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Un qualcosa percorre tutto il filo – cioè l’inin- terrotto sovrapporsi di queste fibre.

L. Wittgenstein , Ricerche filosofiche

In quel che segue cercherò di restituire tre istantanee pentecostali scattate su Genova a cavallo tra il 2015/16. Si tratta di tre comunità che possiamo ricollegare a tre differenti raggruppamenti tipologici: “pentecostalismo classico”, “carismatismo” e “neo-pentecostalismo”. Queste categorie d’analisi prendono spunto dalla nota sistemazione di Anderson (2010, 2014) il quale, dopo essersi lungamente occupato di pentecostalismi, tenta di riordinare la complessità prendendo come parametri elementi principalmente storici (ma anche teologici e istituzionali). La griglia di Ander- son, come lo studioso stesso fa notare, non è definitiva, anzi è un problema aperto, considerata l’interminabile multiformità delle congregazioni. Tuttavia, nei casi di raggruppamento per “tipi”, Anderson suggerisce il ricorso al concetto wittgensteiniano di “somiglianze di famiglia” — cioè un criterio analogico — che l’autore considera uno strumento sufficiente ad accomunare le espe- rienze pentecostali senza irrigidirle con definizioni troppo essenzialiste. Su questa scia procederò evidenziando alcuni tratti, o somiglianze, che mi è parso di ritrovare in tutti i percorsi genovesi, benché manterrò il discorso distribuito su tre binari, o “fili”, paralleli.

Pentecostali classici

Chiesa Apostolica

La Chiesa Apostolica è di tradizione protestante. Fa parte dei pentecostalismi classici perché storicamente collegata al revival gallese del 1904-1905 e, più generalmente, ai revival di primo Novecento. In quegli anni, la predicazione di pastori itineranti come Seth Joshua ed Evan Roberts provocarono un sommovimento generale inizialmente anti-denominazionale e disorganizzato, fatto di lunghi incontri di preghiera e pratica dei carismi (soprattutto guarigioni, parlare in lingue, profezia). A questi incontri prendevano parte individui di estrazione umile — contadini, minatori, e altra forza lavoro salariata — ma anche ministri di chiese locali, alcuni dei quali sarebbero diven- tati poi fondatori di nuove congregazioni. Nel 1910 sir William Oliver Hutchinson, metodista wis- leyano e sergente al servizio dei Granatieri dell’Esercito di Londra, colpito dalla predicazione di Joshua fondò una chiesa evangelica presso Bournemouth. Un anno dopo, sulla base di un’ispi- razione spirituale, Hutchinson ordinò pastore Daniel Powell Williams — un giovane minatore di Penygroes — presso una fattoria di Tynewydd davanti a un gruppo di persone che, secondo la

profezia, si sarebbero unite alla chiesa. Tuttavia il gruppo non fu accolto con benevolenza e quin- di si stabilì a Penygroes, col nome di “Apostolic Faith Church”. Più tardi, per una diatriba riguar- do questioni amministrativo-finanziarie, Williams si staccherà da Hutchinson e fonderà, nel 1915, la “Apostolic Church”. La zelante crescita della chiesa si manifesta nell’impegno missionario, sia in Inghilterra che fuori. Tra 1920 e 1932 inizia una ricca stagione di scambi epistolari e visite tra alcuni rappresentanti della Chiesa Apostolica (Carl Naeser e George Evans) e quegli evangelici italiani (guidati dal pastore battista Alfredo Del Rosso) che si erano interessati all’esperienza carismatica, la quale si concretizzò poi nella fondazione della prima comunità italiana, a Roma, e di una cellula presso Grosseto. Il gruppo, tuttavia, si sciolse in concomitanza dell’avvento del regime fascista. Nel frattempo, un giovane pastore del distretto apostolico dello Swansea, William Roger Thomas, affermando di sentire una chiamata missionaria verso l’Italia, si trasferì a Grosse- to con la famiglia nel 1947 e poi, da lì, andò a Roma per riattivare quanto vi era stato. Da quel momento in poi l’attività missionaria in Italia non si è più fermata . Oggi la Chiesa Apostolica ha 23

numerose “comunità figlie” attive su gran parte del territorio nazionale. Possiede uno statuto e un ordinamento ufficiale, è parte della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e ha conseguito l’intesa con lo Stato italiano nel 2012.

La comunità di cui ci occupiamo in questa sede fa parte del distretto di Genova, il quale com- prende anche le comunità di Loano, Imperia e Camporosso. Il ministro responsabile della comu- nità è il pastore Alberto di Stefano, membro del consiglio nazionale della chiesa, nonché ministro di culto riconosciuto dallo Stato staliano. L’edificio di culto, acquisito nel 1984, ospita anche una cellula ispano-americana, la comunità “Ebenezer”, che nasce come esperienza parallela e affine alla Chiesa Apostolica (d’ora in poi CA). Questo giustifica in parte la corposa componente is- pano-americana della comunità.

Il calendario settimanale della CA prevede due incontri: uno il mercoledì sera, dedicato al commento biblico e alla preghiera, e uno la domenica mattina, dedicato al culto. Una volta al mese, la CA celebra l’agape, la “cena del Signore”, ovvero un momento, sia sacramentale che conviviale, immediatamente successivo al culto domenicale, in cui la comunità pranza assieme presso l’edificio.

La comunità è composta da un nucleo stabile di circa 30 persone, che oscillano tra i 30 e i 50 il mercoledì e i 50 e i 70 la domenica. La maggior parte dei partecipanti, almeno il 70%, è migrante e proviene soprattutto dall’America Latina (Ecuador, Perù, Bolivia), ma anche dall’Europa del- l’Est (Romania) e dall’Africa sub-sahariana (Angola, Nigeria). Agli incontri ci sono prevalente- mente uomini e donne, in egual distribuzione, tra i 30 e i 50 anni. Più ridotta, invece, è la presenza di anziani, giovani e giovanissimi. Mentre gli adulti manifestano estremo interesse e propositività per le attività spirituali, i più giovani, soprattutto coloro che si trovano in odore di adolescenza,

Alcune date e informazioni provengono da Thomas A. (2012), Scrisse col dito nella polvere, Feedbooks, E-book: un resoconto

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sembrano piuttosto distratti — quando non sospesi tra un dispositivo tecnologico e l’altro — e spesso rumorosi.

Lo spazio delle riunioni e del culto è un salone sufficientemente grande da accogliere 150-200 persone. Sul fondo c’è un piano elevato su cui sono sistemati tre microfoni fissi e strumenti musi- cali. Frontalmente al palco sono sistemate le sedie in file orizzontali, che lasciano libero un corri- doio centrale. Sulla parete di destra si affacciano quattro locali ausiliari, la cosiddetta “canonica”: una dispensa, una cucina, i servizi igienici e un terzo ambiente separato internamente da un muro con una porta. Un’area è riservata allo studio del pastore, indicato con una targhetta. Nell’altra area sono presenti piccoli tavoli, piccole sedie colorate e giochi accatastati su un lato, in modo da lasciare libero lo spazio centrale. Questi materiali servono ad animare le attività della scuola domenicale, un servizio che la CA mette a disposizione dei più piccoli per facilitare l’apprendi- mento di alcune tematiche bibliche e che si tiene in contemporanea al culto domenicale. L’arredamento del salone è sobrio, se non spartano. La nota di colore dominante è il celeste, che si ritrova nelle sedie, nelle tende, lungo le pareti e sui gradoni del palco. Davanti al palco sono sis- temate due ceste, anche queste foderate di celeste, riservate alla riscossione delle offerte e della decima . Non ci sono oggetti sacri, né icone, né crocifissi. Sulle pareti laterali, tuttavia, è appesa 24

una serie di quadretti raffiguranti le fasi principali della passione di cristo. Nella zona destra del palco c’è un telo bianco per proiezioni, cui corrisponde un angolo tecnico in fondo al salone, dotato di computer e impianto fonico, vicino alla porta d’entrata.

L’ambiente, a colpo d’occhio, non manifesta nulla di specificamente religioso. Quando la co- munità è presente, gli spazi iniziano a prendere forma e senso. La platea è destinata a coloro che sono in posizione di ascolto, mentre chi gestisce il culto e l’animazione è in posizione frontale, o sul palco o davanti al palco, in corrispondenza dell’inizio del corridoio. Il palco è riservato alla corale, il servizio principale di animazione: alla corale spetta la gestione dei canti e dell’accompag- namento musicale e si riunisce una volta alla settimana, prima dell’incontro di mercoledì. Nella corale ci sono cinque donne coriste, un direttore di coro e i musicisti (batteria, basso, tastiera, chi- tarra elettrica). Sul telo di proiezione compaiono i testi dei canti, ma anche i passaggi della Bibbia presi in esame durante il commento biblico. In corrispondenza della porta c’è sempre qualcuno incaricato di aprire, salutare e dare il benvenuto a chi entra. L’appuntamento del mercoledì è più intimo e meno frequentato da visitatori casuali, perciò consente di monitorare meglio l’accesso di altri soggetti. I nuovi arrivati, quindi, non passano mai inosservati e a loro è destinato un momen- to di accoglienza collettiva: il pastore, prima di iniziare, li sollecita ad alzarsi davanti alla comunità e a dire il proprio nome, cui segue un applauso di benvenuto, ma anche strette di mano dei vicini

I membri della chiesa sono tenuti a contribuire finanziariamente al mantenimento dell’opera, attraverso la riscossione set

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timanale della “decima”, cioè una tassa pari a un decimo del reddito personale, o delle offerte libere. La CA possiede un ente patrimoniale, la “Fondazione Chiesa Apostolica in Italia”, il quale concorre alla ripartizione della quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito, destinando le somme al finanziamento dei ministri, all’acquisto di edifici, ad interventi sociali, umanitari e culturali in Italia e all’estero.

o, talvolta, qualche abbraccio. L’incontro infrasettimanale, a differenza di quello domenicale, è informale e disteso. L’attività principale consiste in un momento di culto, introdotto da musica e canto, seguito poi dallo studio biblico, che è condotto dal pastore. L’abbigliamento è semplice e disimpegnato. I partecipanti si dispongono liberamente per famiglie o per gruppi di amici, con una maggiore concentrazione nelle vicinanze del palco. La sala si riempie di chiacchiericcio e di movimento, fintanto che non si sia richiamati all’ordine e al silenzio. Coloro che ci siedono in fondo vengono incoraggiati a prendere posto davanti e a non stare troppo lontani dagli altri. Ci sono alcuni membri che scorrono lungo le file per instaurare un contatto diretto con tutti, soprat- tutto con i nuovi arrivati, ed evitare troppa dispersione. Infatti, per chi decidesse di collocarsi presso le ultime file, c’è sempre qualcuno che prende posto nelle vicinanze o nella fila immedi- atamente posteriore. In generale, la maggior parte dei membri percepisce questi spazi come pro- pri, si sente portata a rispettarli e a tenerli in ordine, ma anche a promuovere un clima di serenità e di collaborazione tra tutti. L’impressione che si ha è quella di entrare in una grande famiglia al- largata: i soggetti di conoscono tra loro, si abbracciano e si baciano con allegria, discutono di questioni ordinarie come il lavoro, la famiglia, i figli, si prendono in giro, si ricordano di festeggia- re collettivamente i compleanni. Di domenica, invece, il clima è a fortiori più dispersivo a causa del maggior numero di partecipanti, tanto che rimane difficile tener conto di tutti i visitatori occa- sionali. Il culto domenicale è anche più formale, la comunità indossa un abbigliamento più ele- gante, seppur sobrio. Non ci sono, tuttavia, particolari restrizioni o indicazioni. Il servizio si tiene in lingua italiana. È presente, in sala, un servizio di traduzione simultanea, svolto da membri che ne hanno competenza, sia per l’inglese che per lo spagnolo, cioè le lingue più parlate sia dalla co- munità che dai visitatori non italiani (in genere ispano-americani o provenienti da aree africane anglofone). Sia di mercoledì che di domenica, lo scioglimento delle attività non comporta l’allon- tanamento dei membri: molti si fermano a parlare e a riordinare l’ambiente, rendendo questi momenti un’occasione importante di socializzazione e di conoscenza reciproca.

Sia il mercoledì che la domenica prevedono quattro elementi liturgici principali: l’animazione musicale, la preghiera, il commento biblico, l’offertorio. Al di là di questa semplice ripartizione, non ci sono preghiere o passaggi codificati: tutto è lasciato alla libera iniziativa e alla competenza degli anziani della comunità, compresa la scelta dei canti e dei testi biblici da commentare. Tutti gli incontri cominciano con una fase di “riscaldamento” musicale di almeno 40 minuti, in cui si avvicendano canti in lingua italiana dal ritmo sostenuto e allegro: la comunità partecipa con entu- siasmo, canta a voce alta, solleva o batte le mani, saltella. Non è raro che qualcuno sudi. Chi sta fermo, o si sente in imbarazzo, viene tranquillizzato, preso per mano o sollecitato a partecipare. In questo primo tempo, il pastore stesso siede tra i partecipanti. Il capo-coro gestisce la sequenza dei brani, finalizzandola alla creazione di atmosfere condivise. La sua posizione è più centrale rispetto alla corale e tra un brano e l’altro guida i partecipanti con esclamazioni di lode e di incor- aggiamento, stimolandoli verso manifestazioni di entusiasmo e di gioia. È sempre grazie alla

corale che si entra, successivamente, nella momento della preghiera. Allora il ritmo rallenta, canto e musica diventano un sottofondo continuo e delicato che stimola il raccoglimento, distende la tensione e non manca di sospingere verso stati di vera e propria commozione. La preghiera è spontanea, senza regole particolari. Il capo-coro può suggerire un tema, o un’immagine, ma cias- cuno è libero di intervenire quando vuole e di esprimere ciò che sente. La durata della preghiera non è fissa: il pastore, in collaborazione con il capo-coro, restano in ascolto e percepiscono quan- do l’azione comincia ad esaurirsi. Una volta terminata la preghiera, il pastore si porta al centro del corridoio, dove viene posizionato un leggio, e procede con l’analisi della Scrittura. A volte ha in mano la Bibbia, altre volte dei fogli su cui ha preso degli appunti a penna. I testi sono selezionati sulla base di un criterio tematico da lui liberamente scelto. Durante il commento, il pastore può anche decidere di inserire nuovi momenti di preghiera, prendendo spunto dall’argomento specifi- co di cui sta trattando. Ogni incontro si conclude poi con una preghiera conclusiva.

Nella comunità è presente una credenza bianca con delle teche di vetro, dove sono raccolti dei testi di argomento religioso. Agli incontri del mercoledì, i libri vengono spesso sistemati su un banchetto in fondo alla sala e messi in vendita. I testi sono pubblicati dall’editrice della CA “Ric- chezze di grazia” (Grosseto) e affrontano numerosi temi: catechesi, testimonianza, guarigione, liberazione, malattia, ecc. Nonostante l’angolo testi, la comunità non distribuisce Bibbie ai parte- cipanti, anzi, molti di loro seguono i testi attraverso delle app scaricate sugli smartphone o sui tablet. Da ultimo, esiste un portale nazionale online della CA (www.chiesapostolica.it) dove è pos- sibile trovare informazioni sulla storia della chiesa e sui principali precetti dottrinali, si possono ascoltare e scaricare brani sacri composti da membri della chiesa, si possono acquistare online i testi dell’editrice ufficiale e si può consultare l’elenco delle varie comunità presenti sul territorio nazionale con relativi indirizzi e recapiti. Sono presenti anche moduli e coordinate per chi volesse donare l’otto per mille alla chiesa. Il sito viene costantemente aggiornato per fornire indicazioni su eventi di ordine regionale o nazionale come campi estivi, corsi di formazione, giornate di raduno.

Carismatici delle chiese storiche

Rinnovamento nello Spirito Santo

Il Rinnovamento nello Spirito è un’associazione privata di laici che ha fatto propria la “cultura di pentecoste”, pur riconoscendo il primato della chiesa cattolica. L’esito dei revival infatti è consisti- to non soltanto nella fondazione di un fitto network di chiese e denominazioni espressamente pen- tecostali, ma anche nella diffusione globale di un rinnovato interesse verso l’azione dello Spirito Santo e le pratiche carismatiche come il battesimo nello Spirito, il parlare in lingue, la parola pro- fetica, la guarigione. Non potendoli chiamare espressamente “pentecostali”, coloro che si appro- priano dell’eredità pentecostale senza uscire dalla denominazione o dalla chiesa di riferimento

vengono indicati col termine “carismatici”. Alle soglie degli anni Sessanta la “cultura di pente- coste” aveva oramai toccato gran parte degli Stati Uniti e del Canada ed era entrata nelle liturgie di svariate denominazioni. In questo scenario, potenziato dalle tecnologie mediatiche e soprattut- to dalla predicazione dei televangelisti, la pentecoste divenne dominio di massa ed entrò anche nelle università. Per il caso che qui ci interessa occorre richiamare alla memoria i fatti di Pitts- burgh del 1967. Presso il campus dell’Università Cattolica di Duquesne due giovani studenti, Ralph Keifer e Patrick Bourgeois, si erano interessati ai doni dello Spirito Santo attraverso la fre- quentazione di cursillos e di ambienti pentecostali. Dopo aver preso parte a un ritiro in cui ave- vano sperimentato il parlare il lingue, decisero di condividere l’esperienza con i compagni univer- sitari e fu così che crearono il primo gruppo carismatico cattolico. Il caso di Duquesne non è iso- lato, ma anche altre comunità seguirono lo stesso esempio, sia dentro che fuori dalle università, dando avvio all’espansione del Rinnovamento Carismatico Cattolico (Anderson 2014: 165-175). Le notizie naturalmente raggiungono anche Roma e spingono il Cardinal Léon-Joseph Suenens a visitare Pittsburgh proprio negli anni successivi al Concilio Vaticano II. Da qui inizia una stretta collaborazione tra il cardinale e i giovani carismatici con scambi e visite reciproche, la fondazione di organi di servizio e di coordinamento internazionale come l’ICCRS, l’organizzazione di udien- ze e raduni presso la Santa Sede e infine la costituzione del Rinnovamento nello Spirito Santo come associazione italiana organica, gerarchicamente strutturata e dotata di statuto. Anche se non riguarda questo caso specifico, va ricordato che il Rinnovamento Carismatico Cattolico è un movimento laico, dove la presenza di figure istituzionali cattoliche non è un requisito necessario. Questo elemento ha avuto delle conseguenze importanti, poiché in Italia sono presenti e attive comunità che sono emerse parallelamente al Rinnovamento nello Spirito Santo, ma a differenza di quest’ultimo non hanno ricercato particolari accordi con la Santa Sede, men che meno hanno ac- colto l’introduzione di figure istituzionali in posizione di leadership (Roldan 2009). La rilevanza di questo dato è riscontrabile a livello strutturale, oltre che liturgico, poiché ogni comunità del Rin- novamento nello Spirito Santo (d’ora in poi RnS) può prevedere — ed è ritenuto auspicabile — la presenza di un consigliere spirituale che abbia ricevuto ordinazione sacerdotale. Come si legge nel commento allo statuto del RnS, la normativa proposta dall’associazione e in seguito approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana è molto chiara riguardo chi detenga l’autorità ultima di giudizio, nonostante la possibile marginalità del consigliere spirituale rispetto alla leadership dei membri eletti dall’associazione. Come si legge nel commento allo statuto del RnS del 1999, pub- blicato sul sito ufficiale del movimento:

Per grazia di Dio, il RnS in Italia non è mai stato in contrasto con i vescovi, fatta eccezione per qualche difficoltà in casi singoli e isolati. Oggi, con il riconoscimento ufficiale e con una normativa approvata, difficoltà del genere non dovrebbero più accadere. I coordinatori, ai vari livelli, curano i rapporti con il parroco e con il vescovo locale. Il nostro stile è quello dell'obbedienza che nasce dalla fede e dalla fiducia

che lo Spirito Santo conduce gli eventi in modo tale che tornino a vantaggio del Corpo ecclesiale e del Regno di Dio. A volte può sorgere il pericolo di essere strumentalizzati a finalità che non sono proprie del RnS. In questi casi, è necessario e doveroso salvaguardare la propria identità. Sul piano pastorale, il giudizio sul valore delle nostre iniziative e sull'autenticità dei carismi e del loro uso spetta, in ultima istan- za, al vescovo.

La comunità di cui mi sono occupata si chiama “Pane di Vita” e si riunisce ogni mercoledì sera presso la Parrocchia di Santa Marta di Genova. In più, tutti i primi mercoledì del mese viene cele- brata una messa per la comunità. Con cadenza bi/trimestrale, se logisticamente possibile, il pas- torale del gruppo può decidere di organizzare un ritiro della durata di un week-end in una località non troppo distante, per facilitare la conoscenza reciproca tra membri, praticare un affondo teo- logico su particolari argomenti e vivere collettivamente un regime più intensivo di attività spiri- tuale.

La comunità nasce nel 2001 a seguito di esperienze spirituali maturate presso la parrocchia sotto la guida di Monsignor Giuseppe Di Gregorio, l’attuale consigliere spirituale. È inserita in una rete di altre 22 comunità (più una 23esima in via di costituzione) che fanno capo alla diocesi di Geno- va e, più generalmente, alla sezione ligure del RnS. Ogni comunità è coordinata da un pastorale di servizio, cioè un insieme di soggetti facenti parte del gruppo ed eletti dal gruppo stesso, che si rinnova ogni quattro anni. Il pastorale in carica al momento dell’osservazione comprende quattro