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Tutto ciò che è sconosciuto risiede nell'esecra- bile dominio della demonologia; poiché non esistono fatti inspiegati. Qualsiasi cosa che non sia normale è dovuta al diavolo.

Nicholas Rémy, procuratore generale di Lorena, 1596

La istituzionalizzazione è un tratto fondamentale della apocalisse culturale, nel senso che i comporta- menti sintomatici della crisi della presenza sono nella apocalissi culturale tendenzialmente sottratti dalla anarchia individuale del loro prodursi e incanalati in esperienze e riti comunitari di “sette” o di “chiese”. […] Invece di esplodere nell’anarchia delle biografie individuali e nella insignificanza cultur- ale del sintomo nevrotico o psicotico, la crisi riceve data, durata, modo e senso (cioè il quando, il sino a quando, il come e il perché del rito), col duplice risultato di ridischiudere il “tempo libero” della crisi, e di far defluire la crisi secondo un piano socialmente e culturalmente singificativo. Trance, tremolio, glossolalia, ecolalia, ecomimia, digrignar i denti, visioni, in quanto pianificati ritualmente, guidati, ecc. combattono il rischio dello psicopatologico. (de Martino 1977: 382)

Nel passo citato de Martino spiega il ruolo di reintegrazione del disordine individuale occu- pato dagli istituti culturali, attraverso l’istituzionalizzazione e la pianificazione rituale di quelli che sono i sintomi di una presenza che viene meno. Richiamando alla memoria il rapporto di doppio speculare tra interiorità individuale (psiche del soggetto) ed esteriorità collettiva (mondo culturale), infatti, il vissuto angoscioso della crisi individuale comporta simultaneamente un vissu- to drammatico di crisi del mondo — l’apocalisse culturale, il non poter esserci in nessun mondo cul- turale possibile — che de Martino descrive come il generarsi di un “oltre pericoloso delle cose e degli eventi”, una loro tensione o forza, una folla di oscure possibilità: oggetti che vanno oltre il loro limite, caos e dismorfie, un nulla che avanza (de Martino 1948). Quando l’oggettività del soggetto è a rischio, emerge un correlativo rischio dell’oggettività del mondo. L’istituto culturale, dunque, svolge il suo ruolo fisiologico di contenimento della crisi quando raccoglie il proliferare insignificante dei sintomi e lo ricompone dentro a un ordine spazio-temporale che è sia “occa- sione” per l’esistenza e il decorso di una crisi, sia occasione di riscatto culturalmente pianificato. In un mondo in cui la presenza è sentita come labile, o comunque minacciata nella sua unità, la crisi non può logicamente costituire un’eccezione, bensì diventa parte integrante del tessuto stes- so dell’esserci nel mondo. Al contrario, de Martino consegna allo psicopatologico tutto ciò che nella crisi dell’esserci non trova riscatto in alcun piano di significazione — il sintomo nevrotico o psicotico presi nella loro semplice visibilità descrittiva e che decorrono verso esiti irreversibili di malattia e di cronicizzazione. Queste considerazioni mi permettono di fare un passo ulteriore nel-

la descrizione della lavorazione culturale della presenza operata in seno alle comunità pentecostali. Come abbiamo visto sopra, infatti, non tutte le modalità del venir meno sono da intendersi come critiche: in altri termini, non tutte le alterazioni di coscienza hanno bisogno di un intervento tec- nico di reintegrazione, ma sono anzi ricercate e praticate con assiduità.

Tra le modalità espressive della presenza labile, mi è parso di individuarne almeno quattro, raggruppate secondo il ruolo occupato nella prospettiva pentecostale:

1) mania (ricercata);

2) modalità estatiche (ricercate); 3) modalità vessatorie (riscattate); 4) possessione (riscattata).

L’ispirazione di una simile partizione viene dal lavoro di Luc de Heusch (2009) sul concetto di

trance, che egli reputa a tal punto generico da includere insiemi di comportamenti apparentemente

molto contraddittori tra loro. La proposta di Heusch è di matrice strutturalista e vi si scorge l’in- tento di rilevare, tra le civiltà polifasiche, una comune distribuzione elementare delle principali modalità di lavorazione degli stati alterati di coscienza, una sorta di griglia “germinale” valida per tutte le istanze locali. Al di là di queste posizioni, che si possono condividere o meno, alcune intu- izioni mi sono sembrate decisive per fare ordine nel mio lavoro, come la distinzione tipologica che Heusch assegna rispettivamente a possessione, sciamanesimo e trance medianica (estasi). Pos- sessione e sciamanesimo sono, per Heusch, gli estremi opposti di un continuum che passa per il medio della trance medianica. Le caratteristiche focali che indicano la disposizione lungo il contin-

uum riguardano la tipologia di relazione con gli invisibili che ciascuna pratica permette di attivare.

La possessione, ad esempio, è l’invasione di una intenzionalità esterna al soggetto che lo pone in una condizione di passività, cioè di abdicazione della volontà, con la conseguente identificazione del soggetto con l’entità che lo possiede. Essa può essere positiva, cioè ricercata, e convocata per adorcismo , o negativa, cioè indesiderata e scacciata tramite esorcismo. Al lato opposto, lo scia88 -

manesimo, o viaggio sciamanico, è la capacità di ospitare in sé gli invisibili, anche più di uno, sen- za identificarvisi e senza alcuna alienazione del controllo. Pertanto, mentre nella trance sciamanica la padronanza del corpo rende lo sciamano un preparato avventuriero dell’aldilà, un abitante della soglia in stato di transito controllato tra mondi, la possessione non può che prevedere un media- tore esperto che guida, manipola e soccorre gli assediati. A metà strada, la trance medianica, che poi coincide largamente con ciò che Heusch considera essere l’estasi mistica, appare invece come una forma di “doppia possessione”, o “possessione reciproca”, in cui l’entità invisibile possiede il soggetto che, a sua volta, possiede suddetta entità, ricevendone dei poteri speciali. L’estasi, in tal

L’adorcismo è una forma di esorcizzazione collettiva delle forze maligne che consiste, prima, nel convocarle in loco — sca

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senso, potrebbe essere la forma di possessione desiderata e ricercata da coloro che professano determinate religioni monoteistiche, in cui diventa complicato dire che ci si possa identificare con Dio. In quest’ultimo ordine di relazione estatica non c’è un dominatore e non c’è un dominato, ma una reciproca relazione di potere senza soluzione di continuità.

Quella della trance medianica è una categoria molto interessante, proprio per la sua carat- teristica di presentarsi come relazione-azione non fratturata tra soggetti e immateriali, la quale rimane eccentrica rispetto a qualsiasi concettualizzazione binaria tra dominante e soggiogato, o tra attività e passività. Si tratta di un registro relazionale reciproco che richiama da vicino quel che B. Latour descriveva tramite l’utilizzo della forma verbale del «far-fare», una vox media né attiva né passiva (Latour 2000). Questa forma elimina di colpo la frattura tra fare e subire e, con essa, la distinzione ontologica tra soggetti liberi e oggetti dominati. Latour lo dice molto meglio con l’es- empio della sigaretta e del fumatore:

«La sigaretta mi fa fumarla. Io non domino lei più di quanto lei non domini me. Altri legami forse si sostituiranno a questi, ma in una situazione di distacco, morirei a colpo sicuro» (Latour 2000: 8).

Il modo verbale della reciprocità è contenuto in quel “mi fa fumarla”. Senza l’una non si dà l’altro, ovvero, non esiste fumatore senza sigaretta e non esiste sigaretta senza fumatore, come non esiste insegnante senza allievo, non esiste neutrino senza aule di scienze, e non esiste spirito maligno senza posseduto. Più che di relazioni di dominio, si tratta di relazioni di potere che possono darsi come efficaci solo all’interno del registro della reciprocità.

In tal senso mi è sembrato di scorgere nella mania, nell’estasi, nella vessazione e nella pos- sessione le modalità principali di relazione con gli immateriali del culto: laddove estasi e ves- sazioni sono relazioni mutue in cui le azioni dei soggetti e le azioni degli immateriali co-evolvono e si co-implicano pur mantenendo ben distinti gli attori, mania e possessione ne costituiscono i rispettivi casi limite, fino a una forma di identificazione. Nelle manie, con cui intendo la “posses- sione positiva” e ricercata del soggetto da parte dell’unica persona spirituale positiva, cioè Dio sot- to forma di Spirito Santo , includo ad esempio la profezia, il riposo nello Spirito e l’effusione/89

battesimo nello Spirito Santo, cioè quelle circostanze in cui l’intensificazione dell’azione spirituale divina è tale da sospendere lo stato cosciente, o da far si che il soggetto “sia come” agito dalla divinità. In modo analogo, bensì mutato di segno, includo nelle possessioni tutti i casi in cui una per-

sona spirituale negativa costringa il soggetto ad abdicare alla propria intenzionalità, mentre

Parlare di possessione di Dio è pressoché inammissibile per un pentecostale cattolico — è quasi scandaloso, o almeno

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spiazzante, perché in genere associato al male —, mentre gli intervistati pentecostali di tradizione protestante si sono di- mostrati concordi nel ritenere effettiva la possessione da parte dello Spirito Santo. Non esistono possessioni, invece, né da parte di santi né da parte della Vergine Maria. Comunque la questione della possessione positiva ha una natura ontologica: santi e Vergine Maria sono esseri spirituali, ma non sono trini, non comprendono cioè una “persona spirituale”. Al contrario Dio è, nella persona dello Spirito Santo, ciò che pervade tutto il creato, compresi gli esseri umani, e che può intensificarsi a tal punto da alienare lo stato cosciente, senza tuttavia operargli violenza.

quest’ultimo consegna docilmente corpo e voce all’essere che lo agisce. Passando invece alle forme più frequenti di relazione, cioè alle modalità mediane dell’estasi e della vessazione, intendo sia quelle positive che quelle negative come circoli d’azione non fratturata tra soggetti e persone spir- ituali: il soggetto fa delle cose (comportamenti, pratiche, atteggiamenti) che lo mettono in re- lazione con determinate persone spirituali e queste, a loro volta, fanno fare ai soggetti le cose che alimentano quella relazione. Ad esempio, una sessione di preghiera meditativa intensa e partico- larmente prolungata mette il soggetto nelle condizioni di attivare il proprio spirito ed entrare in relazione con lo Spirito Santo, il quale a sua volta agisce sullo spirito del soggetto intensificando la preghiera e mantenendo attivo lo spirito, che a sua volta intensifica ulteriormente la relazione con lo Spirito Santo, ecc. Oppure, il soggetto compie buone azioni che sono in linea con una corretta vita spirituale e così facendo sente che in lui sta agendo sottilmente lo Spirito Santo, il quale a sua volta interviene e rinforza il soggetto a compiere azioni corrette che irrobustiscono la relazione con lo Spirito Santo e alimentano la vita spirituale e così via, senza cesura. Il contenuto estatico sta nello spostamento (o metalessi [cfr. cap. III §3.3]) dell’azione a metà strada tra la potestà del soggetto e quella della persona spirituale: né dell’uno né dell’altro, ma dell’uno sull’altro e vicever- sa. È così che la relazione può crescere e ci si rinnova sin nell’agire quotidiano secondo lo Spirito Santo, fino a produrre attraverso le pratiche rituali quegli stati di mania divina di cui parlavo pri- ma. Lo stesso discorso si può fare, con segno inverso, per le vessazioni, che intendo come re- lazioni circolari di mutuo influenzamento tra soggetti ed entità maligne: il soggetto, peccando, fa delle cose che permettono alle persone maligne di fargli fare quelle cose, in un crescendo ossessi- vo che può arrivare fino al caso limite della possessione.

Mentre tutte queste modalità di relazione presuppongono tutte, parimenti, un venir meno dell’unitarietà del soggetto e sono, quindi, lavorazioni culturali di una labilità che percepisce il proprio agire come parzialmente o, nei casi limite, totalmente agito da un altro-da-sé, la differenza tra mania ed estasi da un lato, e vessazione e possessione dall’altro risiede nella «istituzionaliz- zazione del sintomo» operata dalla comunità nel suo lavoro di istituto culturale. Mania ed estasi diventano il “dolce assedio” dello Spirito Santo, valutato come positivo, ricercato, pianificato cul- turalmente ed espresso sotto forma di linguaggi glossolalici, cadute cataplettiche, pianto inar- restabile, obnubilamento dello stato vigile con visioni, voci interiori, esplosioni emotive, alluci- nazioni visive di corpi intrisi di luce e senso generale di amorosa fusione con l’Uno. Vessazione e possessione sono, invece, il doppio oscuro dell’assedio, un corpo attraversato da indefinita molteplicità di forze, pulsioni, scosse, sensazioni, tremori, dolori e convulsioni che esprimono la lotta incarnata di una presenza contro il rischio, indesiderato, di non esserci. Sulla complessità di tutti questi elementi si distingue, pertanto, come necessaria la presenza di un corpo esperto di in- dividui, costituito dagli anziani e dalle figure iniziate alla leadership (pastori e sacerdoti), nel loro ruolo di moderatori e mediatori tra dimensioni e livelli dell’esistente. Costoro, in quanto detentori di speciali saperi teorici e di competenze tecniche, rappresentano le condizioni di esistenza dell’in-