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§2.2 BORN AGAIN

I: Secondo te ha a che fare con l’adolescenza?

Irwing: Ha a che fare con… che sei cresciuto con tanta ingiustizia… Avevo una rabbia dentro che tenevo dentro… e l’unico modo per farla uscire era così. Vivevo anche delle ingiustizie in casa, tutto quello che non andava era Irwing, Irwing, Irwing… perché c’era mio cugino e mia nonna preferiva lui a me, lui era il santo… e io non facevo mai niente. E arrivato a questo punto, ho cominciato a fare, ho detto “adesso vi dò ragione”… In quel momento incontro la chiesa, nel senso, incontro la mia fede.

Ancora Ray dice che per lui la conoscenza che proviene dalla Bibbia è anche uno strumento di libertà e liberazione da vincoli tradizionali che incutono timore e bloccano la crescita individuale.

Ray: Se tu non sai la verità, sarai sempre costretto, perché hai paura. Se tu cerchi di uscire, senza avere una fiducia in tutto quello che hai capito della Bibbia, tu sarai costretto alla persecuzione.

Bernard invece racconta della volontà di riscatto da un passato intollerabile, rappresentato dalla generazione dei padri. Conclude il suo discorso con un’interessantissima storia riguardo i nomi e la liberazione dall’influenza spirituale contenuta nei nomi.

Bernard: Io appartengo a Yoruba , antenati sono Yoruba. Però non parlo Yoruba, la mia lingua è diversa; 39

alcune parole somigliano… culture diverse. In Nigeria ci sono tante religioni e adesso che le religioni sono cambiate… cioè, dicono tre religioni: islamici, cristiani, vuduisti. Vudùn: è quella che hanno seguito mio padre e mia madre. Hanno seguito Vudùn. Ma i figli, ehhh no! Perché abbiamo sperimentato tante cose, abbiamo vissuto in un mondo bruttissimo da… cioè causato da queste maledette religioni diciamo, e così via. […] Sono le nuove generazioni che hanno visto la vita che i loro genitori hanno vissuto e non vogliono vivere la stessa vita o avere la stessa storia. […] Ti racconto una storia. La storia di una ragazza, una sorella, che aveva un nome… allora, questo nome non me lo ricordo. A scuola lei è molto brillante, ma non passa mai gli esami. Quando arriva nell’aula di esame, dimentica tutto. A volte si ammala. A volte si dimentica tutto. Quando chiedono la domanda, non ricorda più ciò che ha studiato. Allora cosa ha fat- to? Dopo tanti consigli, dopo tanti posti in cui è andata, lei è arrivata da un pastore. Dopo pochi giorni di preghiere e di digiuno… quando noi affrontiamo difficoltà, e non passa, noi oltre a preghiera andiamo a digiuno, perché anche Gesù ha detto, nel libro di Matteo capitolo 11 versetto 21, dice che quando i disce- poli hanno chiesto a lui “come hai guarito?”, perché non riuscivano a guarire, Gesù ha detto “perché vos- tra fede era poca”. Ma nonostante quello, questo tipo di guarigione non più accadere senza digiuno e preghiera. Quando uno ha problemi, questi non vengono risolti soltanto con preghiera, ma anche con digiuno. Allora dopo giorni di preghiere e digiuno, il Signore ha rivelato a questo pastore di chiedere il nome di questa sorella. E ha chiesto. Lo sai, a volte, Dio rivela le cose. Se tu sei uno che sa la Parola, anche se lui non ti rivela tutti i dettagli, sei tu che devi sapere come va risolto. […] Questo pastore, una volta che Dio gli ha detto “chiedile il nome”, ha già capito che doveva subito cambiare il nome. E ha detto alla

Yoruba è uno dei principali gruppi etnici della Nigeria del sud. Tutti gli informatori nigeriani che hanno collaborato a

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sorella di andare al Tribunale a cambiare il nome. Subito che questa sorella ha cambiato il nome, tutto ciò che lei non riusciva a fare, espressamente, faceva tutto. Quindi vuol dire che il problema era quel nome.

Quando ho chiesto anche a Bernard se quello fosse il suo vero nome, Bernard ha risposto che no, anche lui l’aveva cambiato, ma non ha voluto rivelare quello vero. La scelta di cambiare il nome ha dei motivi culturalmente ragionevoli. Nel mondo Yoruba il nome non è semplicemente un sis- tema simbolico di identificazione: l’assegnazione di un nome è un’operazione rituale che avviene sette o nove giorni dopo la nascita, cui partecipano tutti i componenti della famiglia, e che san- cisce l’entrata del neonato nella società. La scelta del nome non è arbitraria, perché nel nome risiedono particolari informazioni sulla situazione della famiglia e dei suoi componenti al momen- to del parto, ma anche dei poteri augurali per il futuro del neonato. Il nome è quindi un “libro di informazioni”, ma anche un “amuleto spirituale”. Tra l’altro, nessuno ha soltanto un nome, ma più di uno (oltre al nome di nascita: un nome cristiano o musulmano, un appellativo, un nome dato dai nonni e un nome di famiglia che delinea la discendenza) (Akinnaso 1980; Oyetade 1995; Nathan e Hounkpatin 1996). Il nome quindi ha un potere specifico, perché evoca una circostanza collettiva, di cui fanno parte non solo i componenti della famiglia, con le loro vicende, ma anche gli spiriti tutelari di ogni famiglia e gli antenati. Cambiarsi il nome è, quindi un modo per spezzare il vincolo individuale nei confronti di tutta la rete di interdipendenze famigliari, soprattutto quelle spirituali. Lo stesso discorso vale anche per il nome della RCCG, che si ritiene abbia particolari poteri perché intimamente rivelato da Dio ad Akindayomi. La circostanza divina che ha accom- pagnato l’emersione del nome conferisce a quel nome il potere di evocare l’intervento di Dio e la presenza. Analogamente, come dice pastor Olabode, riempire la bocca con il nome di Dio è una delle armi più potenti, perché crea le condizioni della sua presenza.

Inoltre, mantenersi il più possibile “puliti” permette di allontanare forze ostacolanti che bloc- cano la corsa verso il successo personale, che è una grazia che solo Dio concede. L’insistenza sulla nozione di “purezza” come manifestazione dello stato di grazia tocca molti aspetti che compren- dono anche norme esteriori, comportamentali e igieniche. Ad esempio, coloro che prestano servizio all’interno della RCCG sono tenuti a: manifestare una condotta impeccabile sia dentro che fuori dalla chiesa, essere sempre in ordine e puliti, avere cura dell’igiene personale, avere i capelli ben pettinati e lavati, indossare capi “lucenti come cristo”, che devono essere sempre puliti e ben stirati, avere l’alito fresco, non manifestare odori corporali, indossare scarpe pulite, prestare particolare attenzione allo stato di salute, mantenersi in forma . Se si trascurano queste norme si 40

diventa trascurati e un individuo che si trascura offre il fianco a influenze negative che possono “legare” l’azione, ammorbidire la tempra, distogliere lo sguardo dai propri obiettivi, creare confu- sione spirituale, gettare nell’incertezza e nell’inganno. Infatti il mondo spirituale degli Africani è un mondo pericolosissimo se non si è preparati, pieno di trappole e “falsi predicatori”. Ad esem-

Informazioni tratte dal “RCCG National Usher Manual”.

pio Samson problematizza la questione del parlare in lingue, soprattutto quando sono i pastori a farlo, perché potrebbe essere un inganno fatto per attirare persone nelle loro chiese:

Samson: Non so da dove viene [il parlare il lingue], perché a me non è mai successo. Non posso sapere quando uno parla così se davvero è lo Spirito di Dio che l’ha fatto parlare, oppure l’ha fatto perché… per convincere la gente, oppure l’ha fatto perché ha visto gente intorno. […] Cioè, credo che deve essere una cosa normale, senza pensarci, che uno inizierà a parlare. Non è che uno deve dirmi che devo iniziare a parlare una lingua strana che nessuno può capire… Non è che è facile per la gente di riconoscere se è vero o non è vero… Ci vorrebbe una guida. Poi quando si parla di Spirito Santo o di Dio non mi sembra che sia come al mercato, che ce n’è sempre. Arriva quando uno non l’aspetta. Però io vedo gente che magari ogni settimana, ogni domenica, ogni preghiera di settimana, le parlano [le lingue] tutti i giorni. Si, c’è Dio ovunque ma non lo so se c’è questo Spirito ogni secondo, ogni mo- mento … così come la gente usano, parlano. Poi credo che ognuno ha un rapporto personalmente con Dio e io non sono niente, non posso giudicare nessuno. […] Parlo con la lingua che capisco anche io, prego Dio, però non mi metto a dire “shakrababbama…” o una cosa che neanche io capisco quello che dico.