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Le discipline consumeristiche: valutazione di congruità rispetto al modello della piattaforma

Analisi giuridica dei lending marketplace

8 Oltre le riserve di attività Altre discipline potenzialmente applicabili alle piattaforme

8.2 Le discipline consumeristiche: valutazione di congruità rispetto al modello della piattaforma

Un primo blocco di norme nel cui campo di applicazione l’attività delle piattaforme potrebbe ricadere è costituito dalle ormai numerose discipline di provenienza europea in materia di consumer protection, le quali si applicano alle attività economiche (anche non finanziarie) svolte in forma professionale nei confronti di consumatori.

194 Si pensi alle informazioni relative alle operazioni di pagamento e ai contratti previste dall’art. 126-quater t.u.b. e dalle Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia, Sezione IV, § 4, e alle “informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito [ai consumatori] sul mercato”, di cui all’art. 124 t.u.b. e al § 4.2.1. della Sezione VII delle medesime Disposizioni.

195 In questa direzione sembrano andare sia le indicazioni per i regolatori contenute in EBA (2015) e in BIS – FSB (2017), sia la Proposta di regolamento in materia di crowdfunding.

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Ci si riferisce, più precisamente, alle direttive:

- 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (che ha, tra l’altro, sostituito la direttiva

97/7/CE sui contratti a distanza e la direttiva 85/577/CEE sui contratti conclusi fuori da locali commerciali),

- 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori,

- 2005/29/UE sulle pratiche commerciali scorrette e

- 2013/11/EU sui mezzi alternativi di risoluzione delle controversie.

Sono pure riconducibili all’ambito dei provvedimenti europei in materia di consumer protection che interessano in questa sede le seguenti direttive inerenti al settore del credito e dei servizi finanziari:

- la seconda direttiva in materia di credito ai consumatori (2008/48/CE, nota

anche come Consumer Credit Directive o CCD),

- la direttiva sui mutui residenziali ai consumatori (2014/17/UE, nota anche come

Mortgage Credit Directive o MCD) e

- la direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari,

tutte e tre già prese in considerazione nel precedente § 7.2, sia pure nella diversa prospettiva delle discipline applicabili alle attività “riservate”.

Pur non essendo questa la sede per una trattazione approfondita della questione dell’applicabilità di tali discipline consumeristiche ai lending marketplace e,

ancor prima, alle piattaforme online in genere196, non sembra potersi prescindere

dall’esame di tale questione, almeno nelle sue grandi linee, data la sua rilevanza; rilevanza che risulta oggi ancor maggiore alla luce della già citata (v. supra § 2.3) proposta di direttiva COM(2018) 185 final, volta a creare il quadro normativo del c.d.

“New Deal for Consumers”197 e di cui si dirà più ampiamente nel seguito.

Come già si è avuto modo di sottolineare altrove nel presente lavoro (§§ 2.3 e 7.2), l’applicazione delle discipline consumeristiche al marketplace lending, così come, più in generale, ai rapporti “intermediati” da una piattaforma online, presuppone che uno degli utenti della piattaforma sia qualificabile come

“consumatore”198 e che la sua diretta controparte contrattuale (piattaforma o altro

utente) sia qualificabile come “professionista”.

196 Per tale trattazione si rinvia al Quaderno della collana FinTech, a cura di Palmerini et al., L’economia dei dati. 197 Commissione Europea (2018c), Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council amending

Council Directive 93/13/EEC of 5 April 1993, Directive 98/6/EC, Directive 2005/29/EC of the European Parliament and of the Council and Directive 2011/83/EU of the European Parliament and of the Council as regards better enforcement and modernization of EU consumer protection rules, (COM(2018) 185 final). L’iter legislativo della proposta di direttiva si trova in stadio avanzato, essendo intervenuto, il 2 aprile 2019, un accordo provvisorio sul relativo testo tra il Parlamento Europeo e il Consiglio (cfr. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-19- 1755_en.htm).

198 Sia la CCD (art. 3, lett. a), sia la MCD (art. 4, n.1) definiscono il “consumatore” come “una persona fisica che, nell'ambito delle transazioni disciplinate dalla presente direttiva, agisce per scopi estranei alla sua attività commerciale o professionale”.

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Questo quadro normativo mal si attaglia, però, all’effettivo atteggiarsi dell’attività delle piattaforme di marketplace lending, poiché non è pensato per disciplinare una relazione trilaterale (consumatore-piattaforma-consumatore o consumatore-piattaforma-professionista) quale quella che si crea per effetto dell’interposizione della piattaforma tra crowd-investor e crowd-borrower.

Partendo dall’esame dei rapporti tra questi ultimi, si deve evidenziare che sono di regola i crowd-investor (e non il gestore della piattaforma) a mettere i fondi a disposizione dei crowd-borrower. Di conseguenza, se la CCD e la MCD sono applicabili senza particolari difficoltà qualora – circostanza, questa, poco frequente in Italia – i crowd-investor siano banche o altri intermediari finanziari che usano la piattaforma come canale alternativo per lo svolgimento della loro attività (marketplace lending B2B o B2C), le normative in questione non possono invece essere de plano applicate nell’ipotesi di marketplace lending C2C. In tal caso, infatti, i prestatori sono persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di un’attività professionale, per cui – fatte salve differenti scelte adottate dai legislatori nazionali in sede sia di recepimento delle sopra citate direttive, sia di adeguamento del diritto dei contratti (Busch, C. et

al. 2016;Wendehorst 2016) – le discipline in discorso sono, almeno in linea teorica,

inapplicabili.

Sotto questo profilo, va peraltro evidenziato che la Commissione europea ha – discutibilmente - scelto di escludere i lending marketplace consumer based dall’ambito di applicazione della Proposta di regolamento relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese presentata l’8 marzo 2018 (Commissione Europea 2018d), sembrando dare per scontata l’applicabilità alle piattaforme della CCD e della MCD. In questi termini si esprime, infatti, il Considerando n. 8 della Proposta (e la Relazione di accompagnamento), secondo cui “i prestiti al consumo [...] rientrano parzialmente nell’ambito di normative UE già esistenti, e più precisamente: 1) nel caso di un consumatore che riceve un prestito per consumo personale e opera al di fuori del ruolo professionale, l’attività rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sul credito al consumo; 2) nel caso di un consumatore che riceve un prestito per l’acquisto di un bene immobile, l’attività rientra nell’ambito della direttiva sul credito ipotecario”.

Sia la scelta normativa, sia la sua motivazione, come si è accennato, non convincono del tutto, poiché, da un lato e come meglio si è visto, non è scontato che i prestiti tra consumatori ricadano nell’ambito di applicazione delle sopra richiamate direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e, dall’altro lato, è certo che queste direttive nulla dicano circa i requisiti informativi e le misure di tutela che devono essere adottate in favore dei crowd-investor, partendo le stesse dall’assunto che i finanziamenti siano erogati da un professionista.

Difficoltà analoghe a quelle sopra evidenziate emergono nel momento in cui si voglia verificare l’applicabilità ai rapporti contrattuali tra crowd-investor e crowd- borrower delle norme generali in materia di protezione dei consumatori, quali quelle relative alle clausole abusive e alle pratiche commerciali scorrette.

185 Marketplace lending Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?

Tornando alle discipline europee del settore finanziario, si deve ricordare che la presenza di un prestatore professionale e di un consumatore circoscrive l’ambito di applicazione della direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari, quali i servizi bancari, di pagamento e di investimento.

Avendo, però, l’appena menzionata direttiva un ambito oggettivo di applicazione più esteso rispetto alla CCD e alla MCD, essa dev’essere rispettata ogniqualvolta un lending marketplace offra, nel contesto di una relazione contrattuale diretta con i suoi utenti consumatori, un servizio riconducibile a quelli disciplinati dalla direttiva stessa. Tale conclusione vale, ad esempio, con riguardo ai servizi di pagamento resi da piattaforme che hanno assunto lo status regolamentare di IP, così come varrebbe nell’ipotesi in cui l’attività delle piattaforme potesse essere qualificata alla stregua di prestazione di un servizio di investimento. Qualora esercitino attività che ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/65/CE, le piattaforme sono tenute ad osservare gli obblighi di informazione precontrattuale previsti dalla direttiva stessa, relativi, tra l’altro, alle caratteristiche e al costo del servizio offerto, e ad adeguare alla direttiva in questione le loro condizioni contrattuali, con particolare riferimento alla durata del rapporto, al diritto di ripensamento del consumatore entro 14 giorni dalla conclusione del contratto, ai reclami e ai mezzi alternativi di risoluzione delle controversie e alla legge applicabile.

Ancora con riguardo alle relazioni contrattuali intercorrenti tra piattaforme e utenti, va poi considerato che, essendo le prime operatori professionali, ad esse si applicano le sopra richiamate discipline consumeristiche di portata generale (clausole abusive, pratiche commerciali scorrette, etc.) ogniqualvolta gli utenti siano consumatori; e ciò a prescindere dalla natura finanziaria o meno del servizio prestato. Ad esempio, tali discipline si applicano ai servizi informativi, di scoring/ranking e a quelli di gestione dei rapporti contrattuali tra crowd-investor e crowd-borrower instauratisi con il finanziamento, incluso l’eventuale recupero crediti, prestati dalle piattaforme in favore dei loro clienti consumatori.

La difficoltà nell’applicare discipline che presuppongono l’esistenza di un utente consumatore e di un prestatore professionale non la si rinviene, peraltro, solo con riferimento ai lending marketplace ma è comune a tutti i nuovi fenomeni, riconducibili alla sharing economy, caratterizzati dalla presenza di piattaforme (cfr. supra §§ 2 e 3). In particolare, essa deriva dalla frammentazione della catena del valore, la quale fa sì che i servizi tradizionalmente offerti al consumatore da un solo soggetto (il professionista) vengano ad articolarsi in più segmenti forniti da soggetti diversi, non tutti necessariamente professionali. L’attuale normativa a protezione del consumatore, concepita per rapporti contrattuali “bipolar” (professionista- consumatore), si mostra perciò inadeguata a regolare situazioni triangolari in cui si instaurano rapporti contrattuali sia tra piattaforma e utenti, sia tra gli utenti tra di loro. E infatti alcuni commentatori hanno già proposto l’introduzione di una disciplina ad hoc per le piattaforme online o, quantomeno, un ripensamento di quella consumeristica attuale che incrementi il livello di trasparenza o che, in alternativa, assegni alla piattaforma un ruolo suo proprio (sul modello della direttiva (UE) 2015/2302 in materia di pacchetti turistici) (Busch et al. 2016).

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Del deficit di tutela generato dalla diffusione delle piattaforme ha peraltro consapevolezza la Commissione europea, la quale ha presentato l’11 aprile 2018 la sopra richiamata Proposta di direttiva di riassetto delle discipline consumeristiche (Commissione Europea 2018c). Tale proposta, partendo dalla presa d’atto della digitalizzazione dell’economia, mira ad incrementare la trasparenza delle relazioni professionista-consumatore – con riferimento, non solo ai rapporti contrattuali tra tali soggetti, ma anche ai risultati delle ricerche online e ai ranking – e, più in generale. a garantire, anche con specifico riferimento alle piattaforme digitali, una

maggiore protezione degli interessi economici dei consumatori199. In questo contesto,

si introducono alcuni obblighi in capo a tutte le piattaforme online, ivi comprese quindi quelle di marketplace lending, destinati ad assicurare un adeguato livello di tutela dei contraenti-consumatori (cfr. anche § 2.3).

In particolare, la Proposta di cui trattasi mira a modificare la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori introducendo ulteriori obblighi informativi a carico degli intermediari che operano online, prevendendo, tra l’altro, che essi informino i consumatori in merito ai principali parametri per la determinazione del ranking delle offerte, alla circostanza che il contratto proposto all’utente sia concluso con un professionista o un consumatore (circostanza da cui discende l’eventuale applicazione delle discipline consumeristiche) e all’identificazione del professionista (eventualmente terzo) responsabile della garanzia dei diritti del consumatore relativi al contratto (art. 2, par. 4)200.

Inoltre, accogliendo la concezione ormai consolidata per la quale la messa a disposizione dei propri dati personali costituisce spesso il corrispettivo dei servizi resi dal professionista che opera online (data-as-a-currency), la Proposta mira ad estendere l’ambito di applicazione della direttiva 2011/83/UE e delle relative tutele (quale il diritto di recesso dal contratto nei quattordici giorni dalla sua conclusione; cfr. l’art. 2, punto 1, lett. d), della Proposta) viene esteso anche ai servizi digitali “gratuiti”, ovvero fruibili senza compenso monetario, ma dietro l’autorizzazione al trattamento dei dati personali dell’utente (circostanza frequente con riferimento, ad esempio, ai servizi di archiviazione cloud, di social media e di account e-mail).

Con riguardo invece alla Direttiva n. 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, la Proposta richiede, tra l’altro, di informare il consumatore in merito ai principali parametri che determinano la classificazione dei risultati delle ricerche online e di comunicare chiaramente quali risultati delle ricerche e/o ranking siano basati solo sulla pertinenza alle loro richieste e quali siano invece condizionati dal versamento di un compenso a favore del gestore della piattaforma (c.d., paid inclusion e paid placement; cfr. art. 1, punto 6, della Proposta).

Così descritti, sia pure in estrema sintesi, i termini dell’evoluzione dello scenario normativo di consumer protection che si va compiendo in questi mesi in sede

199 Commissione Europea (2018c), p. 2.

200 Tali requisiti rispecchiano i risultati e le indicazioni di uno studio commissionato dalla Commissione Europea in materia di trasparenza sulle piattaforme online e behavioural science: Lupiañez-Villanueva et al. (2018).

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europea, sia consentito chiudere con un paio di riflessioni che, pur essendo di tratto generale, ci sembrano particolarmente calzanti per il fenomeno del marketplace lending qui in esame.

Il primo rilievo ha a che fare con la circostanza che, nel “modello piattaforma”, le relazioni contrattuali, pur formalmente intercorrenti fra utenti, sono sempre costruite dal gestore della piattaforma: è dunque un operatore professionale, nell’esercizio della propria attività d’impresa, a predisporre unilateralmente le condizioni regolamentari ed economiche delle relazioni che intercorrono tra la piattaforma stessa e gli utenti e tra questi ultimi tra di loro e ad occuparsi, una volta concluso il contratto che lega gli utenti stessi, della gestione della fase esecutiva. Anche in tale modello sussistono, quindi, esigenze di tutela analoghe a quelle che stanno alla base di tutte le discipline consumeristiche sopra richiamate, essendo queste ultime state ideate per tutelare i consumatori nel quadro di relazioni

contrattuali gestite professionalmente ed in maniera standardizzata201.

Questa stessa considerazione vale anche con riferimento al marketplace lending, ove la concreta configurazione relazioni contrattuali fra crowd-borrower e crowd-investor dà luogo – per effetto dell’interposizione della piattaforma – ad esigenze di tutela analoghe a quelle che stanno alla base sia delle normative consumeristiche generali, sia della CCD e della MCD (queste ultime con specifico riferimento alla protezione dei crowd-borrower), in tutti i casi nei quali gli utenti interessati siano consumatori.

In quest’ultima prospettiva, merita evidenziare come alcuni Stati membri, in fase di recepimento della CCD, hanno voluto ampliare il campo di applicazione della medesima ricomprendendovi l’intermediazione di finanziamenti concessi da terzi (Olanda) (cfr. Gajda 2017, p. 464), come pure l’erogazione di credito alle micro-

imprese (Regno Unito)202. Altri Stati europei hanno raggiunto, invece, un risultato

analogo grazie all’introduzione di normative speciali in materia di marketplace lending, che estendono (in tutto o in parte) l’applicazione della normativa sul credito ai consumatori ai finanziamenti erogati tramite le piattaforme, talvolta anche nel caso in cui il richiedente non sia un consumatore (cfr. infra § 10).

201 In questa prospettiva, è opportuno ricordare che una corte finlandese ha in passato sollevato davanti alla Corte di Giustizia CE una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE (caso TrustBuddy AB v Lauri Pihjalaniemi, C-311/15, domande del 23 giugno 2015). Più in dettaglio, veniva chiesto se l’art. 3(b) CCD fosse da interpretarsi nel senso di qualificare come “creditore” ai sensi della medesima direttiva una piattaforma di P2P che commercializzava via internet prestiti tra consumatori mantenendo la prerogativa, di norma spettante al creditore, di fissare termini e condizioni del contratto di credito, ma non erogando direttamente i fondi (che provenivano da privati ed erano segregati rispetto a quelli della piattaforma medesima). La Corte di Giustizia non ha avuto modo, però, di pronunciarsi sulla questione, dal momento che la corte finlandese ha ritirato la domanda pregiudiziale il 16 ottobre 2015 e, di conseguenza, il caso è stato cancellato dal registro (Order of the President of the Court of 23 October 2015, TrustBuddy AB v Lauri Pihlajaniemi - Request for a preliminary ruling from the Korkein oikeus - Removal from the register, Case C-311/15, ECLI:EU:C:2015:759). Cfr. Busch, C. et al. (2016), p. 6; Wendehorst (2016), p. 32. 202 Più precisamente, la disciplina del Regno Unito in materia si applica agli individual, categoria che comprende, non

solo i consumatori, ma anche alcune tipologie di piccoli imprenditori (cfr. FCA Handbook, CONC 3.7A, 4.3, 7.17, 7.18, 11.2, 8.10), cioè gli imprenditori individuali, le partnership di due o tre persone e certe unincorporated associations che prendano in prestito per scopi imprenditoriali una somma inferiore a £25,000 (FCA 2014b, p. 65).

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Più in dettaglio, la normativa spagnola considera le piattaforme in questione come intermediari finanziari ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di credito ai consumatori qualora i richiedenti siano consumatori, ma assoggetta le piattaforme stesse ad un regime semplificato, che comporta obblighi obblighi informativi precontrattuali e l’obbligo di avvertire i richiedenti in merito ai rischi di indebitamento eccessivo ed al carattere vincolante dell’offerta203. Anche il Regno Unito ha esteso ai gestori di piattaforme di P2P lending alcuni obblighi previsti dalla normativa in materia di credito ai consumatori (tra i quali, quelli di informazione precontrattuale, di advice referral, di verifica del merito creditizio, di avviso al prestatario in caso di ritardi di pagamento e di avvertimento in caso di concessione di ipoteca sulla casa) e il diritto di ripensamento del finanziato quando quest’ultimo appartenga alla categoria degli individual sopra citata.

In altri Paesi, si è preferito, invece, creare una disciplina speciale di tutela dei richiedenti, diversa da quella in materia di credito ai consumatori.

È questo il caso della Francia, dove, peraltro, attraverso le piattaforme possono essere erogati ai consumatori solo prestiti per l’istruzione (cfr. ancora § 10). In questo caso, la piattaforma è tenuta a: 1) pubblicare sul proprio sito il contratto quadro contenente le caratteristiche ed i costi dell’operazione (inclusi tasso, spese, durata, modalità di rimborso, tabella di ammortamento e altre condizioni; cfr. art. R. 548-6 CMF); 2) fornire al richiedente in sede precontrattuale una serie di indicazioni specifiche su somma messa a disposizione, durata del prestito, tasso di interesse, modalità e tempistiche del rimborso, remunerazione della piattaforma (anche espressa in percentuale del prestito), rischi di indebitamento eccessivo e conseguenze derivanti dal mancato rimborso, responsabilità e ruoli delle diverse parti coinvolte anche in caso di inadempimento (cfr. art. R. 548-7 CMF).

8.3 Alcune considerazioni di policy sulle discipline di tutela della

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