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La prestazione dei servizi di investimento Il marketplace lending come fonte di una nuova tipologia di strumento

Analisi giuridica dei lending marketplace

7 Le piattaforme di markeplace lending alla prova delle tradizionali riserve di attività in ambito finanziario (e delle

7.4 La prestazione dei servizi di investimento Il marketplace lending come fonte di una nuova tipologia di strumento

finanziario?

Marketplace lending e mercati finanziari

I lending marketplace, si è visto, facilitano - senza assunzione in proprio di rischio di credito ma svolgendo un importante ruolo nella riduzione delle asimmetrie informative - il trasferimento di risorse da chi ha liquidità, e vuole impiegarla con aspettativa di rendimento, a chi è alla ricerca di finanziamenti per i propri bisogni personali o la propria attività imprenditoriale. Sul piano economico, perciò, e di

questo non si può non tenere conto in un’ottica di regolazione “funzionale”136,

l’attività delle piattaforme appare più prossima al settore dei mercati finanziari/servizi di investimento piuttosto che a quello bancario in senso classico

(centrato cioè sull’erogazione del credito connessa alla raccolta del risparmio oppure effettuata con fondi propri) su cui ci si è sino ad ora soffermati.

Più precisamente, a seconda dei modelli di business impiegati dalle singole piattaforme e delle scelte effettuate in termini di modalità di erogazione dei servizi, è possibile, di volta in volta, rinvenire nel marketplace lending tratti simili (quantomeno dal punto vista economico) ai servizi di: a) gestione di mercati (in presenza di sistemi che permettono l’incontro di plurime domande e offerte); b) consulenza in materia di

investimenti (nel caso di raccomandazioni rivolte ai crowd-investor , basate sul loro

profilo di “investimento” e relative a quali specifici prodotti/prestiti scegliere); c)

gestione individuale di portafogli (in presenza della creazione di un portafoglio di

crediti, su scelta discrezionale dell’intermediario, e a volte con indicazioni specifiche del cliente, coerente con il profilo di rischio del cliente medesimo); d) nell’ambito di modelli di business non presenti nel nostro Paese ma ben conosciuti in altri ordinamenti, collocamento o ricezione e trasmissione di ordini (rispettivamente in caso di accordo fra piattaforma ed emittente per la distribuzione dei suoi prodotti sul mercato primario oppure in caso di mera trasmissione di ordini di sottoscrizione dagli investitori ad altri operatori o agli emittenti).

Alcuni Paesi, specialmente gli Stati Uniti, hanno in effetti guardato al marketplace lending sin dal suo apparire in un’ottica di prossimità con il settore dei servizi di investimento e dei mercati finanziari: di conseguenza, come meglio si vedrà subito infra, si sono orientati verso le corrispondenti regole.

136 Come si è visto supra (cfr. § 3.1), - data la diversa natura dell’intermediazione svolta dalle imprese di investimento rispetto a quella propria delle banche e il rilievo assunto dagli agency cost e, quindi, dai potenziali conflitti di interesse tra intermediario (più informato e specializzato) ed investitore (Costi e Enriques 2004, pp. 2 ss.; Perrone 2006, pp. 373-374; Sartori 2004; Pacces 2000, pp. 481-482) - agli intermediari nel settore degli investimenti vengono imposti soprattutto rilevanti obblighi di condotta - fra cui spiccano l’obbligo di agire nel miglior interesse del cliente e vari obblighi di protezione, specie nei confronti degli investitori meno esperti -, nonché obblighi organizzativi e solo, di recente, sono stati introdotti alcuni requisiti prudenziali, con esclusivo riferimento però a servizi non meramente esecutivi. L'investitore fa infatti naturale affidamento sulle competenze e correttezza dell'intermediario (confidando nell'effetto reputazionale) non avendo spesso il tempo e le abilità per formarsi altrimenti un'opinione compiuta sull'investimento: Pacces (2000), pp. 484 ss.; Chiu (2007); Burke (2009), pp. 6 ss.; Purpura (2013).

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Analogo approccio non può dirsi invero sconosciuto neppure in ambito

europeo, anche se, in tale contesto, come si cercherà di spiegare meglio nel

prosieguo, la riconduzione dei servizi/prodotti offerti dalle piattaforme al vigente

impianto regolatorio dei mercati finanziari è senz’altro più complessa rispetto all’esperienza nord-americana. Al di là, infatti, del dubbio di fondo sull’opportunità

di applicare le normative esistenti ad un fenomeno nuovo per il quale le medesime potrebbero rivelarsi incongrue in ragione delle già evidenziate differenze organizzative e strutturali fra intermediari tradizionali e piattaforme (che, per un verso, rendono più sfuggenti i tratti distintivi fra categorie consolidate - in primis, fra intermediari e gestori di mercati – e, per un altro, potenzialmente consentono la configurazione di nuovi prodotti, mercati e relativi rischi), si incontrano criticità specifiche del quadro regolatorio del Vecchio Continente. In Europa, infatti, le discipline in materia di servizi di investimento e mercati finanziari sono costruite sulla base di fattispecie i cui requisiti costitutivi si fatica a rinvenire con riguardo al marketplace lending. In particolare, come si vedrà infra, per l’applicabilità di alcune discipline è necessario essere in presenza di determinati “prodotti di investimento” (strumenti finanziari in ambito MiFID e prodotti finanziari per altre discipline fra cui, in Italia, quella del prospetto) nonché superare determinate soglie dimensionali (relative all’ammontare del corrispettivo dell’offerta ai fini dell’obbligo di prospetto). E, con specifico riguardo al primo dei due appena menzionati profili, il tema della qualificazione della posizione giuridica attribuita ai crowd-investor assume rilievo

cruciale: sia perché i prodotti offerti dalle piattaforme non sono de plano

riconducibili alle tipologie di asset class esistenti, ma anche, e soprattutto, perché

una loro configurazione in termini di nuova asset class suppone risolti alcuni snodi – comuni peraltro anche ad altre aree del FinTech - ad oggi particolarmente problematici (cfr. §§ 3.3 e 12).

L’esperienza degli Stati Uniti e l’utilizzo della nozione di securities

Come si è appena accennato, negli Stati Uniti sin dall’esordio dei lending marketplace si è guardato ad essi, in ragione del tipo di servizi/prodotti offerti ai crowd-investor, nella prospettiva dei mercati finanziari e dei servizi di investimento. Più in dettaglio, la SEC (Securities and Exchange Commission) ha qualificato come

securities i prestiti online che transitano dalle piattaforme e, nello specifico, come

notes, data la sussistenza di un’offerta al pubblico, dell’aspettativa di un ritorno economico da parte di chi mette il denaro a disposizione, dipendente dagli sforzi di altri profusi nell’interesse dei primi, e data l’assenza di altre tutele attivabili dall’investitore137.

In particolare, i contratti offerti dalle piattaforme sarebbero qualificabili come “investment

contracts” e securities in presenza dei seguenti fattori: il denaro proveniente dal pubblico viene riunito e

137 Cfr. In re Prosper Marketplace, Inc., Securities Act Release No. 8984, SEC LEXIS 279124 (November 2008), http://www.sec.gov/litigation/admin/2008/33-8984.pdf (che riscontra nei prestiti P2P le condizioni stabilite per la qualificazione come investment contracts e come notes dalle decisioni SEC v. W. J. Howey Co., 328 U.S. 293 (1946) e

Reves v. Ernst & Young, 494 U.S. 56 (1990)). Cfr. anche Bradford (2012), pp. 34 ss.; MacLeod Heminway e Hoffman

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gestito insieme, essendo il risultato economico collegato all’andamento dell’operazione complessiva (“common enterprise”); il rendimento dipende in prevalenza dagli sforzi profusi da un soggetto diverso da chi fornisce il denaro (“profits predominantly from efforts of others”); infine, vi è un’ aspettativa di profitto (expectation of profits). Con particolare riferimento alle notes, queste si presumono securities non essendo riconducibili alle notes espressamente esenti (“resemblence test”) sulla base dei seguenti elementi: motivazione delle parti (l’investitore/prestatore non è un finanziatore professionale ma un soggetto interessato ad un rendimento economico mentre il ricevente ha l’obiettivo di raccogliere fondi per finanziare la propria attività economica), il piano di distribuzione (ad esempio, la presenza di un mercato per lo scambio o la semplice offerta ad un ampio segmento del pubblico fa propendere per una

note-security), le ragionevoli aspettative degli investitori di trovarsi di fronte ad un investimento e,

infine, l’assenza di altre discipline di protezione degli investitori applicabili differenti dalla applicazione delle securities regulation:

Tale qualificazione è senz’altro correlata – anche se non in modo esclusivo -

al particolare business model adottato dalle principali piattaforme statunitensi

(Prosper e LendingClub) che vede una banca (funding bank) erogare il

finanziamento138 a ciascun crowd-borrower trattenendo una commissione

(origination fee) che in parte viene “girata” alla piattaforma come transaction fee. La piattaforma subentra poi in ciascun prestito erogato dalla banca utilizzando come denaro i fondi ricevuti dai crowd-investor e depositati a tal fine in un conto separato aperto presso la stessa o un’altra banca (deposit bank). Al contempo, la piattaforma emette a favore dei crowd-investor notes che danno diritto ad un rendimento dipendente dall’ammontare della partecipazione al singolo prestito e dal tasso di restituzione dello stesso, dedotta una commissione per il servizio di gestione dei prestiti (servicing fee). Si tratta di titoli “non-recourse”, nel senso che la piattaforma non risponde dell’inadempimento del debitore, per cui il rischio di credito grava interamente sui crowd-investor (cfr. § 4.1) (Kirby e Worner 2014, p. 18; Chaffee e Rapp 2011, pp. 493-494; G.A.O. 2011, p. 13; Manbeck et al. 2018, pp. 26-27; Macchiavello 2015a, pp. 558-559).

Nell’ambito di questo modello, le piattaforme vengono qualificate come issuer (emittenti) delle notes, con conseguente applicazione del Securities Act del 1933 da cui discende l’obbligo di registration di tali securities presso l’Autorità attraverso un procedimento lungo e costoso, nonché l’obbligo di predisposizione di un documento informativo (simile al prospetto), salve eventuali esenzioni basate sulla natura privata (riservata cioè ad accredited investor, cioè investitori istituzionali e HNWI; rule 506 of Regulation D) o ristretta (entro $5 milioni in dodici mesi; Regulation A) dell’offerta. Vengono poi in gioco anche alcune normative statali (“Blue Sky Laws”), sulla cui base gli emittenti devono registrare le securities nei singoli Stati e rispettare le diverse normative (salvo che non si tratti di offerte private), con evidenti difficoltà nell’operatività cross-border. Inoltre, in quanto emittenti di registered securities, le piattaforme sono anche tenute ad effettuare comunicazioni periodiche alla SEC in base al Securities Exchange Act del 1934. Ai sensi invece

138 L’utilizzo di una funding bank è preferito rispetto al prestito diretto in quanto permette di superare la necessità dell’ottenimento di diverse autorizzazioni, a livello di singoli Stati, per l’erogazione di prestiti e delle diverse normative statali in materia di usura (applicabili solo ai prestiti ai consumatori): Manbeck et al. 2018, pp. 65 ss.

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dell’Investment Company Act del 1940, per offrire securities al pubblico le piattaforme dovrebbero ottenere un’autorizzazione come “investment companies”, salvo, secondo parte degli interpreti, nel caso in cui tale attività non rappresenti l’attività principale o sussistano altre esenzioni.

Va segnalato, peraltro, che anche negli Stati Uniti il quadro regolatorio del marketplace lending è reso, nell’insieme, abbastanza complicato dalla presenza sia di più di una definizione di securities nell’ambito delle varie normative vigenti (Securities Exchange Act, Investment Companies Act, Investment Adviser Act, ecc.), sia di numerosi modelli di business impiegati dalle piattaforme che, secondo la SEC, possono condurre a differenti qualificazioni dell’operazione. Ad esempio, qualora le piattaforme anziché emettere notes cedano agli utenti crediti (per l’intero ammontare o frazioni di esso) erogati dalla funding bank, le piattaforme medesime potrebbero essere configurate, sulla base dell’Investment Company Act del 1940, alla stregua di broker o investment companies, in quanto tali tenute ad acquisire le relative autorizzazioni ed a rispettare le normative corrispondenti (Bradford 2012, pp. 51 ss.; Smith 2009; Lee Hazen 2012; Manbeck at al. 2018, pp. 45 ss.). Con particolare riferimento ai crediti al consumo “finanziati” da investitori retail, la SEC ha precisato poi che questi non sono considerati di per sé securities ma ben potrebbero essere abbinati ad un contratto di investimento e, per questa via, essere proposti alla stregua di un prodotto finanziario “confezionato” dalla piattaforma. In questa prospettiva, si è ritenuto di poter configurare un contratto di investimento, ad esempio qualora la piattaforma offra al crowd-investor i servizi di gestione dei rapporti derivanti dal finanziamento e del cash flow da esso derivante, il servizio di credit scoring, l’impegno a mantenere un mercato secondario e/o a raggiungere un certo numero di partecipanti per rendere possibile lo schema di investimento) (Manbeck et al. 2018, pp. 29 e 43-44).

Anche oltre oceano taluni hanno peraltro fatto notare come, in linea di principio, potrebbero anche essere considerati emittenti coloro che ricevono il finanziamento; di conseguenza, le piattaforme assumerebbero la veste di collocatori, con applicazione delle relative discipline (MacLeod Heminway e Hoffman 2011, pp. 924 ss.).

Altri business model prevedono, inoltre, la costituzione di fondi di credito o la configurazione di cartolarizzazioni (in quest’ultimo caso con necessario coinvolgimento di una SPV che emetterà titoli con valore dipendente dall’andamento di un sottostante pool di crediti), anche al fine di ridurre l’esposizione degli investitori al rischio di fallimento della piattaforma pur in presenza di regolare pagamento dei crowd-borrower. Le appena citate operazioni sono ovviamente assoggettate alle relative discipline e potrebbero determinare l’applicazione alle piattaforme della normativa sui broker/dealer e sui consulenti in materia di investimento (Investment Advisers Act del 1940) quando le medesime facilitino la sottoscrizione di quote del

fondo da parte degli investitori

(

Manbeck et al. 2018, pp. 45 ss. e 107-111)139.

139 Finora, la SEC non ha ritenuto che la semplice pubblicazione di rating assegnati dalla piattaforma insieme alla retribuzione di tale servizio possa far qualificare la piattaforma come consulente in materia di investimenti (il cui

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Va segnalato, infine, che di recente gli Stati Uniti hanno alleggerito in modo sensibile la disciplina applicabile ai lending marketplace e agli investment marketplace, introducendo a livello federale un’esenzione dall’obbligo di registrazione delle securities (con effetti anche a livello statale: “preemption”) e dai relativi

obblighi per emittenti e piattaforme in presenza di certi requisiti140.

Marketplace lending e strumenti finanziari in Europa.

Benché la riconduzione dei lending marketplace all’area dei mercati finanziari e dei servizi di investimento abbia trovato il suo ambiente naturale negli Stati Uniti, essa non può dirsi tuttavia sconosciuta in Europa e neppure in Italia (v. infra), ove però, come già si è accennato supra, occorre fare i conti con discipline costruite sulla base di fattispecie i cui requisiti costitutivi non è sempre facile ritrovare nell’ambito del fenomeno qui in esame.

Infatti, la nozione statunitense di securities appare particolarmente ampia

e più avvicinabile alla nozione italiana di “prodotti finanziari”, vale a dire

“strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” (art. 1, comma 1, lett. u) t.u.f.) e, quindi, qualunque forma di raccolta del risparmio comportante l'impiego di capitali con attesa di rendimento correlata al rischio sottostante (su cui v. infra).

Tuttavia, le principali normative europee in materia di investimenti, che fissano riserve di attività oltre che regole di trasparenza a tutela dei clienti, si fondano sulla nozione di strumento finanziario, cioè un prodotto di investimento che presenta caratteristiche (in primis, la negoziabilità) tali da richiedere maggiori presidi a tutela degli investitori.

tratto caratterizzante è il dare consigli sul valore o sull’opportunità di operazioni su securities o per l’emissione di report e analisi nell’ambito della sua attività economica, insieme alla percezione di una remunerazione per questo): Manbeck et al. (2018), p. 48; Bradford (2012), pp. 67 ss.

140 La nuova normativa –introdotta con il JOBS Act del 2012 e Regulation A+ e Crowdfunding rules della SEC del 2016 - non è stata accolta unanimemente con favore. Essa ha introdotto un’esenzione dall’obbligo generale di registrazione delle securities (essendo sottoposto ad una disciplina ad hoc basata sul procedimento di shelf

registration) per gli emittenti qualificabili come “emerging growth companies” di nazionalità statunitense.

L’applicazione della disciplina è subordinata, però, al ricorrere di diverse condizioni che ne restringono significativamente il perimetro operativo: è previsto un limite massimo per emittente all’importo ottenibile attraverso l’offerta ($1 milione ma $2 milioni in presenza di bilanci oggetto di revisione contabile) e limiti massimi di investimento per gli utenti-finanziatori (con soglie diverse a seconda del reddito: l’importo maggiore tra $2.000 e il 5% del reddito annuale o patrimonio, se questi ultimi non superano i $100.000; 10% del reddito annuo o patrimonio, se entrambi sono uguali o superiori a $100.000; in ogni caso, nell’arco di un anno lo stesso investitore non può investire più di $100.000). L’esenzione invece introdotta dalla Regulation A+ con riferimento alle offerte entro i $20 milioni o $50 milioni parrebbe applicarsi solo in caso di equity. La normativa in questione ha anche introdotto la figura del “funding portal”, il quale viene esentato dalla disciplina sugli investment broker e dalla discipline statali applicabili (quando di nazionalità statunitense) ma è fortemente limitato nel tipo di attività svolgibile (oggetto esclusivo di gestione del portale e divieto di svolgere servizio di consulenza, promozione/collocamento, sollecitazione all’acquisto, vendita, offerta di acquistare securities, detenzione di denaro dei clienti, remunerazioni basate sul numero e valore delle transazioni, ecc.) e sottoposto a particolari obblighi di trasparenza, educazione finanziaria, diligenza, privacy, conflitti di interesse e di adottare misure anti-frode. (Brook Knight 2016; Gibson et al. 2016; Manbeck et al. 2018, pp. 30 ss.).

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Il più significativo blocco disciplinare applicabile ai soli servizi di investimento relativi a strumenti finanziari è senz’altro la Direttiva MIFID, oggi trasfusa nella Direttiva MiFID II n. 2014/65/EU

(cfr. artt. 1(1) e 4(1) nn. 1 e 2). Anche la Direttiva Prospetto (Direttiva 2003/71/CE, di recente sostituita dal Regolamento UE n. 2017/1129 del 14 giugno 2017, si incardina sulla nozione di valori mobiliari (transferable securities, una categoria di strumenti finanziari), consentendo però, in sede di recepimento, di estendere il perimetro applicativo anche all’offerta al pubblico di prodotti finanziari (come avvenuto in alcuni Stati membri fra cui l’Italia: v. infra)141.

Com’è noto, nelle suddette normative comunitarie non si rinviene una

definizione giuridica di strumenti finanziari: nella MiFID è contenuto solo un elenco in allegato che i singoli Stati membri hanno interpretato, a seconda dei casi, come

aperto o chiuso e che è stato comunque recepito in maniera differente da paese a paese (cfr. recentemente, ESMA 2019). Il nostro t.u.f., similmente, definisce gli strumenti finanziari come «qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I» (art. 1, comma 2, t.u.f.): elenco in cui si rinvengono, fra le varie voci, i valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario, le quote di OICR, le quote di emissione e gli strumenti derivati142.

141 Altre normative comunitarie applicabili solo in presenza di strumenti finanziari (anche se più in ambito di mercati secondari, non primario) sono: Transparency Directive n. 2013/50; Market Abuse Directive n. 57/2014; Short Selling

Regulation n. 236/2012; Central Securities Depositories Regulation n. 909/2014; Settlement Finality Directive n.

98/26.

142 Più in dettaglio, nella sezione C dell’allegato I al t.u.f. (che riprende la sezione C dell’allegato I alla MiFID II) figurano tra gli strumenti finanziari: 1) valori mobiliari (cioè, ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter t.u.f., azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario; obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli; qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari sopra indicati o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure; cfr. anche art. 4(1), n. 44 MiFID II); 2) strumenti del mercato monetario; 3) quote di un organismo di investimento collettivo; 4) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, quote di emissione o altri strumenti finanziari derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti; 5) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward»), e altri contratti su strumenti derivati connessi a merci quando l’esecuzione deve avvenire attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in contanti a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto; 6) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» ed altri contratti su strumenti derivati connessi a merci che possono essere regolati con consegna fisica purché negoziati su un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione o un sistema organizzato di negoziazione, eccettuati i prodotti energetici all’ingrosso negoziati in un sistema organizzato di negoziazione che devono essere regolati con consegna fisica; 7) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward») e altri contratti su strumenti derivati connessi a merci che non possono essere eseguiti in modi diversi da quelli indicati al numero 6, che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati; 8) strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di credito; 9) contratti finanziari differenziali; 10) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine sui tassi d’interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, quando l’esecuzione avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti su strumenti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, non altrimenti indicati nella presente sezione, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione o un sistema organizzato di negoziazione; 11) quote di emissioni che consistono di qualsiasi unità riconosciuta conforme ai requisiti della direttiva 2003/87/CE

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