È inutile negare che di fronte alla disabilità, per istinto, si prova tutta una gamma di sentimenti che non si tratta né di nascondere, né di mettere sotto silenzio né di censurare, ma di comprendere. Lavorando con le per-sone con disabilità si rischia, in effetti, di costruire relazioni educative che si portano dietro, in modo del tutto inconsapevole, sia questo nostro disagio sia una considerazione sminuita e inferiorizzante di quelle per-sone. Le principali chiavi per comprendere queste dinamiche ci vengono da studiosi francesi.
Allorché alcuni studi avevano affrontato negli anni Sessanta le origini e gli effetti psichici di fronte alla disabilità intellettiva in ambito familiare, dobbiamo alla psicologa Simone Sausse l’aver introdotto, nel corso degli anni Novanta, il perturbante come chiave per comprendere la disabilità
(7) P.CALDONI,F.DETTORI,G.MANCA,L.PANDOLFI,IantéInsegnanti di sostegno in formazione e sviluppo della competenza etica. Un’esperienza presso l’università di Sassari, in Form@re, Open journal per la formazione on rete, 2021, n.2, 64-77.
(8). Il concetto è stato coniato da Freud (1919) in un articolo riconosciuto decisivo sotto molti aspetti e, in realtà, poco focalizzato sulla condizione riconducibile alla disabilità, nozione che evidentemente non esisteva all’epoca.
Secondo il padre della psicanalisi, di fronte a diversi tipi di menomazioni siamo perturbati, sensazione che sta nella sfera di ciò che ci risulta spa-ventoso, causa di angoscia e orrore. A muovere i meccanismi di tale sen-timento, a tesserne le fila, è il nostro inconscio. Perturbante non è ciò che ci è sconosciuto (e di cui si può avere paura), ma è ciò che avrebbe do-vuto restare nascosto, segreto e invece, è riemerso. È qualcosa che era diventato estraneo attraverso il processo di rimozione e invece, improv-visamente, è riaffiorato. A «molti uomini appare perturbante in sommo grado ciò che ha rapporto con la morte [... poiché] il nostro inconscio si rifiuta di accogliere l’idea della propria mortalità» (9). Tuttavia, tra le situazioni che perturbano ci sono, oltre ad epilessia e follia, anche le in-fermità del corpo, le mutilazioni in particolare: «Il profano vede qui la manifestazione di forze che non aveva supposto di trovare nel suo pros-simo, ma di cui è in grado di percepire oscuramente il moto in angoli remoti della propria personalità» (10).
Nella distinzione e nelle continuità, tra “il normale e il patologico”, an-che il filosofo francese G. Canguilhem, maestro di M. Foucault a cui dobbiamo altre chiave decisivi per comprendere la nostra relazioni con gli anormali, (11) aveva reinterpretato, attraverso il concetto di mostro, le nostre reazioni di fronte a simili menomazioni. Di fronte a questo
“scacco della vita” proviamo timore perché ci interpella doppiamente:
tale scacco avrebbe potuto prodursi in noi, oppure potrebbe, o avrebbe potuto, venire da noi (12).
Queste interpretazioni di matrice freudiana, con alcune componenti le-gate allo strutturalismo il cui padre C. Lévi Strauss aveva posto la di-mensione archetipica delle menomazioni corporee (legate in particolare
(8) S.SAUSSE, Specchi infranti. Uno sguardo psicoanalitico sull’handicap, il bambino e la sua famiglia (1996), Ananke, 2006; ID.,Da Edipo a Frankenstein. Figure dell’han-dicap (2001), Ananke, 2009.
(9) S.FREUD, Il perturbante (1919), in ID, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, 1969, vol. I, p. 270.
(10) S.FREUD, op.cit., p. 296.
(11) SM.FOUCAULT, Gli anormali. Corso al Collège de France, 1974-1975 (1999), Fel-trinelli, 2000.
(12) G.CANGUILHEM,La conoscenza della vita (1962), Il Mulino, 1976.
al camminare) come elementi fondanti del mito, (13) possono essere ul-teriormente approfondite secondo altre correnti dello studio della psiche (14).
Interessante è la riflessione del primo inventore del concetto di pertur-bante, Jentsch (1906), secondo cui l’innesco di sentimenti di angoscia ed orrore prodotti, per esempio, dal vedere movimenti corporei che ci paiono innaturali manda in frantumi la nostra armonia psichica. Il pro-blema che ci si pone, non è l’anomalia della persona menomata, ma la nostra reazione di incertezza scatenata dalla necessità di decifrare quella condizione. È la difficoltà nel compiere tale operazione a innescare il sentimento istintivo del perturbante, è un’incertezza di tipo intellettuale che produce diverse reazioni (diffidenza, confusione, impressionabilità, fino al terrore). Si cerca di evitare ciò che ci perturba. Per sottrarsi a tali sentimenti, restituire un ordine all’esperienza, l’oggetto deve essere ri-codificato e riconvertito da estraneo a familiare. Eppure, l’effetto pertur-bante perdura, agisce in noi anche dopo questa ricodifica (15).
Dato che è sempre imprevista, imprevedibile, e indesiderabile, la disabi-lità ha un effetto traumatico che si impone alle nostre psiche: le impedi-sce di pensare e integrare armoniosamente gli elementi del mondo esterno. Lo sguardo, di fronte alla disabilità, è posto di fronte ad una di-mensione assurda di cui non ci si capacita, che non si riesce a compren-dere. A questa situazione proprio non si riesce a dare un senso. La diffi-coltà di rapportarci con la disabilità non si colloca solo nel nostro incon-scio, ma nel nostro modo di pensare e vivere il corpo. Qui si innesta un’altra interpretazione che è utile considerare.
Sappiamo, infatti, intimamente e nella materialità stessa del nostro vi-vere, l’importanza che ha il nostro corpo nella costruzione del nostro mondo biologico, psichico e sociale: «il corpo proprio significa la sfera della nostra esistenza presente qui e ora, estesa nello spazio» (16). Non facciamo, forse, sempre fatica a relazionarci con le complicate evolu-zioni del corpo, con le sue esplosioni, i suoi tentennamenti, i suoi depe-rimenti? Noi sprofondiamo nel nostro corpo. Ecco perché «quando il suo
(13) C.LEVI-STRAUSS,Antropologia strutturale (1958), Il Saggiatore, 1966.
(14) M.SCHIANCHI,Disabilità e relazioni sociali. Temi e sfide per l’azione educativa, Carocci, pp. 31-48.
(15) E. JENTSCH, Sulla psicologia dell’Unheimilche (1906), in R. CESERANI (a cura di), La narrazione fantastica, Nistri-Lischi, 1983, pp. 398-410.
(16) L.BINSWANGER, Il caso Ellen West (1944), Einaudi, 2011, p. 169.
accordo col mondo subisce una rottura, la nostra esistenza si sente man-care il terreno sotto i piedi e cade nell’incertezza» (17).
È qui che si condivide, tutti, la questione della disabilità come attentato al corpo e alla sua integrità. Per qualcuno (la persona con disabilità) è un vissuto. Per qualche altro (la persona senza disabilità) è un timore, una possibilità mai scampata per sempre. La persona con disabilità di fronte a noi, ed essa di fronte a sé stessa sia quando ha perso nel corso della vita la propria integrità corporea sia quando non l’ha mai avuta, ci rimanda dunque ad un aspetto possibile del nostro stare al mondo. Ci rimanda alla nostra difficoltà di pensare di poter vivere con una disabilità, ma anche all’inevitabile declinare della vita. L’incontro con la disabilità mette in discussione le alternative esistenziali, continuamente basate sul corpo, tra vita e morte, tra ideale e reale. Secondo questa ulteriore chiave di lettura, il perturbante, diversamente dal pensiero di Freud, non è legato all’inconscio. Non fa cioè emergere ciò che era nascosto e doveva restare nascosto, ma è proprio il diventare visibile dell’originaria angoscia esi-stenziale che caratterizza il nostro stare al mondo.