marketplace lending
3.3 Lo stato dell’arte in Italia
Anche l’Italia, come molti altri Paesi, ha visto, in questi anni, nascere ed operare nel territorio nazionale marketplace digitali attivi nel settore del marketplace lending e si è quindi trovata a dover affrontare “sul campo” il problema dell’inquadramento giuridico da dare agli stessi e della scelta sul se e sul come regolarli.
Allo stato attuale, nel nostro paese non è rinvenibile una disciplina
organica del marketplace lending (al contrario di quanto accade per l’equity-based crowdfunding)19. Neppure può dirsi, però, che il fenomeno sia completamente ignorato a livello normativo: negli ultimi anni, infatti, prima la normativa secondaria
17 Per un’analisi comparatistica delle soluzioni adottate nei diversi paesi, cfr. Macchiavello (2015a); Macchiavello (2015b); Macchiavello (2017); Gajda et al. (2014); CrowdfundingHub (2015); Commissione Europea (2016b); Hooghiemstra e De Buysere (2016), pp. 135 ss.
18 Nella fase iniziale di sviluppo del FinTech la Commissione Europea non aveva ritenuto necessario proporre una regolamentazione ad hoc a livello europeo, in considerazione della dimensione limitata degli operatori e della innovatività del fenomeno (cfr. Commissione Europea 2014). Nel 2015, l’EBA, invece, si è espressa a favore di un’armonizzazione della normativa a livello europeo, ritenuta auspicabile per evitare arbitraggi regolamentari, assicurare equa concorrenza, accrescere la fiducia nell’innovazione finanziaria, contribuire allo sviluppo del mercato unico. L’evoluzione del fenomeno ha indotto poi la Commissione Europea ad effettuare, nel corso del 2017, una consultazione pubblica sul FinTech, i cui esiti hanno portato all’adozione del FinTech Action Plan nel marzo 2018 (Commissione Europea 2018a). Si veda più nel dettaglio § 11.1.
19 La legge n. 145 del 30 dicembre 2018 ha autorizzato i gestori di portali di equity-based crowdfunding ad offrire anche obbligazioni e strumenti finanziari di debito di PMI purché le offerte siano riservate ad investitori professionali ed altre categorie individuati dalla Consob ed effettuate attraverso una sezione separata del portale: cfr. artt. 1, comma 5-novies, e 100-ter, comma 1-ter, t.u.f. Per l’esame della relativa disciplina si rinvia al Quaderno FinTech Consob in materia di prossima uscita.
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– segnatamente, le Disposizioni della Banca d’Italia in materia di raccolta non bancaria del risparmio adottate nel novembre 2016 (Banca d’Italia, 2016) – e poi più di recente quella primaria – nell’ambito della Legge di bilancio 2018 e del recentissimo decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. “Decreto Crescita”), convertito nella legge 28 giugno 2019, n. 58 - hanno fatto affiorare qualche frammento regolatorio che, assieme ai consolidati set di regole che presidiano l’esercizio di attività riservate quantomeno “limitrofe” al fenomeno qui in esame, vanno a costituire oggi i necessari termini di riferimento per un tentativo di inquadramento giuridico del marketplace lending.
Rinviando al § 7 per un’analisi più dettagliata delle summenzionate Disposizioni della Banca d’Italia in materia di raccolta non bancaria del risparmio (Banca d’Italia 2016), è qui sufficiente rilevare come nel nostro ordinamento il primo approccio regolatorio al marketplace lending sia stato quello volto a verificare la sua compatibilità con «le norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti (ad esempio, attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento)», ricordando al contempo che «i gestori delle piattaforme non violerebbero la riserva che copre la raccolta di risparmio con obbligo del rimborso presso il pubblico qualora adottassero la forma di istituti di pagamento,
istituti di moneta elettronica o di intermediari ex art. 106 t.u.b. autorizzati alla prestazione di servizi di pagamento» (ibidem)20.
Per quanto concerne, invece, la legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 43, legge del 27 dicembre 2017, n. 205), essa ha da poco introdotto un’agevolazione
fiscale per i prestiti effettuati attraverso piattaforme di peer-to-peer lending21, nei
soli casi in cui queste ultime siano gestite da intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b. o da istituti di pagamento. Per tale via, il legislatore risulta aver assecondato, anche se a soli fini fiscali, la scelta suggerita dalla Banca d’Italia nelle appena richiamate Disposizioni quanto alla veste giuridica da far assumere ai gestori delle piattaforme, allineandosi peraltro anche a quelle che appaiono le due forme giuridiche nella prassi più utilizzate dalle piattaforme operanti in Italia, presumibilmente anche a seguito delle consultazioni preliminari e confronto con la Banca d’Italia in sede autorizzativa (cfr. infra §§ 7.1 ss.).
Sotto questo profilo, può anticiparsi sin d’ora, peraltro, che la scelta di indicare come in linea teorica alternative – a prescindere cioè dai connotati operativi concreti della singola piattaforma – la qualificazione come istituto di pagamento piuttosto che come intermediario finanziario di cui al Titolo V t.u.b. solleva qualche perplessità. E ciò data la notevole differenza di disciplina fra le due tipologie di intermediari, specchio di una parimenti rilevante differenza in termini di rischi tipici
20 Peraltro queste disposizioni costituiscono solo un primo passo, dato che la stessa Banca d’Italia specifica che la sezione relativa al social lending ha carattere ricognitivo e che l’elenco delle attività riservate che possono rilevare in tale ambito è solo esemplificativo (Bofondi, 2017).
21 Consistente in una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26% sugli interessi percepiti invece che tassazione Irpef tra il 23% e il 43% a seconda del totale dei redditi del soggetto).
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delle attività esercitate dai due tipi di intermediari (ma sul punto si tornerà in modo più approfondito infra §§ 7.2 ss.).
Per quanto attiene, infine, al “Decreto Crescita” convertito nella recentissima legge 28 giugno 2019, n. 34, nel contesto di alcune norme volte a favorire l’innovazione finanziaria si segnala una disposizione che, sia pure con un obiettivo molto specifico, dà rilievo alle piattaforme di social lending. Il riferimento è all’art. 18, comma 3, che, al fine di sostenere lo sviluppo di canali alternativi di finanziamento delle imprese, prevede l’estensione dell’operatività del Fondo di garanzia per le Piccole e Medie Imprese (di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662) in favore dei soggetti che finanziano, tramite piattaforme di social lending e di crowdfunding, progetti di investimento realizzati da micro, piccole e medie imprese. Al comma 4 del medesimo articolo, il legislatore definisce il social lending, per i fini di cui al comma 3, come “lo strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, compresi investitori istituzionali, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”. Al medesimo fine, viene offerta, sempre al comma 4, anche una definizione di crowdfunding, descritto alla stregua di “strumento attraverso il quale famiglie e imprese sono finanziate direttamente, tramite piattaforme on-line, da una pluralità di investitori”.
Oltre a dover rientrare nel perimetro delle appena riportate definizioni (i cui contorni presentano, peraltro, qualche margine di incertezza, per quanto attiene sia al rapporto interno fra le medesime sia al rapporto con la definizione di crowfunding già contemplata al comma 5-novies dell'art. 1 del TUF), i gestori delle piattaforme in discorso, per poter avanzare richiesta al Fondo, per conto e nell’interesse dei soggetti finanziatori di cui al medesimo comma 3, devono anche preventivamente accreditarsi, a seguito di apposita valutazione effettuata dal Consiglio di gestione del Fondo. I criteri per l’accreditamento dei gestori e delle piattaforme saranno stabiliti da un successivo decreto attuativo del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel Decreto Crescita se ne individuano, però già alcuni e, in particolare, la trasparenza della modalità di determinazione del prezzo dei finanziamenti, l’affidabilità del modello di valutazione della rischiosità dei prenditori, il rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti, ivi inclusa la raccolta del risparmio tra il pubblico
sulla base di quanto previsto dalla normativa secondaria della Banca d’Italia22.
Da quanto sin qui illustrato con riferimento allo stato dell’arte in Italia, si ricava, per un verso, l’interesse del legislatore a promuovere l’innovazione specie a sostegno dello sviluppo di canali alternativi di finanziamento e, per un altro, la scelta di intervenire con misure decisamente spot e senza respiro sistematico. Rispetto a un tale approccio, evidente risulta però il rischio di aumentare la frammentazione normativa e di moltiplicare le discipline applicabili con conseguente confusione degli
22 Nel successivo decreto attuativo dovranno anche essere stabilite le modalità e le condizioni di accesso al Fondo per i finanziamenti in discorso, la misura massima della garanzia concedibile, che deve comunque assicurare un significativo coinvolgimento del soggetto finanziatore nel rischio dell’operazione, le modalità di retrocessione ai soggetti finanziatori delle somme derivanti dall’eventuale escussione e liquidazione della garanzia.
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operatori (consumatori o imprese che siano), senza peraltro affrontare e risolvere alla radice alcune delle questioni più delicate che questo nuovo modello di business pone, prima fra tutte quella del configurare o meno attività riservata e del richiedere o meno un’autorizzazione (che è, chiaramente, cosa differente dal semplice accreditamento presso il Fondo).