processi formativi tra “normodotati” e “disabili” sono spesso lasciate a dimensioni spontanee, ad approcci puramente emotivi e rara-mente oggetto di riflessione. La condivisione di luoghi ed esperienze tra persone diverse è necessaria e imprescindibile, ma non cancella, sponta-neamente e magicamente, né il disagio soggettivo di fronte alla disabi-lità, né dinamiche di inferiorizzazione delle persone che ne sono porta-trici. Anzi, da tempo, la letteratura di stampo sociale e psicologico con-tinua a ricordarci che il disagio psicologico provocatoci dalla disabilità è continuamente presente, profondo e non può essere neutralizzato

(1) D.IANES,G.AUGELLO,(2019),Gli inclusio-scettici. Gli argomenti di chi non crede nella scuola inclusiva e le proposte di chi si sbatte tutti i giorni per realizzarla, Erick-son, 2019, p. 45

nemmeno da una maggior conoscenza (2). Le forme di stigmatizzazione e di disprezzo verso chi ha una disabilità non si riducono, necessaria-mente, con la familiarità (3). Alcuni atteggiamenti di accettazione posi-tiva delle diversità a livello esplicito sono contraddetti da forme implicite di rifiuto (4). I processi di inferiorizzazione delle persone con disabilità sono culturalmente e socialmente molto radicati, al punto da risultare na-turali, e continuamente soggetti a rinnovamento (5).

Tutte queste dimensioni si riproducono, continuamente, nel senso co-mune, nella socialità ordinaria e in tutti quei luoghi in cui è presente la disabilità, tanto in servizi specializzati, quanto in ambienti plurali e divisi, come la scuola. Anzi, una delle più recenti formulazioni del con-cetto di stigmatizzazione elaborato da E. Goffman insiste proprio sul fatto che lo stigma è continuamente presente in situazioni e figure pro-fessionali strettamente a contatto con situazioni di disabilità. Lo stigma non è cioè legato a una negazione dell’altro e della sua mancata ordina-rietà: è espressione di uno specifico senso morale e di una serie di emo-zioni e sentimenti che chiedono di affermarsi. È il senso morale del di-sagio di fronte ai funzionamenti non ordinari che invoca continuamente il bisogno di ordinarietà, il normale corso delle cose. Lo stigma è dunque un elemento attraverso cui i membri di una comunità locale, un micro-cosmo, esprimono e difendono la loro adesione ad alcuni valori: ciò può comportare l’adozione di criteri stigmatizzanti, se non violenti e discri-minatori verso chi è considerato responsabile, con la sua anomala pre-senza e i suoi anomali funzionamenti, di metterli in discussione (6).

Nel considerare che nessuna azione educativa e didattica può essere ra-dicalmente efficace se questo disagio legato alla presenza di disabilità non è seriamente affrontato dalle figure docenti né è elaborato, sul piano educativo, nelle relazioni e interazioni tra pari (e tanto meno nel bagaglio che ciascun giovane ha con sé), questo articolo ha come principale obiet-tivo una messa a tema del disagio di fronte alla disabilità e dei suoi effetti,

(2) M.MANNONI, Il bambino ritardato e la madre. Studio psicoanalitico (1964), Bo-ringhieri, 1982; P.BRAUD,Violence symbolique et mal-être identitaire, in Raisons po-litiques, 2003, n. 9, pp. 33-47.

(3) E.GOFFMAN, Stigma. L’identità negata (1963), Ombrecorte, 2003.

(4) C.VOLPATO,Le radici psicologiche della disuguaglianza, Laterza, 2019.

(5) M.SCHIANCHI,Il debito simbolico. Uno studio di storia della disabilità in Italia tra Otto e Novecento, Carocci, 2019.

(6) A.KLEINMAN,Santé et stigmate, in Actes de la recherche en sciences sociales, 2002, n. 143, pp. 97-9.

sia come oggetto di ricerca necessariamente pluridisciplinare sia nella prospettiva della formazione degli insegnanti. Del resto, tale dimensione non è oggetto di attenzione e formazione specifica per nessuno degli stu-denti che si candida a lavorare con la disabilità (Tfa sostegno, formazione primaria, scienze dell’educazione, scienze pedagogiche, assistenza so-ciale). La dimensione psico-sociale, coi suoi esiti esistenziali e relazio-nali, è spesso centrata, anche sul piano formativo, sulla persona con di-sabilità, non sulle figure educative, né sulle dinamiche relazionali tra l’una e le altre.

Si affrontano dunque in questo articolo una serie di aspetti critici che concettualmente si collocano ancor prima di quelle competenze etiche che, pur dovendo essere oggetto di consapevolezza riflessiva e principio integratore della professionalità dell’insegnante, non sono esse stesse og-getto di specifica attenzione neanche in una delle formazioni più speci-fiche ai temi della disabilità come il tfa sostegno (7). Procedo prima in-dividuando gli elementi salienti di tale disagio con le sue ricadute rela-zionali-pedagogiche, poi mostrando alcune tracce di questo disagio emerse in un corso per specializzandi al sostegno.

Nel documento Professionalità studi (pagine 154-157)

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