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Il ruolo del sapere implicito nell’agito professionale

Nel documento Professionalità studi (pagine 53-59)

Il sapere implicito è quel tipo di sapere prodotto, condiviso ed interioriz-zato nelle relazioni quotidiane che guida tacitamente l’agire. Nell’essere in relazione con gli altri, ognuno è influenzato da questa forma di sapere, la quale contiene in sé una visione del mondo e i sistemi di aspettativa ad essa correlati (9). Esso costituisce, dunque, una sorta di filtro interpre-tativo che si esprime attraverso pregiudizi, convinzioni, credenze le quali sono poste come categorie di giudizio dell’esperienza.

Il sapere implicito è, in tal senso, un sapere sotto-banco (10), il quale, pur non essendo mai stato sottoposto ad analisi circa la validità che esprime, è stratificato nella memoria collettiva (11) e, dunque, nel senso comune e

(9) J.BRUNER, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, 2001.

(10) R.MASSA,L.CERIOLI (a cura di), Sottobanco. Le dimensioni nascoste della vita scolastica, FrancoAngeli, 1999.

(11) S. MOSCOVICI, Il fenomeno delle rappresentazioni sociali, in S.MOSCOVICI,R.M.

FARR, Rappresentazioni sociali, Il Mulino, 1989, 30-31.

personale. In ragione di ciò, il sapere implicito rappresenta un elemento perdurante nel definire universi di senso e direzioni di vita, esercitando un forte grado di controllo sul presente, grazie al potere descrittivo ed interpretativo costruito nel passato. Tale sapere assurge, quindi, a si-stema di classificazione e a repertorio di immagini e di descrizioni, i quali superano i limiti dell’informazione disponibile, divenendo una sorta di ambiente reale costituito da realtà incontestabili: il sapere impli-cito conferma sé stesso, pregiudicando, condizionando, determinando gli esiti delle interpretazioni e delle relazioni con l’altro, creando l’altro se-condo le immagini che detiene.

Le rappresentazioni che gli individui hanno di sé stessi e delle cose del mondo non sono, quindi, il prodotto di un modo di pensare, ma è il modo di pensare una diretta conseguenza delle rappresentazioni di cui si di-spone. Le elaborazioni, i confronti e le ri-elaborazioni prodotte dagli dividui nell’agito quotidiano sono, dunque, guidate da questo sapere in-formale che, proprio in ragione di tale informalità, diviene particolar-mente potente nel guidare pensieri ed azioni (12).

Il sapere implicito è, pertanto, oggetto di fondamentale interesse per una formazione della professione docente rivolta alla maturazione di compe-tenze riflessive ed autocritiche.

In particolare, è la declinazione personale del sapere implicito che costi-tuisce in questa sede l’oggetto di maggiore attenzione. Il sapere perso-nale è una forma particolare di sapere implicito che si costruisce attra-verso i vissuti di sé e degli altri. I modi in cui una persona conosce, il tipo e la qualità della sua conoscenza dipendono dalla sua storia perso-nale, da ciò che egli ha vissuto e da come lo ha vissuto. In altri termini, è possibile dire che siamo persone diverse perché “viviamo” e “sap-piamo” cose diverse (13), uniche e singolari, legate cioè alla unicità e alla singolarità dell’esperienza di vita (14).

Il sapere personale si costruisce e risiede, quindi, nella nostra storia e nella nostra quotidianità, si realizza tramite l’elaborazione razionale di vissuti emozionali ed incide in maniera determinante sulle forme del

(12) F.LO PRESTI, I saperi nella costruzione dell’identità professionale, in A.CUNTI,F.

LO PRESTI,F.SABATANO, Le competenze relazionali in ambito sanitario. Per una for-mazione all’ agire riflessivo, Carocci, 2010.

(13) M.DALLARI, I saperi dell’identità. Costruzione delle conoscenze e della cono-scenza di sé, Guerini e associati, 2000.

(14) P. DE MENNATO, Il sapere personale. Un’epistemologia della professione docente, Guerini e associati, 2003.

sapere in generale e sui modi di essere e di agire (15). In quest’ottica i processi formativi e di apprendimento costituiscono eventi non solo di natura cognitiva, ma anche emozionale e socio-affettiva (16). Si tratta, cioè, di una costruzione attiva, realizzata nel corso della singolarità della propria esperienza, che ha un ruolo fondativo per l’identità e che attri-buisce un valore qualitativo ed intenzionale/direzionale all’esperienza stessa.

La vita delle persone si costruisce attraverso una serie di passaggi fonda-mentali, cambiamenti che, definendo un prima e un dopo, segnano i per-corsi di crescita degli individui. Questi passaggi e cambiamenti (scelte personali, esperienze di lavoro, esperienze di morte o malattia, espe-rienza ludiche, ecc.) determinano e ri-determinano l’adesione a valori di riferimento in trasformazione i quali indirizzano le persone, di volta in volta, verso diversi scopi vitali (17), modi di essere e di pensare. La tra-sformazione di tali valori è legata, quindi, ai passaggi, ai momenti di transizione, i quali equivalgono ad una scomposizione e ricomposizione del sapere personale che costruisce il sé (18) e che, pertanto, lo guida nell’azione.

In tal senso, ogni individuo è spinto a ritenere che la realtà in cui vive sia la realtà e non solo una semplice versione di essa. Tale aspetto deriva da un bisogno di adattamento che è direttamente responsabile delle costru-zioni, classificacostru-zioni, categorizzazioni necessarie ad assumere una collo-cazione ed una prospettiva all’interno della realtà. Il sapere funge, quindi, da strumento di costruzione e di coesione attraverso cui compren-diamo noi stessi ed il mondo e ci orientiamo in esso. Senza strumenti di comprensione e senza la fiducia in essi non è possibile capire ed agire l’esperienza. Allo stesso modo, tuttavia, il sapere ci vincola all’interno delle visioni (di noi stessi e del mondo) che detiene e, quindi, ci obbliga all’interno di percorsi che sono dati dalle prospettive e dai sistemi di si-gnificato che, come strutture previsionali del possibile, orientano impli-citamente le nostre scelte, percorrenze, ambizioni, volontà, comporta-menti. Il modo in cui entriamo in relazione con gli altri, il modo in cui ci

(15) M.NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, Il Mulino, 2004.

(16) P.OREFICE, La formazione di specie. Per la liberazione del potenziale di cono-scenza del sentire e del pensare, Guerini, 2003.

(17) D.DEMETRIO (a cura di), Educazione degli adulti. Gli eventi e i simboli, Cuem, 1996.

(18) F.LO PRESTI, Il senso del sé. Percorsi autoriflessivi nella formazione, Pensa Mul-timedia, 2005.

comportiamo nei loro confronti sfugge, quindi, ad una analisi approfon-dita di ciò che essi realmente e profondamente sono ed è, piuttosto, gui-dato da una presunta verità interpretativa di tipo classificatorio che, senza che ce ne rendiamo conto, ci suggerisce un punto di vista attraverso cui giudicarli.

Ad esempio, secondo questa dinamica, la reazione di un insegnante ad un alunno che esprime aggressività, dipenderà tendenzialmente dalle ca-tegorie in cui l’insegnante stesso ha collocato inconsapevolmente e pre-giudizialmente quell’alunno; la sua reazione dipenderà, cioè, dal tipo di classificazione implicita in cui egli ha inserito l’alunno in relazione alle esperienze pregresse dell’insegnante (sapere personale) ed alle cono-scenze implicite diffuse all’interno del contesto professionale in cui egli opera (sapere implicito): se l’insegnante ritiene, cioè, che gli alunni ag-gressivi siano tali in relazione ad una provenienza sociale e culturale, egli tenderà a produrre inconsapevolmente valutazioni e giudizi classisti e, di conseguenza, reazioni ed azioni inique, punitive o escludenti; la rela-zione che l’insegnante produrrà nei confronti di tale alunno sarà, dunque, allo stesso modo condizionata da un sapere implicito e personale il quale, tra l’altro, tenderà nel tempo a confermare se stesso, creando l’alunno ad immagine e somiglianza delle categorie interpretative del docente (19).

Questo esempio, smaschera un grave errore professionale, poiché il com-portamento aggressivo dell’alunno potrebbe trovare origine in cause molto più profonde, personali, sfumate, le quali però, in ragione della dinamica descritta, diventano invisibili agli occhi dell’insegnante, così come diventa invisibile l’errore grave che egli commette nel direzionare il suo agito professionale: la gravità non sta nel fatto di aver commesso un errore d’interpretazione, ma nel fatto di non essersi interrogati sulla bontà dell’interpretazione stessa e, dunque, di non esserne consapevoli:

l’errore veramente grave è, cioè, l’errore che non sappiamo di aver com-messo, poiché non possiamo riparare ad esso, evitando di commetterlo di nuovo (20).

L’elemento da porre in luce è, dunque, che ogni comportamento, per es-sere realmente compreso, non può eses-sere semplicemente classificato a partire dall’uso inconsapevole delle proprie categorie di giudizio (sapere implicito), ma deve sempre essere considerato come la parte di un tutto

(19) F.LO PRESTI, La responsabilità del disagio a scuola. Dimensioni tacite ed aspetta-tive nella relazione educativa, cit.

(20) F.LO PRESTI, I saperi nella costruzione dell’identità professionale, cit.

complesso e originale: il soggetto. In altri termini, per comprendere real-mente il senso del comportamento di un alunno, generando di conse-guenza azioni di risposta adeguate ad esso e dunque efficaci professio-nalmente, bisogna cogliere il significato racchiuso nel frammento di vita che esprime, reimmergendolo nella configurazione globale cui appar-tiene: alla luce del tutto, la parte diventa intellegibile; ciò equivale a dare senso soggettivo ai comportamenti (21). Ciò implica l’esercizio di un sa-pere prassico, il quale comporta un processo d’indagine finalizzato a promuovere la capacità di cogliere e di interpretare il profilo singolare e originale della situazione con la quale si interagisce (22).

L’errore più incisivo che un insegnante può compiere nella gestione della relazione con i propri alunni è, quindi, racchiuso nel produrre interpreta-zioni e giudizi che tendenzialmente mai tengono conto di questa “sog-gettività”, di questo tutto.

Il rilievo critico risiede allora nell’acquisizione che “il senso oggettivo è costruito dall’osservatore e rischia di non corrispondere, di non essere adeguato al senso soggettivo, ossia a quel nesso che il soggetto sente si-gnificativo per lui. Non si tratta di negare qualsiasi validità all’attribu-zione di un significato condiviso circa determinati comportamenti so-ciali, si tratta di recuperare quel postulato dell’adeguatezza (23) in base al quale ogni diagnosi, ogni interpretazione di un comportamento sociale (o antisociale) proposta da un osservatore, deve essere compatibile con quella proposta da chi quel comportamento ha prodotto. Rinunciare all’adeguatezza, rinunciare ad una negoziazione continua tra senso og-gettivo e senso sogog-gettivo significa rischiare [di costruire] impalcature esplicative che non hanno alcuna presa sul reale” (24). In altri termini, proporre interpretazioni e formule esplicative predeterminate e non orientate agli attori significa, difatti, rischiare il fallimento dell’azione educativa (25). L’origine relazionale del soggetto e del mondo implica, invece, “una presa di distanza da ogni possibile interpretazione oggetti-vistica o idealistica: il soggetto non è il risultato di una serie di forze e urti di un mondo naturale […]; il mondo offre dei pre-testi sulle cui

(21) P.BERTOLINI,L.CARONIA, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia, 1993, 39.

(22) L.MORTARI, Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci, 2003.

(23) A.SCHUTZ, La fenomenologia del mondo sociale, il Mulino, 1974.

(24) P.BERTOLINI,L.CARONIA, Ragazzi difficili., cit., 40.

(25) Ibidem.

suggestioni ed entro i cui vincoli il soggetto costruisce dei testi, ossia delle rappresentazioni sensate del mondo, nella cui costruzione il sog-getto, il suo sistema di rilevanza, il suo modo di cogliere le tracce di senso nel mondo, sono fortemente implicati” (26).

Il processo formativo ed auto-formativo su cui si imperna la costruzione di competenze adeguate alla complessità del contesto educativo si con-centra, quindi, sul disvelamento delle rappresentazioni di sé e della realtà (27). Gli individui definiscono naturalmente il proprio agito professionale in riferimento al riconoscimento e all’interiorizzazione delle norme e dei valori storicamente e tradizionalmente determinati all’interno del proprio contesto professionale (sociale e culturale) in maniera del tutto automa-tica e naturale; l’utilizzo di categorie sociali astratte socialmente co-struite (28) e interiorizzate consente di realizzare un’idea di sé e degli altri e, pertanto, esso costituisce la matrice rassicurante dell’esperienza, il metro di giudizio, l’elemento di paragone, il modello tramite cui operare un raffronto con informazioni provenienti dall’esperienza. Tuttavia, la professione educativa necessita, in prima istanza, che le impalcature so-vrastrutturali del pensiero su cui si ergono certezza e sicurezza vengano poste in discussione (29), tramite la scelta rischiosa di guardarsi dentro, la scelta di guardare al proprio ruolo in profondità, assumendo l’impe-gno di coltivare la propria interiorità per accogliere e sviluppare l’essere persona (30). Ciò è il risultato della capacità di transitare da un mento naturale (meccanico, miope, inconsapevole) verso un atteggia-mento filosofico (organico, critico, consapevole), costruendo ovvero una vigilanza epistemica (31) che non è solo competenza metacognitiva, ma possibilità di dubitare delle nostre premesse di conoscenza, cioè di ap-plicare metodicamente e sistematicamente l’esercizio del dubbio come strategia di dialogo con noi stessi e con il reale. Questa prerogativa ride-finisce il ruolo dell’insegnante come attore sociale della formazione e

(26) Idem, 41.

(27) G.BONETTA,Le nuove frontiere della ricerca formativa, cit.

(28) J.C.TURNER, Verso una ridefinizione cognitivista del gruppo sociale, in V.UGAZIO (a cura di), La costruzione della conoscenza. L’approccio europeo alla cognizione del sociale, FrancoAngeli, 1997, 174.

(29) V.IORI,Gettare lo sguardo oltre i pre-giudizi, in V.IORI (a cura di), Quaderno della vita emotiva, Franco Angeli, 2009.

(30) F.CAMBI,La cura di sé come processo formativo, Edizioni Laterza, 2010.

(31) L.CARONIA, Fenomenologia dell’educazione. Intenzionalità, cultura e conoscenza in pedagogia, FrancoAngeli, 2011.

professionista riflessivo (32), il quale identifica e utilizza consapevol-mente e criticaconsapevol-mente metodi, tecniche, approcci che applicano la rifles-sività all’esperienza e al proprio pensare, rendendo il rapporto con i di-scenti fondato sulla qualità e sulla reciprocità dello scambio dinamico tra identità (33).

Nel documento Professionalità studi (pagine 53-59)

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